FALSE COMUNICAZIONI SOCIALI: ANALISI, ESEGESI E PROFILI PROBLEMATICI DELLA NUOVA DISCIPLINA

A cura di Giulia Covelli-

In data 21 Maggio 2015 la Camera dei Deputati ha approvato definitivamente la proposta di legge n. 3008 recante «Disposizioni in materia di delitti contro la pubblica amministrazione, di associazione di tipo mafioso e di falso in bilancio» (c.d. Ddl “Anticorruzione”). 

Il provvedimento, successivamente convertito in legge n. 69 del 27 Maggio 2015, oltre ad aumentare la pena edittale per alcuni reati contro la pubblica amministrazione e ad apportare alcune modifiche al Codice di procedura penale, ha delineato una nuova disciplina per i reati di false comunicazioni sociali contemplati nel Capo II del quinto libro del Codice civile dedicato alle disposizioni penali in materia di società e consorzi.

La riforma dei reati di false comunicazioni sociali era attesa da tempo da quell’autorevole dottrina che aveva salutato la disciplina precedente come la “morte” del falso in bilancio.

La normativa dettata dal previgente D.Lgs. n. 61 del 2002 infatti, prevedeva due diverse fattispecie incriminatrici: una prima, disciplinata all’art. 2621 cod. civ., perseguibile d’ufficio e di natura contravvenzionale pertanto con termine prescrizionale breve (cinque anni dal deposito del bilancio), posta a presidio della trasparenza societaria ed una seconda, contemplata all’art. 2622 cod.civ., perseguibile a querela di parte e di natura delittuosa, in cui il bene giuridico tutelato doveva ravvisarsi nella tutela degli interessi patrimoniali dei soci, dei creditori e degli stakeholders.

Entrambe le fattispecie, poi, erano qualificate come reati propri dell’amministratore di società e la condotta tipica consisteva nell’esposizione di «fatti materiali non rispondenti al vero, ancorchè oggetto di valutazioni» ovvero nell’omissione di «informazioni la cui comunicazione è imposta dalla legge sulla situazione economica, patrimoniale o finanziaria della società o del gruppo al quale essa appartiene» e poteva dirsi integrata soltanto qualora la falsità o l’omissione avesse determinato una variazione del bilancio d’esercizio superiore ad un determinato valore percentuale individuato espressamente dalla norma (c.d. “soglie di rilevanza penale”) ; al mancato superamento delle soglie seguiva l’irrilevanza penale della condotta che al più poteva essere qualificata come illecito amministrativo. [1]

Una siffatta impostazione comportava non pochi problemi sul versante applicativo: la ristrettezza della formulazione “a soglie” e la perseguibilità a querela (nella fattispecie di cui all’art.2622 cod.civ.) impedivano sovente all’organo inquirente, una volta acquisita la notitia criminis, di andare avanti con le indagini, costituendo così –il dato normativo- “un significativo sbarramento all’esercizio dell’attività giurisdizionale.” [2]

La disciplina dettata dal D.Lgs. n. 61 del 2002 pertanto “era subito apparsa tale da approntare una risposta sanzionatoria da un lato sostanzialmente bagatellare, dall’altro di dubbia effettività e dissuasività, e comunque, nel complesso incapace di offrire un adeguato argine di tutela alla corposità degli interessi in gioco.” [3]

Con tali premesse, ben si comprende come l’intervento riformatore fosse necessario al fine di restituire dignità alla “pietra d’angolo del diritto penale societario” e di apprestare un presidio penale congruo alle finalità di politica criminale.

La modifica normativa infatti “aspira[va] a ripristinare un intervento sanzionatorio rigoroso nel contesto di un (ulteriore) inasprimento delle misure di contrasto alla corruzione, alla luce dell’acquisizione criminologica ormai consolidata che ravvisa nel falso in bilancio  una vedette o un reato-spia di possibili dinamiche corruttive; essendo spesso lo strumento in grado di realizzare (o coprire) con alchimie contabili la creazione del “rapporto di provvista” alla base delle transazioni illecite (c.d. “fondi neri”) [4].

