IL GOLPE BIANCO

A cura di Umberto Romano

 

Le persone passavano davanti alla finestra del bar, in un pomeriggio tutto sommato mite per il pieno inverno d’agosto calato sul sud del Brasile; tutti tornavano verso gli uffici o si accalcavano davanti ai buffet dei ristoranti “a kilo”, così di moda qui. Io guardavo la TV rotta che mi sovrastava, mentre il formaggio del mio sandwich colava sul fazzoletto; in onda davano solo i risultati della precedente giornata di campionato, ma a me non interessavano: volevo solo tornare a lavoro e guardare la votazione. Quel giorno si scriveva la storia del Brasile, e se vi state chiedendo quanto possa essere importante questo paese per il mondo intero, basta dare un’occhiata ai “dati canonici che misurano la crescita e la buona salute di una nazione”, vale a dire impiego, ingresso all’istruzione, pari opportunità, diritto civili, i quali mostrano che in proiezione, tra 10 anni il paese avrebbe potuto superare l’economia di parecchie potenze mondiali. Il Brasile poteva essere il futuro, ma da oggi è diventato il passato.
Vorrei poter scrivere molto di più, vorrei poter scrivere della condizione moribonda del Sud America, con il Venezuela già morto, con la Bolivia che ammazza un ministro, con l’Argentina  che deve fare i conti con un pesos che non vale nulla. Vorrei parlarvi dell’emozione di atterrare a Rio De Janeiro, di assistere ad un’Olimpiade, di sentirsi nulla quando il fiume Iguaçu fa un salto di 82 metri da 275 cascate diverse tutte intorno a te, ma oggi non posso.

Purtroppo oggi devo raccontare dell’allontanamento della presidentessa eletta Dilma Roussef. Ma prima chiariamoci: a me non piace Dilma, non mi è mai piaciuta. Ciò che è successo in Brasile è solo l’ultimo dei gravi eventi che stanno rimettendo in ginocchio il Sudamerica dopo il baratro degli anni ’90, della “grande crisi argentina”. Non c’è nessuna accusa formale di corruzione nei confronti di Dilma, non è in alcun registro degli indagati, la si accusa delle famose “pedaladas”, che consistono – spiegato volgarmente – nel sottrarre denaro da una parte (in questo caso il Banco Federale) per destinarlo ad un’altra (in questo caso alcuni programmi sociali) mostrando ogni mese di aver speso meno di quanto in realtà si è speso. Deprecabile, ma fino a che punto? Dilma non va santificata, ma neanche l’uso scellerato di una carta costituzionale giovane e redatta in un periodo storico più che difficile per il Brasile dovrebbe tranquillizzarci; ancora di più se prevede che a decidere siano i senatori, gli oppositori politici; Dilma è colpevole secondo loro. Un golpe senza armi, un golpe Bianco.
Ma, oltre alla natura dell’impeachment, è giusto sottolineare che 14 degli 81 Senatori brasiliani sono al centro del “Mani Pulite” brasiliano (Lava-Jatu). Ricordiamone alcuni:

Eduardo Cunha – nome di spicco dei Panama Papers e principale accusatore di Dilma – per corruzione e riciclaggio; Aecio Neves, nipote del più valido Tancredo, che ha fatto tante di quelle porcate che dovrei scrivere un articolo apposta; per non parlare di Renan Calheiros, presidente della Camera dei deputati, che deve rispondere di 8 capi d’accusa sempre nel medesimo procedimento (corruzione e riciclaggio, per citarne due); o ancora Antonio Anastasia: l’ex governatore dello stato di Minas Gerais è stato il relatore nel processo a carico della ex-Presidentessa, ma lui stesso, quando è stato governatore dello stato Mineiro, ha emanato circa 972 decreti dello stesso tenore di quelli emanati dal Governo Roussef, che ne ha emanati “solo” 6. Forse hanno scelto lui perché conosceva bene il tema. E per concludere, Michel Temer, il Presidento, l’ex vicepresidente, l’uomo che è stato capace di cancellare qualsiasi termine di uguaglianza dal vecchio governo, formandone uno di tutte persone di sesso maschile e tutte bianche; un uomo che ha addirittura soppresso un Ministero, quello delle Donne, Dell’Uguaglianza Razziale e dei Diritti Umani(MMIRDH), allarmando seriamente la “Corte di San Josè”.

Molti sostenitori del nuovo Presidente vedono in lui la via d’uscita dalla crisi economica che sta strangolando il Brasile, ma la storia ci insegna che una crisi economica non si risolve così, non si risolve da un giorno all’altro cambiando solo una faccia. Non si risolve svendendo la propria democrazia. Lo sappiamo bene, in Europa lo sappiamo bene.
Nel post-impeachment dei feroci scontri sono avvenuti in strada a San Paolo, ma niente che abbia distratto il popolo Brasiliano dal suo “cotidiano”.

Intanto alla finestra del paese più grande del Sud-America si affaccia di nuovo la vecchia, corrotta élite politica; gli osservatori dicono che il governo non può bloccare Lava-Jatu e non lo farà, ma siamo sicuri che l’inchiesta non andrà oltre, morirà qua, sarà insabbiata e tutti contenti. Temer governerà fino al 2018 senza essere stato eletto da nessuno e io sono più che sicuro che non si fermerà lì: d’altronde l’ultimo Governo senza donne – sarà un caso – è stato quello di Ernesto Giesel nel 1974, in piena dittatura militare.
Sarà un caso, speriamo: l’America Latina adesso non può permettersi l’ennesimo dittatore, non può permetterselo il mondo.

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