Un nuovo strumento di lotta al crimine: la banca dati DNA

A cura di Maria Ruocco 

“Non confondere movimento e progresso. Un cavallo a dondolo continua a muoversi ma non fa nessun progresso”. Così scriveva Alfred Armand Montapert all’alba del XX secolo e del senso di questa riflessione anche il Bel Paese di tanto in tanto se ne rammenta. Oltre i soliti- pressoché mediocri- provvedimenti che ogni giorno si susseguono e che tentano di fare in modo che l’Italia “resti semplicemente in movimento”, ve ne sono alcuni di fondamentale importanza che, contrariamente, contribuiscono a definire i contorni della coscienza collettiva e ad incentivare un cambiamento effettivo. Tra i provvedimenti di questa natura è possibile annoverare il regolamento attuativo riguardante le modalità di funzionamento e di organizzazione della banca dati sul DNA approvato in data 3 luglio 2015 dal Consiglio dei Ministri in attuazione delle previsioni della legge n. 85/2009. La creazione della risorsa contenente l’insieme dei profili genetici è prevista entro la fine del 2015 e sembra che la raccolta del DNA interesserà quasi 70mila persone già condannate.

L’origine. Il nuovo strumento nella lotta al crimine è stato previsto e disciplinato dal Trattato di Prüm concluso il 27 maggio 2005 tra Spagna, Belgio, Francia, Germania, Lussemburgo, Olanda e Austria. La Convenzione ha disegnato un innovativo quadro di misure di coordinamento in materia d’indagini giudiziarie e prevenzione dei reati ed ha dato vita ad una sorta di cooperazione rafforzata tra gli Stati partecipanti sebbene non sia stato utilizzato questo meccanismo per stipularlo. L’Accordo cristallizza l’impegno delle parti contraenti a scambiarsi dati relativi al DNA dei condannati per reati commessi sul territorio di uno dei Paesi aderenti rafforzando, in tal modo, la cooperazione transfrontaliera nella lotta ai fenomeni del terrorismo, dell’immigrazione clandestina, della criminalità internazionale e transnazionale. Tuttavia, poiché il dilemma del vulnus di sicurezza si era evidentemente palesato nello scenario internazionale già dopo la conclusione dell’Accordo di Schengen del 1985 ed era stato solo parzialmente risolto dalla Convenzione applicativa dello stesso Trattato nel 1990, le soluzioni concordate nel 2005 non sono altro che nuove soluzioni per vecchi problemi.

Previsioni e incidenza del provvedimento attuativo. Il decreto attuativo, con lo scopo di favorire l’identificazione degli autori dei reati, prevede l’istituzione di due articolazioni operative: una banca dati nazionale del DNA presso il Ministero dell’Interno e un laboratorio centrale presso il Ministero della Giustizia. Il provvedimento ha un’evidente incidenza trasversale sui diritti della persona e, proprio a causa di questa rilevanza polisettoriale, con riferimento allo schema di decreto sono stati acquisiti il parere favorevole del Comitato nazionale per la Biosicurezza, le Biotecnologie e le Scienze della Vita e il parere favorevole con osservazioni del Garante per la protezione dei dati personali.

La struttura e funzionamento della banca dati DNA. Il database affida la sua organizzazione ed il suo funzionamento ad un software articolato su due livelli che consente l’utilizzo delle informazioni in esso archiviate nelle operazioni investigative di portata nazionale e, sul versante esterno, rende possibile la realizzazione di forme di collaborazione internazionale di polizia. Secondo quanto previsto dai “Criteri d’inserimento dei profili nella banca dati nazionale” il DNA può essere prelevato e conservato nel database a:
1. Soggetti ai quali sia applicata la misura della custodia cautelare in carcere o quella degli arresti domiciliari.
2. Soggetti arrestati in flagranza di reato o sottoposti a fermo di indiziato di delitto (dopo convalida del Giudice).
3. Soggetti detenuti o internati a seguito di sentenza irrevocabile per un delitto non colposo.
4. Soggetti nei confronti dei quali sia applicata una misura alternativa alla detenzione a seguito di sentenza irrevocabile per un delitto non colposo.
5. Soggetti ai quali sia applicata, in via provvisoria o definitiva, una misura di sicurezza detentiva.
Apparentemente di ampio respiro, la gamma dei reati per cui è previsto il prelievo è in realtà circoscritta: la raccolta dei dati biologici non potrà essere eseguita in caso di reati societari, informatici oppure fallimentari e tributari. Per quanto riguarda la “Cancellazione dei dati e distruzione dei campioni biologici” è previsto che i frammenti di DNA presenti nella banca dati siano cancellati:
1. nel caso di assoluzione con sentenza definitiva perché il fatto non sussiste o perché l’imputato non l’ha commesso.
2. nel caso in cui le operazioni di prelievo siano state compiute in violazione delle norme.
Nelle ipotesi residuali il profilo del DNA è destinato a rimanere all’interno del database per un periodo la cui durata è specificata nel regolamento d’attuazione e comunque non oltre quaranta anni dalla circostanza che ne ha determinato l’inserimento.

Utilità della banca dati. Le potenzialità di questo nuovo strumento sono di facile intuizione. La collaborazione transfrontaliera tra gli Stati contraenti è sintomatica dell’impegno profuso per contrastare il terrorismo, la criminalità e l’immigrazione clandestina e rappresenta una garanzia più energica per la tutela dei diritti dell’individuo. Per comprendere l’efficacia della banca dati basterà ricordare il caso della Germania dove il database è stato istituito nel 1998 e in cui durante i primi sei anni di attività sono stati risolti circa 18mila casi. In Italia importanti indagini hanno avuto un impulso decisivo grazie all’esame sul DNA: l’elenco dei nomi è lungo e tra i più noti figurano quello di Elisa Claps e Yara Gambirasio. L’acido nucleico è uno strumento polivalente per versatilità, infatti, può rivelarsi decisivo anche nei c.d “cold case”, i casi irrisolti da lungo tempo, oppure nei casi in cui ad essere condannato è un soggetto innocente come è accaduto nella vicenda che ha riguardato il Sig. Charles Chatman che, accusato di reato sessuale nel 1981, è stato scagionato dopo 27 anni di carcere quando il test del DNA ha rivelato la sua innocenza.

Limite del DNA come prova scientifica. Anche questo strumento incontra dei limiti che ne circoscrivono l’ambito di applicazione ma non ne erodo l’efficacia. Un campione di acido desossiribonucleico, infatti, può confermare o smentire l’appartenenza del materiale biologico ad un individuo il cui DNA sia stato inserito nel database grazie ad una operazione di confronto tra le informazioni genetiche trovate sulla scena del crimine e quelle archiviate, ma in assenza di quest’ultime non è possibile identificare l’autore del crimine.

È solo un decreto attuativo quello in discussione, qualcuno dirà, ma è possibile replicare che rappresenta una buona opportunità per la razionalizzazione delle indagini sul territorio nazionale e per contribuire alla creazione un sistema di sicurezza che assume prospettive e caratteri sempre più globali. Sull’onda dell’emergenza terrorismo, quindi, sembra essere stata intrapresa la strada della sistematizzazione delle risorse di polizia e giudiziarie. Nell’augurarci che non sia solo parvenza e nel ribadire l’importanza di questa significativa tappa, un’esortazione è d’obbligo: per i prossimi provvedimenti che non siano “di mero movimento”, forse, appare più opportuno che non trascorrano sei anni dalla legge di ratifica (2009) al provvedimento di attuazione (2015).

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