Il nuovo assetto dei reati di false comunicazioni sociali “è costituito da due diverse fattispecie incriminatrici (entrambe delittuose, di pericolo e perseguibili d’ufficio) che si differenziano in ragione della natura non quotata (art. 2621 cod.civ.) e quotata (art. 2622 cod.civ.) della società” [5] accanto alle quali sono stati introdotte due nuove norme  (gli artt. 2621 bis e il 2621 ter cod. civ.) riferite al solo art. 2621 cod.civ. che prevedono, rispettivamente, una cornice di pena più mite per i fatti di «lieve entità» ed una causa di non punibilità per i fatti di «particolare tenuità».

È stata dunque confermata l’architettura a “piramide punitiva” degli illeciti in materia di false

comunicazioni sociali che vede al gradino più basso della piramide le due meno gravi figure delittuose dei fatti di lieve entità disciplinate all’art. 2621 bis cod.civ.; al gradino intermedio il delitto di false comunicazioni sociali di cui all’art. 2621cod.civ. che assurge a “fattispecie generale applicabile alle imprese esercitate in forma societaria estranee alla costellazione tipologica delle società quotate” [6], e al vertice della piramide l’art. 2622 cod.civ., che disciplina il delitto di false comunicazioni sociali con riferimento alle sole società quotate in Borsa o in mercati europei regolamentati.

Prima di procedere all’analisi delle fattispecie pare opportuno – al fine di comprendere efficacemente le ragioni della penalizzazione della condotta antisociale tipizzata dalla norma- chiarire la funzione delle comunicazioni sociali e, in particolare, quella del bilancio d’esercizio.

Il bilancio di esercizio “è il documento contabile che rappresenta, in modo chiaro, veritiero e corretto, la situazione patrimoniale e finanziaria della società alla fine di ciascun esercizio, nonché il risultato economico dell’esercizio stesso (cioè, gli utili conseguiti o le perdite subite nell’esercizio).” [7]

In altre parole: “il bilancio aziendale assolve principalmente alla funzione di stabilire se l’attività è in utile o in perdita”. [8]

Dunque, poiché i bilanci e le altre comunicazioni sociali sono “il principale veicolo di trasferimento delle informazioni” [9] indirizzato ai soci e a coloro che devono decidere se stabilire rapporti con l’azienda (clienti, fornitori, finanziatori ecc.), un’informazione decettiva “distorce le scelte degli agenti economici e impedisce un’allocazione efficiente del risparmio sino al punto, in taluni casi, da distruggere la ricchezza e minare la fiducia dei risparmiatori nel sistema finanziario”. [10]

Tanto chiarito, ben si comprendono, allora, le ragioni di politica criminale sottese alla penalizzazione delle condotte in esame nonché di quelle che hanno ispirato l’intervento riformatore.

La fattispecie di false comunicazioni sociali di cui all’art. 2621 cod.civ. è stata oggetto di un profondo e radicale intervento modificativo da parte del legislatore tanto sul piano della tipicità/offensività, quanto sui versanti della colpevolezza e dell’apparato sanzionatorio.

Questa la nuova formulazione testuale: «Fuori dai casi previsti dall’art. 2622, gli amministratori, i direttori generali, i dirigenti preposti alla redazione dei documenti contabili societari, i sindaci e i liquidatori, i quali, al fine di conseguire per sé o per altri un ingiusto profitto, nei bilanci, nelle relazioni o nelle altre comunicazioni sociali dirette ai soci o al pubblico, previste dalla legge, consapevolmente espongono fatti materiali rilevanti non rispondenti al vero ovvero omettono fatti materiali rilevanti la cui comunicazione è imposta dalla legge sulla situazione economica, patrimoniale o finanziaria della società o del gruppo al quale la stessa appartiene, in modo concretamente idoneo ad indurre altri in errore, sono puniti con la pena della reclusione da uno a cinque anni.
La stessa pena si applica anche se le falsità o le omissioni riguardano beni posseduti o amministrati dalla società per conto di terzi».

