I leader nel passaggio di frontiere

A cura di Angela Lena

Lo smuggling di migranti non è poi così diverso dal mondo delle società legali: il suo fine è quello di massimizzare i profitti. Si tratta di un network criminale che non si occupa della tratta di esseri umani: in quel caso si parlerebbe di trafficking, attività borderline gestita da chi muove persone con l’intento di sfruttarle a destinazione, proprio come fanno i mecenati della prostituzione. Lo smuggling si riferisce alla gestione illegale dei flussi migratori, trasformando gruppi criminali in vere e proprie società di servizi operanti a livello transnazionale, che soddisfano la necessità di attraversare clandestinamente i confini di uno o più stati. Il target di clienti è vasto: i migranti, che una volta arrivati possono richiedere forme di protezione internazionale; i clandestini, che entrano senza alcuna autorizzazione; gli stranieri, che, pur avendo i presupposti per una permanenza legittima sul territorio, diventano irregolari per il venir meno degli stessi: chi possiede un visto turistico o un permesso di soggiorno a scopo lavorativo ottenuto con l’aiuto di compiacenti imprenditori che stipulano contratti di lavoro fittizi.

Ma quali sono le competenze richieste ad uno smuggler?

La richiesta dei migranti è soddisfatta dietro lauto compenso da soggetti criminali assimilabili ad efficienti tour operator, che organizzano l’arrivo nel posto pattuito disinteressandosi completamente del futuro delle persone trasportate. Uno smuggler di successo deve possedere molte skills: intraprendenza, pragmatismo, intuito, astuzia e creatività, le stesse doti del buon imprenditore. Caratteristiche, queste, che fanno pensare a un business contraddistinto da una forte mentalità «can-do», ovvero un atteggiamento orientato al risultato in modo positivo e proattivo. In termini di redditività, lo smuggling è secondo solo al traffico di droga e vale circa dieci miliardi all’anno, seppur presentando un notevole vantaggio: poco importa se un barcone non arriva a destinazione dato che i clienti della nave affondata hanno già pagato il biglietto, mentre la perdita di un carico di cocaina può creare molti più inconvenienti agli operatori di questi settori. Ai tempi di “Mare Nostrum”, con le navi italiane che potevano intervenire liberamente in acque internazionali, il biglietto veniva pagato la metà. Oggi quello stesso tragitto può costare dai tre ai quattro mila euro. Eppure, proprio come previsto dalle agenzie di viaggi, anche in questo caso vengono offerti appetibili pacchetti promozionali che con una tariffa tripla permettono di viaggiare un po’ più comodi. Il rapporto qualità- prezzo, tuttavia, non è mai assicurato!

Ma quali sono le similitudini con le società legali?

In primo luogo, la reputazione è fondamentale: se un’agenzia non offre un servizio soddisfacente le persone intenzionate a partire si rivolgeranno altrove. Inoltre, se uno smuggler conclude con successo tutti i viaggi che organizza – senza incidenti e senza morti – i suoi clienti gli faranno proselitismo tra chi è intenzionato a partire. È la dura legge del mercato a cui perfino gli smuggler devono sottostare. Anche nella struttura queste organizzazioni ricordano molto le società costituite legalmente: a capo del network c’è un coordinatore che ha un ruolo assimilabile a quello di un CEO (Amministratore Delegato – AD), ci sono poi i soci investitori che conferiscono i mezzi su cui l’azienda può contare (barche, gommoni o camion) e gli Area Manager, che ricoprono una posizione determinante per implementare con successo le strategie commerciali sul territorio. In particolare, il Manager d’area detiene una forte leadership dal momento che si occupa di affidare in outsourcing l’attività di smuggling a navigati venditori locali addetti a reclutare clienti interessati. Si tratta di un esperto di marketing che conosce luoghi, lingue e fa campagne pubblicitarie in rete, in radio e sui quotidiani locali. In fondo a questo ingranaggio di morte e disperazione ci sono gli scafisti che trasportano i migranti. Per fare lo scafista non sono richieste particolari capacità nautiche, anche se un canale preferenziale è riservato ai piccoli e medi delinquenti che iniziano in questo modo uno “stage professionalizzante” sperando di entrare nel giro che conta. Non mancano, tuttavia, i casi in cui lo stesso scafista sia un migrante che presta questo servizio durante il viaggio. Ma c’è di più, l’organizzazione può anche contare su risorse esterne: personale di supporto nel luogo di arrivo, autorità corrotte, agenti di recupero crediti e specialisti del riciclaggio di denaro. Si tratta, dunque, di una rete sofisticata fondata sulla fiducia e sulle relazioni personali. Questi stessi valori sono poi alla base di uno dei sistemi più usati per il trasferimento di denaro tra i trafficanti di migranti: l’hawala, vale a dire un metodo molto efficace che permette di trasferire il denaro attraverso una rete di mediatori, gli hawaladars. La caratteristica fondamentale di questo meccanismo è che tra i broker non vengono mai scambiati strumenti cambiari, in quanto le transazioni sono basate esclusivamente sull’onore e il perfezionamento delle stesse avviene senza che si sia neppure verificato lo spostamento di denaro.
Il traffico di migranti è un vero e proprio business che lucra sul dolore di chi non ha scelta, se non quella di pagare per un servizio che gli costerebbe troppo. Per ogni migrante stipato nei camion, per ogni imbarcazione, per ogni singolo viaggio in Italia e in Europa, per ogni corpo ritrovato e per tutti quelli dispersi, c’è qualcuno che si arricchisce. Si tratta di criminali, senza dubbio, ma anche di imprenditori.

 

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