“Terra in bocca”: storia di un album dimenticato

A cura di Antonio Boscarino –

Nel 1971 veniva pubblicato quello che a mio dire è uno degli album più belli che la musica italiana abbia mai conosciuto: “Terra in bocca” dei “Giganti”. L’album in sé è una denuncia del monopolio mafioso dell’acqua che ha messo in ginocchio un paesino siciliano chiedendo il pizzo agli abitanti per permettere loro di avere accesso all’acqua potabile. A tale situazione si ribella un giovane sedicenne cercando acqua da offrire gratuitamente al paese. Una storia che, come tutte le storie che riguardano affari mafiosi, finisce tragicamente con la morte del ragazzo, con il suo funerale e con la presa di coscienza del padre che, nonostante il dolore della famiglia e del paese, l’omicidio del figlio sarebbe stato uno di quegli omicidi che vengono coperti dalla nube dell’oblio e che anzi l’omertà e la paura della sua terra avrebbero prodotto disdegno nei confronti della lotta del figlio ucciso. Sono tali riflessioni che spingono il padre a voler farsi giustizia da solo, non potendo confidare in uno Stato capace di reagire a tale genere di soprusi.
In un’epoca in cui lo Stato non si faceva carico delle proprie responsabilità, dopo una sola trasmissione radiofonica l’album venne censurato dalla RAI, a causa del contenuto fortemente polemico, nonostante avesse ricevuto pareri critici parecchio positivi.
A distanza di quarantacinque anni possiamo dire che purtroppo questo gioco di responsabilità non è cambiato e che dunque l’album si dimostra fortemente e tristemente attuale. Da allora molti omicidi e soprusi sono stati perpetrati dalla mafia e in alcuni di essi la responsabilità dello Stato non è stata ancora accertata, nonostante le innumerevoli indagini e inchieste giornalistiche.
Anzi, la RAI, lo stesso servizio pubblico che allora negò la diffusione di questo album definendolo “esagitato”, paradossalmente dà oggi spazio alla pubblicizzazione commerciale di un libro scritto dal figlio di uno dei più importanti boss mafiosi, omicida di alcuni campioni dello Stato che provarono a contrastare con tutti i mezzi disponibili il fenomeno mafioso.
Tutto ciò in nome di un millantato dovere di cronaca.
Lo stesso che ai tempi venne negato a una delle più belle opere della musica italiana.

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