In tema di bene giuridico, la norma tutela la correttezza e la trasparenza dell’informazione societaria “in quanto strumentale ad interessi finali, che sono sia interessi patrimoniali ed individuali dei soci e dei creditori, sia interessi di natura diversa, riconducibili al pubblico dei destinatari dell’informazione societaria, legati alla veridicità dell’informazione”. [11]

La nuova fattispecie ripropone lo schema del reato proprio a soggettività ristretta ex lege : soggetti attivi del reato sono i titolari delle funzioni di amministrazione attiva e di controllo e i dirigenti posti in posizione apicale; il legislatore, dunque, ai fini dell’individuazione degli autori materiali del reato ha utilizzato “una tecnica di tipizzazione che rimane incentrata sulla qualifica formale piuttosto che sulle funzioni effettivamente svolte.”[12 ]

È stata, inoltre, riconfermata l’esclusione dal novero dei soggetti attivi del reato dei soci promotori e dei soci fondatori “in coerenza con la scelta di non prendere più in considerazione la costituzione della società come possibile oggetto della falsa informazione societaria penalmente rilevante.” [1]

Oggetto materiale del reato, ossia il locus in cui deve estrinsecarsi la condotta tipica di falsa od omessa informazione “viene descritto dal legislatore con la triade bilanci- relazioni- altre comunicazioni sociali.” [14]

Le relazioni sono rapporti scritti previsti espressamente dalla legge come obbligatori in determinate situazioni; nel concetto di bilancio rientrano il bilancio d’esercizio, il bilancio consolidato nonché i c.d. “bilanci straordinari”; le comunicazioni sociali sono soltanto quelle “previste dalla legge”; si lascia così “al di fuori dell’ambito di operatività delle nuove incriminazioni qualunque comunicazione atipica, non istituzionalizzata per legge.” [15]

La direzionalità offensiva delle comunicazioni sociali è definita dal legislatore con l’espressione  «ai soci o al pubblico».

La schiera dei soggetti interessati alla veridicità e alla compiutezza dell’informazione societaria è dunque piuttosto vasta dovendosi ricomprendere nella categoria indicata con il termine «pubblico» l’insieme dei creditori sociali, dei soggetti legati alla società da rapporti contrattuali ed infine “i terzi quali potenziali soci, creditori e contrenti” [16] e poiché “le aspettative di tali categorie sono lungi dal coincidere, la disinformazione si caratterizza per un’incidenza offensiva molteplice e variabile a seconda delle situazioni.” [17]

La chiarezza con cui il legislatore individua i destinatari delle comunicazioni sociali inoltre, determina “l’esclusione dall’ambito applicativo delle nuove incriminazioni delle comunicazioni interorganiche, di quelle rivolte ad un singolo destinatario e di quelle ad autorità pubbliche di controllo.” [18]

Sul versante oggettivo, la condotta tipica è descritta dal legislatore in varianti alternative: l’esposizione di «fatti materiali rilevanti non rispondenti al vero» e l’omissione di «fatti materiali rilevanti la cui comunicazione è imposta dalla legge». 

La formulazione normativa utilizzata dal legislatore per la definizione dell’oggetto della condotta incriminata tanto nella sua forma positiva quanto nella forma omissiva (c.d. “falso per reticenza”) ha destato subito molteplici perplessità e ha dato vita a problematiche esegetiche che hanno reso necessario un intervento chiarificatore da parte dei più illustri esponenti della dottrina penalistica italiana.

Nell’apprezzabile tentativo di offrire una chiara interpretazione del sintagma «fatti materiali» ,            si è in un primo tempo evidenziato come “sul piano grammaticale si è in presenza una aggettivazione che rimanda al meccanismo dell’endiadi o della dittologia sinonimica, figure nelle quali il secondo termine del sintagma ha una funzione amplificativa del concetto espresso dal sostantivo, senza però che ne consegua una specificazione sul versante connotativo. In altre parole, la locuzione «fatti materiali» e, più precisamente, l’apposizione dell’aggettivo “materiali” non contribuisce in alcun modo a dettagliare il significato del termine “fatti”, il cui campo semantico rimane comunque invariato: d’altronde, nel contesto di riferimento ove il sintagma si colloca (il linguaggio giuridico), non avrebbe senso parlare, ad esempio, di “fatti immateriali” o di “fatti spirituali”, campioni evidenti della irrilevanza semantica dell’aggettivo.” [19]

Tuttavia, nell’intento di “restituire una qualche valenza all’aggettivo maldestramente impiegato si è guardato alla “verosimile genesi della locuzione derivante dalla traduzione (più esattamente: dalla traslitterazione) della formula di matrice anglosassone “material fact” [20] in cui material non ha il significato di “reale” o “tangibile”, ma di “significativo” o “rilevante”.

