Riflessione sulla guerra.

a cura di Valerio Forestieri –

Dopo anni di disarmo, i 28 paesi della NATO con il summit del Galles si sono impegnati ad invertire la tendenza dei bilanci della difesa. Le nuove minacce all’Occidente (prima fra tutte l’ISIS) impongono una riflessione sulla guerra.

 

Io credo che l’umanità si divida in due sole categorie. Credo che la storia del pensiero fosse già scritta con Parmenide ed Eraclito, e che ogni contributo successivo è la variazione d’una medesima melodia.  Ebbene, io credo che gli uomini possano essere monisti oppure pluralisti.

Alcuni ritengono che l’essere è e non può non essere, che la verità è unica e sola, che le antinomie del creato sono illusorie; che il diverso non esiste, che la disuguaglianza è fittizia e, in ogni caso, sanabile; che chi conosce il bene, il loro chimerico concetto di bene, debba ineluttabilmente conformarvisi. Sono uomini pervasi da un intellettualismo socratico esasperato e depravato. Davanti al caos dionisiaco della realtà voltano, sornioni, lo sguardo, oppure restano sinceramente increduli, chiedendosi come sia possibile che il mondo ignorante non voglia attagliarsi alle loro alme idee.

Altri, invece, sono convinti che nell’universo si affrontino contrari inconciliabili. Che il diverso non solo esista, ma che i contrasti non possano essere ricondotti all’unità. C’è, dicono, una dicotomia insanabile che grava sul mondo, sull’umanità. Si può far finta di nulla, minimizzare, eludere il discrimine, ma esso permane e si carica di tensione come una faglia. Non negano certo che la dialettica, logica e verbale, possa colmare la cesura tra molte posizioni all’apparenza antagoniste. Eppure son certi che la dialettica non sia una panacea, che la sintesi non sempre sia possibile, che l’argomentazione non può far presa sul sordo.

Son questi gli unici uomini che veramente accettano il diverso perché ne riconoscono la dignità all’autodeterminazione, perché ammettono che altri possano giungere a conclusioni del tutto diverse dalle proprie, a tal punto dissimili da essere incompatibili e in conflitto. Non credono che l’altrui opinione sia un precedente stadio, rozzo ed imperfetto, del processo evolutivo che approda al loro pensiero, tappa ultima e somma. Arriverei addirittura a dire che essi riconoscono al pensiero dell’altro la stessa dignità che accordano al proprio: non danno giudizi assoluti, non sentono la necessità di far classifiche che sanciscano un migliore ed un peggiore. Rispettano le convinzioni altrui finché queste non costituiscano un chiaro pericolo per la propria incolumità e, in tal caso, le stroncano. L’estirpano con triste fermezza, con la stessa fermezza con cui si amputa l’arto in cancrena, con la stessa determinazione con la quale il pastore sopprime il capo malato nel timore che contagi il gregge e ne compiange contemporaneamente la morte. Non è per loro atto gioioso, bensì necessario.

Io credo che dopo la seconda guerra mondiale l’occidente si sia ubriacato di monismo. Annientata l’obiezione irriducibile, il nazismo, ci siamo illusi che il non essere si fosse estinto per sempre. Abbiamo pensato che chiunque avesse appreso la nostra cultura se ne sarebbe fatto discepolo. Abbiamo creduto che mai sarebbe potuto nascere un nuovo apostata. E invece l’abiura è stata pronunciata dai figli del nostro stesso grembo, ancora una volta oserei dire. Ancora una volta il monista è incredulo, sconfitto da una realtà ben poco intellettualistica.

Qualcuno dice che la società del dialogo e della democrazia ha paura. Forse teme per la vita, ma poco convintamente. Direi, invece, che è inquieta. Non sono le proporzioni del pericolo ad inquietare, ma l’esistenza stessa di un pericolo. E’ l’obiezione che sconcerta, il veto che è posto sulle conquiste della civiltà, e l’accusa rivoltaci contro. Siamo costretti, e forse per la prima volta da quasi un secolo, ad una guerra veramente difensiva, anzi partigiana. L’annientamento del nemico si impone come necessario: è un imperativo categorico per chiunque creda nei fondamenti della cultura occidentale.

Quello che inquieta e conturba, voglio esser chiaro, sono gli occhi spalancati della Gorgone della forza che ci fissano al di là di ogni costruzione sociale e diritto stabilito. E’, infatti, il gran rifiuto a sconvolgere, il fatto che qualcuno possa credere in qualcos’altro, in qualcosa di intimamente e totalmente altro. E’ il timore che sia stata sollevata un’obiezione per noi così irrazionale che sembra essere pronunciata in un’altra lingua: non la comprendiamo né possiamo rispondere a parole. E’ il sospetto che certi ideali e diritti non siano da tutti unanimemente condivisi, che la buona novella occidentale non si diffonda in ogni dove come verità assoluta e incontrovertibile. Si fa strada il sentore che l’argomentazione, la razionalità, la logica possano, a volte, abdicare e allora non resta che rivolgersialla madre di tutte le cose, come la definisce Eraclito: la guerra.

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