La prima donna

A cura di Matteo Politano-

 

Al giorno d’oggi, nessuno può ancora dire quale trattamento gli storici riserveranno a queste elezioni presidenziali della Big Country. Ma una cosa è sicura: queste elezioni saranno ricordate. E per una moltitudine di ragioni: la prima di queste è di sicuro la scelta che si pone dinanzi ai cittadini, i candidati stessi : Donald Trump o Hillary Clinton. Il ricco self-made man newyorkese burbero ed arrogante contro la (ricca ed arrogante) prima donna candidata alla carica più potente del mondo. L’outsider del Great Old Party, del quale nessuno dei vertici voleva (gli stessi ex presidenti Bush padre e figlio si sono schierati a favore dell’avversaria, e come loro tanti altri Repubblicani) contro la candidata favoritissima dall’establishment. Il volto nuovo (e per molti terribile e pericoloso) della politica americana, l’uomo che ha rotto gli schemi, contro la candidata più “politicante di professione” degli ultimi decenni.

Concentrandosi su Hillary, il suo ritratto è piuttosto particolare: in primis spicca una carriera di primo piano, un curriculum forse mai vantato da nessun candidato alla presidenza USA: first lady del Governatore dell’Arkansas prima e del Presidente degli Stati Uniti poi, senatrice per due mandati, Segretario di Stato (a grandi linee il nostro Ministro degli Esteri) durante la prima legislatura Obama. Lo stesso Obama che nel 2008 la sconfisse durante le primarie democratiche, le stesse primarie in cui poi lei si è riscattata pochi mesi fa, sconfiggendo dopo mesi combattuti (e secondo alcuni, anche con l’aiuto di pressioni esterne non esattamente pulite) quel vecchio socialista dichiarato di Bernie Sanders, che oggi la sostiene con forza (com’è tipico nelle elezioni USA) ed il quale ha probabilmente inciso non poco su Hillary, sia per quanto riguarda il suo modo di comunicare, sia nel programma stesso. Ciò è stato evidente nei tre dibattiti contro il tycoon newyorkese, in cui la Clinton ha molto puntato sulla proposta (ripresa dallo stesso Sanders) di rendere i college gratuiti, sul rilancio della media impresa mediante lo Stimulus tendenzialmente Keynesiano dell’economia, quindi investimenti pubblici notevoli per far crescere. Insomma, Hillary tenta di attrarre a se il voto a sinistra, una base elettorale ampia che però rischia di votare Trump proprio in funzione anti-estabishment, del quale lei stessa rappresenta l’essenza agli occhi di molti. E come dargli torto, se si riguarda la lunga carriera politica (la Clinton ha 69 anni, l’avversario 70, entrambi sarebbero i più anziani presidenti della storia insieme a Ronald Reagan, ma la differenza è che Trump non ha grandi precedenti politici) e le potenti amicizie. In molti percepiscono nell’ex Segretario di Stato non solo la continuità rispetto alla amata/odiata Amministrazione Obama, come hanno dimostrato i vari Tea Party negli ultimi anni, della quale lei non solo faceva parte, ma della quale personalmente si è fatta carico di non poche colpe in qualità di Segretario di Stato: basti pensare alla tragedia dell’ambasciata americana a Bengasi e alla gestione in generale della situazione in Medio Oriente, che ha portato alla nascita e all’affermazione dell’ISIS. Secondo la media dei principali sondaggi, a dividere i due candidati a cinque giorni dal voto sono solo 1,7 punti percentuali, la democratica al 47%, il repubblicano al 45,3%, in rimonta rispetto a prima che scoppiasse l”Emailgate”, l’inchiesta riaperta dall’FBI sull’uso di un account privato di posta elettronica da parte di Hillary Clinton quando era Segretario di Stato, che ha tentato di reagire concentrandosi sulle insolite simpatie di Trump a Putin, sulle sospette intercettazioni e possibili interferenze russe nelle
elezioni, e sulla poco chiara situazione delle tasse apparentemente non pagate dallo stesso Trump. Ma aldilà di tutti gli scandali, gli intrighi politici, i colpi di scena, qualunque sia il risultato finale, queste rimarranno elezioni storiche.

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