Il termine material dunque “fungerebbe da criterio selettivo e distintivo rispetto ad elementi di dettaglio, come tali non significativi, irrilevanti e non importanti”. [21]

Se si accogliesse questa tesi, però, si paleserebbe la ripetitività e la ridondanza della formula «fatti materiali rilevanti», che, stando alla prospettiva esegetica appena proposta dovrebbe essere letta come “fatti rilevanti rilevanti” e ciò confermerebbe quanto era già stato avanzato dal relatore del disegno di legge che, nella seduta al Senato del 19 Marzo 2015  definiva la locuzione “fatti materiali” come espressione “enfatica e caratterizzata sostanzialmente da superfetazioni nel senso che il fatto è irrimediabilmente materiale”.

Si potrebbe d’altro canto sostenere che il legislatore “abbia deliberatamente inteso far ricorso ad una vera e propria dittologia sinonimica allo scopo di rafforzare il concetto espresso dal prestito linguistico materiali” [22], ma anche tale tesi pare poco convincente dal momento che non offre effettivi contributi sul piano interpretativo.

Si è, pertanto, altresì sottolineata la necessità di percorrere nuovi percorsi esegetici che pur partendo dal dato letterale – che in ogni caso costituisce “il limite esegetico dell’interpretazione” [23] – si ancorassero ai canoni dell’interpretazione sistematica. [24]

A dirimere i dibattiti dottrinali aventi ad oggetto l’individuazione di un significato da attribuire al sintagma «fatti materiali» che tenesse conto del sistema in cui la norma trova collocazione è intervenuta la Suprema Corte di Cassazione.

La Corte, impegnandosi nell’attribuire significati distinti ai termini materiali rilevanti, ha statuito come il sostantivo materiale debba intendersi in senso tecnico e vada qualificato come “sinonimo di “essenzialità” e ciò nel senso che nel bilancio devono entrare solo dati informativi essenziali ai fini dell’informazione, restandone fuori tutti i profili marginali e secondari, in aderenza a quanto stabilito dalla legislazione comunitaria (art. 2, co.3 della IV direttiva CEE sul bilancio d’esercizio e art. 16, co.3 della VII direttiva CEE sul bilancio consolidato) e dalla legislazione nazionale all’art. 2423 cod.civ.” [25]

La Suprema Corte ha chiarito anche come il lemma  fatto “non può essere inteso nel suo significato comune, ossia come fatto/evento del mondo fenomenico, quanto piuttosto nell’accezione tecnica di dato informativo della realtà che i bilanci e le altre comunicazioni sono destinati a proiettare verso l’esterno.” [26]

Se è vero, infatti, che “ogni termine di una lingua rimanda ad un campo semantico che ricomprende tutti i significati che quel termine designa e la scelta del significato proprio di quel termine dipende dal contesto – il linguaggio di settore- nel quale esso viene di volta in volta impiegato.” [27]

L’inserimento dell’aggettivo rilevanti “trova giustificazione nella soppressione dei commi 3 e 4 dell’art. 2621 cod.civ. e dei commi 7 e 8 dell’art. 2622 cod.civ. contenenti le famigerate soglie di non punibilità” [28] e “rimanda ad un giudizio di relazione, non essendo ipotizzabile una rilevanza ex se, bensì sempre e soltanto una rilevanza, una significatività rispetto a qualcosa: dato il contesto nel quale il termine è inserito, nessun dubbio che tale rilevanza andrà misurata in rapporto alla condizione economica, patrimoniale o finanziaria della società o del gruppo cui essa appartiene.” [29]

In altri termini: rilevante è quell’informazione idonea ad influenzare le scelte dei destinatari delle medesime informazioni. [30]

Accogliendo quest’interpretazione dell’aggettivo in esame, facilmente si giunge alla conclusione che “il valore semantico dei termini rilevanti e materiali equivale a quello espresso dalla locuzione in modo concretamente idoneo” [31] con cui il legislatore connota la modalità esecutiva della condotta tipica e che svolge una “sicura funzione selettiva rispetto alla false ed omesse informazioni.” [32]

La componente dell’idoneità decettiva, pertanto, esaurisce pressoché totalmente il disvalore del fatto; si svela, così, la “superfluità ed indeterminatezza” [33] degli aggettivi materiali e rilevanti.

