Sentenza Green Hill: quando il diritto ha il coraggio di essere umano

A cura di Clotilde Formica

Il diritto è la massima espressione della civiltà, promotore di valori e principi che esaltano il senso di umanità e l’umanità stessa. Almeno così è nella teoria, ma appare chiaro quanto sia utopica la pedissequa trasposizione di tale descrizione nella pratica. Eppure, delle volte, si riesce in tale intento. Un primo passo in tale direzione è stato compiuto in primis con la legge 189/2004 e poi ancora con il decreto legislativo 26/2014, i quali hanno preparato il terreno ad una sentenza importantissima, vale a dire quella che è stata proclamata dalla Corte d’Appello di Brescia in merito al caso Green Hill. Suddetta Corte ha, infatti, confermato la condanna a un anno e sei mesi di reclusione per maltrattamento ed uccisione di animale per Renzo Graziani (Veterinario) e Ghislene Rondot (cogestore), mentre il direttore della struttura, Roberto Bravi, è stato condannato ad un anno. Questa sentenza segna un precedente fondamentale nel nostro Paese: manifesta la necessità di diffondere la cultura dell’etologia e di ingenerare il rispetto della vita che ci circonda e che siamo chiamati a proteggere, mettendo da parte gli interessi economici che tendono ad abbrutire l’uomo. Chi convive con un cane o con un altro animale domestico comprende la sensazione di calore e tenerezza che suscitano gli occhi dei nostri amici a quattro zampe; si percepisce il potere che noi uomini abbiamo nei riguardi di creature piccole ed indifese che si affidano a noi per essere protette e, ignari, ci insegnano più di tanti libri. Sapere che ci sono uomini che sfruttano la loro posizione predominante per perpetrare maltrattamenti ed uccisioni del tutto ingiustificate mi rattrista, in quanto tali atti sono causa di una decadenza morale e civile dell’essere umano. La “Lega anti-vivisezione” (parte civile) si dice soddisfatta dell’esito del processo reputando “smantellato l’inaccettabile teorema del cane prodotto da laboratorio e per questo usa e getta”. La LAV esce vittoriosa da una battaglia combattuta in prima linea che aveva portato alla chiusura della struttura di proprietà della multinazionale Marshall nel luglio del 2012 con il conseguente merito di aver salvato circa 3.000 cuccioli di Beagle. “La sentenza di oggi, con il secondo grado di giudizio, è una vittoria della giustizia” afferma l’On. Brambilla che si proclama orgogliosa di aver contribuito con la L.189/2014 ad escludere la possibilità di una futura riapertura di centri come Green Hill in Italia. I legali dell’allevamento, d’altro canto, ritengono la sentenza ingiusta e annunciano il ricorso in Cassazione.

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