SIRIA, un “campo minato” per il Diritto Internazionale

A cura di Pierpaolo Moroni-

La Siria è in fiamme e la comunità internazionale si sta dimostrando incapace di fornire un aiuto concreto ad una popolazione ormai inerme di fronte alle logoranti violenze della guerra. I potenti del mondo sembrano guardare solamente ai propri interessi politici e commerciali, applicando il diritto internazionale secondo convenienza; tutti gli attori coinvolti si appellano a qualche articolo e/o cavillo giuridico per legittimare il proprio intervento, ma pochi agiscono realmente in tale alveo. Dal 2011 la Siria è devastata da una cruenta guerra “civile” che ha coinvolto numerosi stati, rischiando di provocare un’escalation di livello planetario. In ambito internazionale si è, infatti, verificata una netta spaccatura tra la cosiddetta coalizione, costituita da Stati UnitiFrancia e Regno Unito, che ha espresso forte sostegno alle forze di opposizione al Presidente al-Assad, accusato di gravi violazioni dei diritti umani, e la Russia che, a seguito di un’esplicita richiesta dello stesso Presidente, sostiene il governo siriano sia in ambito diplomatico che militare. I primi attacchi sul territorio siriano hanno avuto luogo dopo l’adozione, il 15 agosto 2014, della risoluzione 2170 del Consiglio di Sicurezza (CdS), con la quale l’ISIS ed altre fazioni armate associate venivano identificati come gruppi terroristici e condannati per le ripetute violazioni dei diritti umani, classificate come ‘’crimini contro l’umanità’’. Occorre sottolineare che la citata risoluzione non contempla alcuna “autorizzazione all’uso della forza armata”, limitandosi ad imporre l’adozione di sanzioni sulla base dell’art. 41, capitolo VII della Carta (misure non implicanti l’uso della forza)La liceità dell’intervento occidentale in Siria sembra, pertanto, sollevare innumerevoli dubbi, collocandosi al di fuori sia dell’ipotesi di “consenso” sia del quadro del sistema di sicurezza collettivo delle Nazioni Unite. Infatti l’unica eccezione ai divieti di uso della forza armata e di ingerenza negli affari interni dello Stato, nel caso di specie, sarebbe rappresentata dalla legittima difesa prevista dall’art.51 della Carta. In tale cornice, risulta evidente che, al di fuori di tale eccezione, l’uso della forza armata determina, di norma, un illecito internazionale. Gli occidentali, tuttavia, si appellano al principio estensivo della legittima difesa preventiva, vista la minaccia costante, da parte dell’ISIS, di un attacco terroristico “imminente’’ nei loro confronti. Appare, altresì, opportuno evidenziare che l’ISIS non sembra possedere i requisiti propri di uno Stato (governo, popolazione e territorio ben definiti) nei confronti del quale è applicabile in via prioritaria il Diritto Internazionale, configurandosi invece come una particolare fattispecie di movimento insurrezionale a matrice terroristica. In tale ambito, data la gravità della situazione, l’intervento della coalizione potrebbe pertanto trovare un fondamento di legittimità nella superiore salvaguardia e protezione dei diritti umani. Si tratta della cosiddetta “responsabilità di proteggere”, che investe tutta la comunità internazionale nel momento in cui i governi locali non siano più in grado di tutelare i propri cittadini. Da quanto detto emerge chiaramente che la questione siriana sta mettendo a dura prova il diritto e l’intera comunità internazionale. Il recente accordo tra USA e Russia per un’auspicabile tregua delle ostilità rappresenta sicuramente un primo grande passo verso una visione più “comunitaria” della crisi. La diplomazia ed il diritto devono avere il sopravvento su qualsiasi altro ambito d’intervento e la comunità internazionale deve ricercare la massima unità di intenti al fine di salvaguardare i diritti di quelle popolazioni e garantire un futuro all’intero pianeta.

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