La condotta tipica, nella sua variante positiva, viene descritta dal legislatore come «l’esposizione di fatti materiali rilevanti non rispondenti al vero»; da quì la necessità di accordare un significato univoco al concetto di verità e di individuare i parametri alla stregua dei quali una determinata posta di bilancio possa essere qualificata come falsa. L’importanza di questa indagine discende dal fatto che l’accertamento della non conformità al vero dei valori iscritti in bilancio è presupposto per la punibilità dell’autore del mendacio.

Ai fini dell’accertamento della verità – falsità degli enunciati sono stati proposti in dottrina tre diversi approcci interpretativi.

Secondo un primo orientamento, “è la stessa disciplina civilistica a far da parametro per il giudizio di falsità, prevedendo, accanto ai principi generali per la redazione del bilancio (art. 2423 cod. civ.), precisi riferimenti in merito ai criteri da utilizzare per la valutazione dei singoli elementi. Una volta individuato il parametro nella legge, la nozione di falsità coinciderebbe con il discostamento dai criteri civilistici di redazione del bilancio e di stima delle singole voci, che delineano nel complesso il c.d. “vero legale” [34] da intendersi nel senso che “sia il bilancio che le singole componenti vengono considerati veri non nella misura in cui rispecchino valori effettivi (veri o presunti e peraltro opinabili) dei singoli elementi del patrimonio sociale, ma nella misura in cui sono redatti in conformità ai criteri legali di valutazione[…] non esistendo una realtà effettuale del bilancio, bensì solo una realtà normativa.” [35]

Tale tesi, se anche “ha l’indubbio pregio di assicurare un buon livello di tassatività alla fattispecie, può condurre ad un eccesso di semplificazione ed automatismo dell’intervento, così svilendo il significato dell’extrema ratio e attribuendo alla fattispecie carattere meramente sazionatorio dei precetti civilistici di redazione del bilancio, con il rischio di creare pericolose sovrapposizioni tra bilancio civilisticamente irregolare e bilancio penalmente falso.” [36]

Si fece strada, pertanto, un’altra via interpretativa, “che valorizza invece il concetto di “verità relativa”, da intendersi quale “adeguamento dei giudizi di valore alle norme tecniche (in senso lato), osservati i principi” stabiliti dalla legge “e tenuti presenti il tipo d’impresa e lo scopo che presiede alla compilazione del bilancio”. Su questa trama concettuale s’intravede uno spazio di discrezionalità tecnica attribuita ai redattori del bilancio, che diviene conoscibile dal giudice penale ogni qual volta superi i limiti della tollerabilità, sfociando in arbitrio. Prima della riforma del 2002, era questa forse la tesi più diffusa in giurisprudenza che aveva individuato la soglia della falsità delle valutazioni nel superamento della ragionevolezza, laddove cioè i compilatori del bilancio avessero superato quel margine di discrezionalità ragionevole loro spettante, senza che ciò trovasse idonea giustificazione nei principi contabili elaborati dalle scienze ragionieristiche e dagli scopi della stima. Il criterio del vero relativo, pur salvaguardando l’autonomia della fattispecie penale, mostrava però le sue pecche rispetto all’esigenza di una base legale certa sui confini dell’illiceità penale, non sufficientemente garantita da formule quali “verità relativa” o “ragionevolezza” così aperte da poter assurgere a vere e proprie clausole generali.

L’ultimo criterio proposto dalla dottrina per rilevare la falsità è quello della c.d. difformità tra il prescelto e il dichiarato che, “valorizzando il principio di chiarezza del bilancio e la sua funzione informativa, rinviene essenzialmente nella ricostruibilità del procedimento di valutazione la sua base concettuale. Si eleva così a sistema la capacità decettiva del falso, ritenendo che, attesa la strumentalità dei criteri legali alla corretta rappresentazione della situazione patrimoniale e finanziaria della società, la falsità di rilievo penale alberghi nella discordanza tra i criteri di valutazione esposti nella relazione di accompagnamento al bilancio (o nota integrativa) e quelli effettivamente utilizzati nel compiere le valutazioni.” [37]

Con riguardo alla falsità commissiva occorre poi sottolineare come, con l’intervento riformatore, sia stata espunta dal testo la proposizione subordinata concessiva «ancorchè oggetto di valutazioni» riferita ai «fatti materiali». [38]

Su tale questione, che costituisce il vero punctum pruriens della riforma, ci si soffermerà tuttavia più avanti nel corso della presente trattazione.

