SCAFISTA A CHI ?

A cura di Paolo Fernandes-

Il mare è agitato, le onde si avvolgono e scuotono la barca, i bambini piangono, gli altri pregano. La tanto agognata meta è quasi in vista. Le coste italiane sono vicine. Ad un tratto, chi ha condotto fin qui me ed i miei sciagurati compagni arresta l’imbarcazione. Agilmente salta a bordo di un gommone che ci ha seguiti durante la traversata. Il tutto non prima di avermi minacciato di morte e di avermi costretto ad impugnare il timone. Io, che il mare in vita mia lo vedo per la prima volta.

Questa non è una storia vera, ma è la verità che spesso si nasconde dietro gli altisonanti titoli dei quotidiani nazionali, pronti a glorificare il solerte operato delle forze dell’ordine, infallibili nell’individuare “gli scafisti” e nel consegnarli nelle mani della Giustizia.

C’è però un dettaglio, un’inezia, che raramente (per non dire mai) viene considerato. A finire in manette, e successivamente ad essere condannati e presumibilmente espulsi dal paese, spesso e volentieri non sono i “professionisti” del mestiere, ma semplici passeggeri, al timone ora per permettersi il viaggio, sotto minaccia o quantomeno per evitare vere e proprie mattanze. Ad ogni sbarco, infatti, chiunque venga indicato come pilota (tendenzialmente due), è destinatario dell’accusa di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. Ed è qui che l’ingiustizia inizia il suo corso. Come documentato da organizzazioni operanti nel settore e confermato dagli stessi interessati, prassi comune è quella di concludere il processo con un patteggiamento, i cui termini e le cui conseguenze sono generalmente sconosciuti all’ imputato. Seguono un paio di firme sul foglio di espulsione, ultimo ostacolo prima della tanto desiderata “libertà”. Nessuna complicazione circa l’effettivo accertamento della colpevolezza o l’eventuale presenza di scriminanti. Pratico, veloce, indolore, e tutti (o quasi) contenti.

Ma è giusto sacrificare sull’altare delle apparenze i principi su cui si fonda il nostro sistema penale? E’ ammissibile andare contro la legge, pur di sbandierarne l’operosa applicazione? Invochiamo la legalità nell’immigrazione. Probabilmente sarebbe il caso di essere i primi a rispettarla.

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