Le nuove frontiere della comunicazione: come i fatti recenti impongono di ripensare l’informazione

A cura di Andrea Curti

Trascorso qualche giorno, con ancora alla mente il dolore e l’orrore che le immagini di Nizza ci hanno, una volta di più, costretto a provare, e messo da parte lo sgomento nell’assistere in diretta ai jet militari che sfrecciavano nei cieli di Istanbul e di Ankara nel corso del tentato golpe ai danni di Erdogan, può essere interessante provare a fare una riflessione spostando il focus dai fatti al racconto, dalla storia alla cronaca.

Difficile non notare, infatti, come, in realtà già da molto tempo, ci siamo abituati a vivere in diretta le tragedie del terrorismo, i tormenti e le ansie di popoli che vivono situazioni di crisi e di violenza.
La realtà e il racconto della stessa vanno di pari passo, portando con se’ tutto il carico di emozioni e di sensazioni che solo l’empatia che va ad instaurarsi tra spettatore ed attore è in grado di veicolare.
I mezzi di comunicazione tradizionali, naturali canali di informazione, si trovano immersi nel vortice della connessione in una posizione scomoda, quasi spaesati nel prendere coscienza di non esser più soli nell’arena, perfino relegati, talvolta, ad osservare dall’esterno un meccanismo che gli scivola via tra le mani, velocissimo.

Partiamo dai fatti recentissimi.
Nizza. Come la lunga serie di attentati che la precedono (basti citare Parigi I, Parigi II, Bruxelles, Istanbul, Dacca) il racconto live è affidato alle reti televisive di informazione h24, le quali a loro volta attingono spesso al bacino dei social -su tutti, Twitter- senza attendere l’ufficiosità delle agenzie. La scia di sangue e di morte che il camion guidato dal franco-tunisino si porta con se’ è drammaticamente fissata con foto, video e testimonianze su Twitter e su Facebook nell’esatto istante in cui si verifica. Le televisioni inverano il racconto con il materiale che viene dalla rete. Chi arriva tardi? Dal punto di vista televisivo le edizioni dei telegiornali rappresentano fotografie statiche di una storia già nota, già raccontata dalle reti h24; sul versante degli altri mezzi di comunicazione, le testate giornalistiche online seguono con affanno la diretta tv e social a colpi di breaking news, poche righe e qualche esagerazione, il cartaceo è in fondo alla coda con diverse ore di ritardo.
Turchia. Nella tarda serata del 15 luglio apprendiamo da Twitter -che poi, non a caso, insieme agli altri social network verrà immediatamente oscurato- che jet militari sorvolano i cieli delle maggiori città della Turchia e che dei carri armati bloccano i punti nevralgici della città, compreso il ponte sul Bosforo ad Istanbul. Segue la diretta della CNN locale -dal momento che la televisione di Stato viene occupata dai militari golpisti che ne inibiscono le trasmissioni- che fa da sfondo alle reti h24 degli altri Paesi, tra cui l’Italia. Per tutta la nottata è un continuo susseguirsi di agenzie, di smentite e di fugaci finestre di racconto su una realtà in rapidissima evoluzione, impossibile da cristallizzare in qualcosa di definito. Il momento clou si ha quando il Presidente Erdogan, in volo sui cieli Turchi nel disperato tentativo di trovare approdo (..almeno stando al racconto ufficiale, non entriamo qui nel merito di ciò che è accaduto e della probabile divergenza tra apparenza e sostanza) in qualche aeroporto europeo o mediorentale per sfuggire ai golpisti traditori, tenta il tutto per tutto per risvegliare le coscienze del suo fedele popolo invitandolo a scendere in strada e ad andare nelle piazze per difendere la democrazia (!) e fermare il debole tentativo di pochi disertori, che, garantisce, la pagheranno cara. Seguono gli imam che si allineano all’indicazione del sovrano, si uniscono in comune eco gli appoggi della comunità internazionale per la salvaguardia del regime legittimamente al potere (.. dovevano essere impegnati quando si sono dimenticati di fare altrettanto per la Libia di Gheddafi o per l’Egitto!) ed ecco che il popolo turco risponde, impavido, e cambia le sorti del golpe che sembravano far presagire un esito del tutto diverso. Ma come è scattata la scintilla che, di fatto, ha cambiato le carte in tavola? Attraverso una diretta Facebook Mention. Erdogan, il nemico della libertà d’espressione e dei social network, ha impedito il rovesciamento del proprio regime utilizzando il mezzo social. Nessun comunicato, nessuna nota ufficiale, nessun discorso alla nazione; una banale, banalissima diretta Mention.
Chi è arrivato in ritardo, nel racconto di questa serata? Valgono le considerazioni precedenti, salvo il ruolo indiscutibilmente preponderante dei social network dall’inizio alla fine e dell’abissale ritardo che porta con se’ la carta stampata che esce, la mattina dopo, raccontando una realtà parziale e in evoluzione nonostante la vicenda sia già esaurita, conclusa, definita.

Sono sufficienti i fatti brevemente ripercorsi per rendersi conto che i tradizionali ed istituzionali mezzi di comunicazione -in un mondo che non accetta più il racconto fotografico, statico dei fatti di cronaca ma è affezionato al dinamismo del viverli in diretta, da spettatore che non attende il commento e le ricostruzioni degli addetti ai lavori- non siano più adeguati se ritengono di dover continuare a svolgere una missione che non è più di loro autonoma ed esclusiva competenza, una funzione che necessariamente devono condividere con altri attori che viaggiano più veloci, che abbattono lo spessore dei ragionamenti e delle analisi, che non problematizzano perché lasciano il campo al racconto per immagini, alle sensazioni del momento.
In poche parole, sono inadeguati se non fanno i conti con la realtà che cambia e si evolve. Rimangono tuttavia preziosi strumenti di approfondimento e di riflessione – che sono incompatibili con l’estemporaneità dell’approccio in diretta ai fatti e agli accadimenti-, irrinunciabili laboratori di critica e di confronto a cui accostarsi mettendo da parte la fretta e la velocità.
Ripensare il ruolo di televisioni, talk show, telegiornali, radiogiornali, quotidiani online e carta stampata, nel rispetto dell’autonomia e dell’importanza di ciascuno di questi fondamentali strumenti d’informazione e dei diversi tipi di pubblico cui si rivolgono, è di certo un’operazione irrimandabile che sola potrà garantirne la sopravvivenza e la competitività con il mondo interconnesso.

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