Con riguardo invece alla variante omissiva occorre precisare come abbia rilevanza penale la sola omissione di fatti materiali rilevanti la cui comunicazione è «imposta dalla legge»: imposto dalla legge “deve essere il contenuto dell’informazione indebitamente omessa” [39] sicchè “rileva l’omissione rispetto alle comunicazioni sociali obbligatorie a contenuto normativamente definito come nelle ipotesi dei bilanci di esercizio […] è invece penalmente irrilevante l’omissione nelle comunicazioni spontaneamente emesse dai soggetti qualificati nell’assenza di un paradigma legislativo anche implicito, come ad es. per i comunicati stampa e le interviste.” [40]

La rilevanza delle omissioni “è perfettamente comprensibile soltanto alla luce del concetto di intelligibilità del bilancio che è forse la migliore interpretazione dell’espressione giuridica “rappresentazione veritiera e corretta”. Infatti, un bilancio che ometta di comunicare valori connessi ad eventi economici verificatisi nel corso dell’esercizio o ad eventi passati che abbiano comunque un riflesso sulla condizione economico-patrimoniale dell’azienda a livello di impegno o di rischio per il presente ed al verificarsi di possibili danni per il futuro, non fornisce una rappresentazione veritiera e corretta dello stato dell’azienda.

Anche se da un punto di vista epistemologico l’omissione non è equiparabile ad una falsità esplicita, è tuttavia da considerare come causa di falsità del bilancio poiché lo rende inintelligibile.” [41]

Oggetto del messaggio decettivo (id est: ciò che viene alterato con la consumazione del reato) è la situazione «economica, patrimoniale o finanziaria della società o del gruppo al quale la stessa appartiene».

La condotta tipica, ai fini dell’integrazione del reato, deve essere posta in essere «in modo concretamente idoneo ad indurre altri in errore».

La formulazione con cui il legislatore connota la modalità esecutiva della condotta “è ricchissima di locuzioni espressive dell’esigenza di una piena e reale offensività della condotta tipica.” [42]

L’inserimento del requisito dell’idoneità ad ingannare come autonome elemento della fattispecie infatti “comporta l’esclusione del falso penalmente rilevante in ipotesi in cui, dal punto di vista civilistico, vi sarebbe violazione del criterio legale di valutazione, ma non vi sarebbe –in conseguenza dell’esplicitazione del criterio valutativo adottato- idoneità ad ingannare.” [43]

Il falso dunque, per essere penalmente rilevante, deve anche essere “insidioso”.

L’avverbio «concretamente» serve poi a sottolineare come “il falso punibile deve essere non solo insidioso, per capacità decettiva, ma anche significativo, tale da alterare in modo sensibile la rappresentazione della situazione.” [44]

La “polarizzazione intorno alla componente decettiva porta in primo piano la circostanza che il comportamento punibile (id est: l’esposizione di dati falsi anche per reticenza) deve consistere nella comunicazione di un compendio informativo tale da generare nel terzo destinatario una rappresentazione difforme e alterata in misura tale da cagionare un errore sull’apprezzamento che il destinatario stesso si forma in ordine alla situazione economica, patrimoniale e finanziaria della società.” [45]

I destinatari delle comunicazioni sociali qui indicati con il termine «altri» non sono altro che le categorie di cui si è già detto con riguardo alla direzionalità offensiva della condotta tipica. [46]

Non meno significative sono state le modifiche apportate dall’intervento riformatore sul versante soggettivo.

La formulazione testuale previgente richiedeva, ai fini dell’integrazione del reato, l’accertamento di un dolo intenzionale di inganno espresso con la formula «con l’intenzione di ingannare i soci o il pubblico» (derogando, così, alla regola dell’indifferenza dell’elemento soggettivo in materia di contravvenzioni) nonché l’accertamento del dolo specifico di ingiusto profitto «per sé o per altri».

