Spalle al Muro: l’extrema ratio di un’Unione divisa

A cura di Andrea Curti

“Ad essere onesti devo dire che mi dispiaceva che l’Urss stesse perdendo le sue posizioni in Europa. […] Però capivo che una posizione costruita sulle divisioni e sui muri non poteva durare.” 

(Vladimir Putin)

Infarcire un articolo di giornale o un racconto con delle citazioni è un’arma a doppio taglio, e rischia di tradire pochezza contenutistica o banalità argomentativa. In questo caso, invece, è un necessario termine di paragone: la cronaca di oggi può essere commentata efficacemente anche solo rapportandola alla cronaca di ieri, alle parole dei protagonisti di un’epoca, tutto sommato, ancora vicina. Siamo nel novembre del 1989 quando un sistema di fortificazioni, barriere, torri, filo spinato, terrore, odio e orrore che divideva, dall’agosto del 1961, Berlino Est e Berlino Ovest, viene abbattuto. Nell’arco di ben 28 anni la cortina di ferro che divideva il mondo in due aree di influenza, quella statunitense e quella sovietica, è stata simbolicamente rappresentata dal Mauer di Berlino, che ha fotografato il più grande fallimento di un’ideologia, quella comunista, che nel passaggio da una teoria perfino affascinante ad una pratica disumana non è stata in grado di imporsi ai popoli se non per mezzo di gabbie che li costringessero a vivere col solo desiderio di scappare dall’altra parte. Non attraeva. Allontanava, soffocava. Sono passati quasi trent’anni da allora e l’Europa e il mondo intero hanno visto e vissuto cambiamenti talmente imponenti e vertiginosi che, pur volendosi limitare ad aspetti puramente politici, non potrebbero essere affrontati con la doverosa attenzione in questa sede. Eppure, quasi trent’anni dopo, ci troviamo di fronte a questioni che, seppur diversissime, inevitabilmente conducono al confronto con quella esperienza. Il Sole24Ore del 15 aprile scorso titola “Dall’Ungheria a Calais, tutti i muri in costruzione in Europa”, offrendo un affresco disarmante di ciò che sta accadendo di fronte casa nostra in questi giorni, in queste ore, e che a noi sembra distante. Le vicende sono note: dal Medio Oriente all’Africa della fame e di Boko Haram raccontano di tanti uomini, donne e bambini che cercano, banalmente, una vita normale senza violenza e indigenza, lontana da una lotta per la sopravvivenza indegna per il nostro tempo. Noti sono anche i modi con cui queste persone –che tali sono, ancor prima che profughi, rifugiati, richiedenti asilo, etc- tentano di raggiungere l’Europa: via mare, dove si consumano tragedie sempre più frequenti; via terra, attraverso le frontiere naturali che conducono ai Paesi dell’Unione. I numeri di queste migrazioni sono impressionanti, e crescono ogni anno in maniera esponenziale col crescere delle crisi irrisolte da cui sono generati, creando instabilità e caos nei Paesi d’arrivo, frontiere naturali, e nei Paesi che dovrebbero accoglierli o che dovrebbero agevolarne il transito. Un tale flusso di individui, che versano peraltro in condizioni drammatiche, ha bisogno di una gestione complicatissima, che sappia essere capillare e allo stesso tempo accentrata, condivisa, che sia calibrata con i bisogni e le possibilità di ciascun Paese accogliente e che garantisca nel contempo sicurezza, stabilità e coesione con i popoli europei, con cui devono essere integrati con politiche lungimiranti. La dura realtà dei fatti è, tuttavia, un’altra cosa. Debolissime sono le politiche di risposta dell’Unione e dei singoli Stati per i quali –elemento non secondario- la gestione della questione dei migranti è sì una questione umanitaria, ma ancor prima e ancor di più, oltre ogni buonismo, una questione politica, sui cui si gioca il destino dell’Unione e delle leadership dei singoli Paesi. La coscienza, se viene, viene dopo. Sembra incredibile assistere, in Europa, allo srotolamento del filo spinato in risposta ad una tale, drammatica istanza umanitaria. Eppure nel mondo, oggi, sono circa 45 i muri eretti per contrastare l’immigrazione, e nel Vecchio Continente se ne contano diversi: da ultima la recinsione lunga 175 chilometri tra Ungheria e Serbia, che interrompe la rotta balcanica per siriani ed afghani; poi la Macedonia al confine con la Grecia; la Bulgaria che sta ultimando 160 chilometri di muro alla frontiera con la Turchia. Tentativi, questi, di arginare un fenomeno del tutto inarrestabile, che non può essere gestito con lungimiranza attraverso soluzioni di questo tipo, che si risolvono il più delle volte in grandi operazioni spot per l’elettorato esasperato da un allarmismo irresponsabile e, di fatto, in un autoisolamento che non fa bene a nessuno. Intendiamoci chiaramente. La comunità internazionale –e, nello specifico, europea- è inconsistente e latitante dal punto di vista politico, ha finora fallito la gestione di questa emergenza, ed è comprensibile che un Paese di frontiera, chiamato a far fronte da solo ad un flusso in aumento con tutte le problematiche che comporta, possa pensare di lanciare, spesso a vuoto, segnali forti agendo in autonomia come richiesta d’aiuto.  Tuttavia la realtà ci dimostra che si tratta di deboli ripieghi estemporanei e poco utili, che non vanno oltre la contingenza del momento. Venendo alla stretta attualità, l’ultima ad annunciare misure contenitive del flusso migratorio attraverso la costruzione di un muro di frontiera è stata l’Austria. Siamo alla metà di aprile quando apprendiamo dai giornali che a Vienna si sta mettendo a punto una strategia di “management dei confini”, che altro non significa –in questo gioco perverso delle definizioni edulcorate, di cui nessuno ha bisogno- che al Brennero, confine con l’Italia, terra naturale di approdo dei migranti del mare, sono in partenza i lavori per la costruzione di una barriera anti-immigrati. E’ nota da tempo la (doverosa) rigidità con cui l’Austria affronta la questione al valico di frontiera, con respingimenti selettivi che quotidianamente rispediscono da noi decine di persone che tentano l’ingresso nell’Europa continentale. Il principio è corretto: chi ha diritto rimane, chi non lo ha torna indietro, le irregolarità devono essere sanzionate e non dev’esservi cedimento alcuno dal punto di vista della sicurezza e della legalità delle operazioni. Arriva tuttavia come un fulmine a ciel sereno la dichiarazione del cancelliere Faymann, scatenando il solito teatrino delle reazioni di facciata: dal commissario europeo all’immigrazione Avramopulos che tuona “non è la soluzione corretta!”, all’intera Commissione UE che segue “con grande preoccupazione” ciò che sta accadendo al confine con l’Italia, ricordando che “il passo del Brennero è fondamentale per la libertà di circolazione in Europa”, ma che “per ora sono solo annunci”, e intanto in Alto Adige i cantieri sono aperti. L’Italia, dal canto suo, prepara la controffensiva ai tavoli comunitari, chiedendo con forza, ancora una volta, che si ragioni insieme e non in autonomia, criticando con decisione la provocazione di Vienna. Ed è sicuramente, come detto da più parti, un segnale di forza dall’Austria, che vede a pochi metri dal confine l’Alto Adige trasformato in sala d’attesa per centinaia di migranti che tentano il passaggio di valico. A questo si aggiunge il malumore nel prendere atto di esser stati lasciati soli a gestire una questione più grande dei quattro o cinque Paesi chiamati ad occuparsene, creando un’emergenza che, in teoria, non avrebbe ragione di esistere: i numeri sono contenuti e gestibilissimi in riferimento all’Unione tutta (qualche centinaia di migliaia di migranti per una popolazione di oltre cinquecento milioni di abitanti), ma non per pochi Stati. Il rischio, in un momento come questo, è di familiarizzare con le tragedie, di percepirle come ordinarie, di non esser più sensibilizzati a temi così forti facendo posto alla manipolazione delle opinioni, è una deriva populista e demagogica fatta di slogan che strizza l’occhio alla xenofobia e al razzismo. Deriva non solo potenziale, ma già in atto e perfino in grado di mettere un mattone sopra all’altro alle frontiere di casa nostra, che rischia di farci pagare il pesante prezzo di veder diventare logico e razionale ciò che non lo è, perché poggiato sulle (apparentemente) solide basi di un’ideologia, di un racconto, che si fa strada tra i cuori della gente. Riprendendo il gioco delle citazioni dell’inizio, appena qualche anno fa Montanelli faceva questa riflessione:

