Spesometro e Redditometro: il difficile equilibrio tra un Fisco “spione” e le libertà del cittadino.

a cura di Giuseppe Venneri –

Il Ddl Stabilità 2015 si propone di recuperare ingenti risorse dalla lotta all’evasione, mediante il rafforzamento di spesometro e redditometro. Analizziamo i caratteri patologici di tali strumenti.

 

A quanto ammonta il danno recato dal cancro dell’evasione fiscale in Italia?

Secondo un’inchiesta pubblicata da Stefano Livadiotti, giornalista de L’Espresso, l’Italia, con i suoi 60milioni di abitanti, ha circa l’1% della popolazione mondiale, ma realizza il 3% del prodotto interno lordo globale e detiene il 5,7% della ricchezza del pianeta. Eppure, stando alle dichiarazioni fiscali, i nostri connazionali non appaiono affatto così ricchi: su 41.320.548 contribuenti solo uno ogni mille denuncia più di 300mila euro. Il 62,89% sta sotto i 26mila euro, e il 27% grazie a deduzioni e detrazioni non paga nulla. Così, in Italia, il rapporto tra ricchezza e reddito dichiarato è 1 a 8. Tanto per intendersi, negli Stati Uniti, prima economia mondiale, il rapporto è 5,3.  Pur non esistendo dati numerici ufficiali circa tale fenomeno, ci ha pensato Richard Murphy, fondatore di Tax Justice Network, a effettuare una stima secondo la quale i soldi sottratti ogni anno alle casse dello Stato sono circa 180,2 miliardi di euro.

 

Questi numeri sconcertanti giustificano, in linea di principio, un lotta all’evasione fiscale che oramai costituisce il leitmotiv dei programmi stilati dai governi che si sono succeduti negli ultimi anni.

Tuttavia, se da un lato non si può certo negare che, negli ultimi anni, la lotta all’evasione ha cominciato a dare i suoi frutti (mentre 10 anni fa, nel 2004, si recuperavano 2,1 miliardi, ora se ne recuperano circa 12/13 all’anno), d’altro lato è lecito interrogarsi ed, eventualmente, sollevare qualche perplessità circa la natura e l’efficienza degli strumenti ideati e messi in atto dagli Esecutivi per realizzare tale scopo. Parliamo soprattutto di due strumenti che annualmente si rivelano un incubo per contribuenti e commercialisti: lo “spesometro” e il “redditometro”.

–          Lo spesometro è lo strumento che permette all’Amministrazione Finanziaria di verificare e fare prevenzione riguardo tutte le eventuali azioni fraudolente derivanti da operazioni di vendita tra più soggetti che hanno il fine di eludere il pagamento dell’Iva. Consente all’erario di monitorare le spese dei cittadini e attivare gli accertamenti fiscali sui potenziali evasori. In altre parole, esso è una sorta di mappa di tutti i consumi della nazione, unita a informazioni sui contribuenti: se qualcuno compra più di quel ch’è in grado d’acquistare secondo la dichiarazione dei redditi, l’Agenzia delle Entrate manda prontamente i controlli per verificare se il soggetto stia evadendo le tasse.

–          Il redditometro è uno strumento accertativo presuntivo (cd. sintetico) che fornisce una prima stima del reddito sinteticamente attribuibile alla persona fisica in base alla scelta e misurazione di certi elementi indicativi di capacità contributiva. Esso è sostanzialmente fondato sulle spese sostenute dal contribuente o sui beni posseduti.

Stando alle mere definizioni di tali “espedienti anti-evasione”, non sembrerebbe emergere alcuna anomalia. I problemi sorgono allorquando venga ad analizzarsi la posizione degli individui che sono oggetto di tali controlli: i contribuenti. Soffermandoci, in particolar modo, sul redditometro, va rilevato come il reddito determinato in modo sintetico-presuntivo costituisce, appunto, una presunzione legale, con inversione dell’onere della prova in capo al contribuente, che dovrà dimostrare la provenienza del denaro da redditi esenti o soggetti a ritenute. Con una recente sentenza , la Commissione Tributaria Regionale della Puglia ricorda una difficile evidenza della nostra legge: il fisco ha sempre ragione, il cittadino deve difendersi. L’utilizzo del redditometro per la determinazione del reddito dispensa l’Agenzia delle Entrate da qualunque prova rispetto ai fatti-indice di maggiore capacità contributiva ponendo invece a carico del contribuente l’onere di dimostrare che il reddito presunto non esiste o esiste in misura inferiore.

La natura aberrante che può caratterizzare gli effetti di un simile meccanismo ha già un precedente giurisprudenziale (Perugia, sent. 382/14) in cui si è stabilito che un giovane, disoccupato e convivente nella abitazione con i genitori, se si è intestato l’auto che il padre gli ha acquistato, deve dare dimostrazione al fisco del passaggio di denaro donatogli dal genitore. Appare, dunque, a dir poco irrealistico e impudente presumere che ogni singolo contribuente (basti pensare ai cittadini meno istruiti) possa conservare la fonte di dimostrazione di ogni singolo passaggio di denaro, specie se questo è utilizzato per acquistare beni di valore come una casa, un’automobile, ma anche un viaggio, un motorino, ecc., soprattutto se queste spese sono state effettuate in epoche più remote.

Tornando a quanto premesso all’incipit dell’articolo, è doveroso chiedersi se la direzione intrapresa dai governi nella battaglia all’evasione fiscale sia la più equa ed efficiente possibile. E’ fuori dubbio che le entrate ottenute mediante l’utilizzo dei predetti strumenti siano in continua crescita, ma è altresì evidente come la fascia dei cittadini “colpita” da questa lotta senza quartiere non sia propriamente quella cui è attribuibile la quota maggioritaria di questa patologia; qualche risultato più soddisfacente, ad esempio, potrebbe ottenersi dalla stipulazione di accordi con i “paradisi fiscali” per il rientro dei capitali italiani o da una lotta più incisiva alla criminalità organizzata.

Concludendo, è indispensabile affermare che l’evasione non può e non deve diventare una sorta di bancomat da cui attingere qualche miliardo per coprire questa o quella spesa, accettando di buon grado anche il rischio di colpire, con strumenti vessatori e invasivi, chi le tasse le ha sempre pagate. Tutto ciò, senza tener conto che l’Italia ha il triste primato mondiale per tassazione, con il 54% di pressione fiscale effettiva che rende ancor più complicato sfuggire alle grinfie del fisco.

 

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