Una siffatta configurazione dell’elemento soggettivo del reato “rappresentava uno dei principali responsabili della scarsa effettività della norma” [47] poiché “il dolo intenzionale implica che sarà necessario riscontrare negli amministratori (o negli altri potenziali soggetti attivi del reato) la precisa ed esclusiva (o, comunque, dominante nella sfera volitiva dell’agente) intenzione di trarre in inganno alcuno dei destinatari qualificati delle comunicazioni (soci e/o pubblico), con esclusione quindi della configurabilità del reato a titolo di dolo eventuale. Per quanto concerne il dolo specifico di ingiusto profitto, si potrà ritenere che non ne sussistano gli estremi ogniqualvolta la falsa comunicazione sia stata soggettivamente orientata dagli amministratori (ex ante, e non soltanto nelle prospettazioni difensive ex post) al salvataggio dell’impresa sociale , al recupero di una immagine positiva e di una competitività sui mercati, alla salvaguardia dei posti di lavoro ecc.; scopi, cioè, di per sé tutt’altro che disapprovati dall’ordinamento e certamente non qualificabili in termini di ingiusto profitto.” [48]

Un tale scenario rendeva il reato di false comunicazioni sociali “di difficile se non impossibile accertamento sul piano probatorio.” [49]

La riforma ha anzitutto eliminato il dolo intenzionale di inganno (c.d. animus decipiendi), “confermando il solo dolo specifico di ingiusto profitto per sé o per altri (c.d. animus lucrandi)

come elemento finalistico che deve orientare l’autore.” [50]

Il dolo specifico di profitto tuttavia non esaurisce “il contenuto dell’elemento soggettivo dei nuovi reati di false comunicazioni sociali, per i quali ricopre fondamentale importanza l’accertamento del dolo generico.” [51]

È stato introdotto, in sostituzione del precedente “intenzionalmente”, l’avverbio «consapevolmente» che “descrive ora il necessario coefficiente di partecipazione psicologica dell’autore alle condotte tipiche, fissando uno spartiacque tra conoscenza e conoscibilità delle falsità” [52] e che “appare sintomatico della volontà del legislatore di escludere la rilevanza del dolo eventuale.” [53]

Nell’intento di “dare un assetto articolato alla tutela penale dell’informazione societaria che tenesse conto della diversa offensività” [54] della condotta il legislatore, con l’intervento riformatore, ha introdotto due “previsioni di favore” [55] riferite al solo reato di false comunicazioni sociali di cui all’art. 2621 cod. civ. : l’art. 2621 bis cod. civ., rubricato «Fatti di lieve entità» e l’art. 2621 ter, rubricato «Non punibilità per particolare tenuità del fatto».

La fattispecie di cui all’art. 2621 bis cod. civ. disciplina due “ipotesi speciali” [56]–rispetto ai fatti tipizzati nella fattispecie generale di cui all’art. 2621 cod. civ.- per le quali dispone una cornice edittale più mite («salvo che il fatto non costituisca più grave reato») ove essi siano «di lieve entità, tenuto conto della natura e delle dimensioni della società e delle modalità o degli effetti della condotta» e ove riguardino società «che non superano i limiti indicati dal secondo comma dell’articolo 1 del regio decreto 16 Marzo 1942 n.267» ( rectius: ove i fatti riguardino società non soggette alle disposizioni sul fallimento e sul concordato preventivo di cui all’art. 1, co.2, l. fall.) rispetto alle quali è stabilita la procedibilità del reato «a querela della società, dei soci, dei creditori o degli altri destinatari della comunicazione sociale». [57]

Il primo problema interpretativo che tale formulazione testuale pone è quello accordare ai termini «natura» e «dimensioni» (parametri che il giudice dovrà valutare per stabilire se il fatto sia o meno di “lieve entità” e dunque, se la condotta tipica integri o meno la fattispecie in esame) un’accezione che possa ben rispondere ai criteri di tassatività e determinatezza della fattispecie penale.

Assodata la “reticenza” del legislatore sul punto, la dottrina ha ritenuto come il termine «natura» si faccia riferimento ad un parametro di tipo qualitativo con cui si allude perciò alla tipologia societaria, mentre con termine «dimensioni» impone al giudice di aver riguardo anche a parametri squisitamente quantitativi tra cui “possono essere annoverati il capitale sociale, il fatturato, il patrimonio, il numero dei dipendenti, ma anche dei ricavi e l’indebitamento.” [58]