“Ciò che distingueva le due Germanie è l’idea morale e giuridica dell’uomo: ad Ovest è padrone di se stesso; ad Est è proprietà dello Stato. Per chi non ricorda questo, il Muro di Berlino era, oltre che barbaro, incomprensibile e irrazionale, mentre invece ha obbedito a una sua logica. Il Muro va ricordato per ciò che è stato: non un’aberrazione del comunismo, ma una sua conseguente applicazione. E se crolla così, è perché è crollata, prima, l’ideologia che lo aveva eretto”. Prima crolla l’ideologia, poi crollano i muri. Al contrario, se nasce l’ideologia che invoca i muri, i muri vengono costruiti. Dove si crea il vuoto (politiche fallimentari), qualcosa lo riempie (demagogia e improvvisazione irresponsabile).

Per non essere fraintesi: accostare gli eventi di oggi con quelli, diversissimi, di ieri non è un modo di confrontare davvero due pagine della storia così distinte, ma una provocazione per ragionare su come, appena trent’anni fa, la logica dei muri abbia dimostrato ancora una volta la propria debolezza. E se un passato esiste e viene raccontato è proprio per dare continuamente nuova linfa al percorso evolutivo di un’umanità perfettibile, e per ciò stesso condannata all’imperfezione, che sappia guardarsi indietro per andare avanti sulle strade migliori. Dovremmo aver imparato che non è con il filo spinato che si risolvono le questioni, non è con l’isolamento che si diventa immuni dalla contaminazione, se proprio si desidera evitarla; occorrono soluzioni politiche, diplomatiche e, alla radice, militari che siano in grado di disegnare, oggi, i prossimi vent’anni, non le prossime due settimane. Barricarsi in casa osservando dall’alto di una torre il dramma di un’umanità disperata è da vigliacchi, da irresponsabili e da miseri, tanto più considerando le enormi responsabilità che abbiamo noi nella genesi di tali questioni. Ogni generazione è messa di fronte ad una grande prova con la Storia, occorre solo fare la scelta giusta. Facciamo in modo di non doverci vergognare con i nostri figli e i nostri nipoti.

“Sembra incredibile assistere, in Europa, allo srotolamento del filo spinato”

 

“Prima crolla l’ideologia, poi crollano i muri. Al contrario, se nasce l’ideologia che invoca i muri, i muri vengono costruiti”

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