Controversa è la natura giuridica delle due diverse ipotesi contemplate all’art. 2621 bis cod.civ. : secondo alcuni, infatti, si tratta di fattispecie autonome di reato e non già di circostanze attenuanti [59], secondo altri, invece, “sarebbe preferibile ricondurre la fattispecie di cui all’art. 2621 bis cod.civ. nel novero delle circostanze attenuanti. La norma, infatti, nulla aggiunge e nulla toglie rispetto al precetto contenuto all’interno del richiamato art. 2621 cod.civ., limitandosi a determinare una diminuzione di pena nel caso in cui i fatti ivi contemplati siano di lieve entità.” [60]

Con la fattispecie di cui all’art. 2621 ter il legislatore “si è fatto carico di coordinare il reato di cui agli artt. 2621 cod. civ. e 2621 bis cod. civ. e l’art. 131 bis c.p., che esclude la punibilità quando, per le modalità della condotta e per l’esiguità del danno o del pericolo, l’offesa al bene giuridico è di particolare tenuità e il comportamento risulta non abituale.” [61]

Il dato letterale prescrive che nell’apprezzamento dei parametri indicati nell’art.131 bis c.p. il giudice debba valutare in modo prevalente «l’entità dell’eventuale danno cagionato alla società, ai soci o ai creditori».

Autorevole dottrina, sin dai primi commenti sulla riforma, ha rimarcato la “sostanziale indeterminatezza” [62] dell’espressione “in modo prevalente” che, oltre a suggerire che “anche gli altri indici indicati dall’art.131 bis c.p. (che infatti contempla anche quello inerente al danno) debbano essere oggetto della stima giudiziaria” [63], evoca altresì “un accertamento all’insegna della massima discrezionalità” [64] dell’organo giudicante.

Parimenti indeterminato appare il concetto di entità del danno rispetto al quale è stata anche sottolineata la “palese contraddizione legislativa” [65] se si considera che le fattispecie cui la norma si riferisce sono state strutturate dal legislatore come reati di pericolo concreto in cui all’elemento del danno “non è stato conferito neppure il ruolo di circostanza aggravante” [66].

Quid iuris poi, nel caso in cui la condotta tipica si arresti alla fase del tentativo o giunga a consumazione senza però cagionare un danno, ma “semplicemente” una messa in pericolo al bene giuridico tutelato?

Si dovrebbe ritenere che “la carenza del danno determini automaticamente la non punibilità per particolare tenuità dell’offesa [67], ma tale conclusione, “sebbene non preclusa dal dato letterale, sembra eccessiva sul versante sistematico, perché finirebbe per l’attribuire all’estremo del danno portata assoluta e non già relativa, come implicava invece il termine prevalente.” [68]

Con riferimento ai destinatari del danno risulta ictu oculi l’omesso richiamo degli «altri destinatari della comunicazione sociale» che “può certo attribuirsi ad una dimenticanza, peraltro assai grave in quanto irrazionalmente esclude la categoria del pubblico dalla valutazione sull’esiguità del danno.” [69]

Sul piano esegetico, inoltre, “ben arduo compito si presenta all’interprete quando si debba rintracciare un criterio differenziatore tra la categoria dei fatti di lieve entità e quella di particolare tenuità del fatto.” [70]

Al riguardo, è stata offerta una soluzione che si ritiene di poter accogliere. 

Si è detto in particolare che “ferma restando la confusione determinata dalla citata parziale sovrapposizione di alcuni dei requisiti, si può forse ipotizzare che la «lieve entità» debba essere – viene da dire in modo prevalente (per citare le parole del legislatore) – apprezzata sulla base della dimensione della società in quanto suggestiva della estensione dell’offesa (sul presupposto che la dimensione della società sia in relazione diretta con il numero dei destinatari della comunicazione sociale), mentre il giudizio circa la «particolare tenuità» debba trovare invece fondamento essenzialmente nell’estremo del danno (eventuale) nonché nei parametri concernenti il pericolo e le modalità della condotta.” [71]

Il legislatore, con l’intervento riformatore, ha poi completamente ridisegnato la fattispecie di cui all’art. 2622 cod. civ. che attualmente disciplina le «False comunicazioni sociali delle società quotate».

Con tale modifica il legislatore ha inteso approntare “una risposta autonoma, munita di un trattamento sanzionatorio decisamente severo in ragione della diversa diffusività degli effetti conseguenti all’offesa della trasparenza societaria.” [72]

Con riguardo al bene giuridico tutelato, se esso ante riforma veniva ravvisato negli interessi patrimoniali dei soci, dei creditori e degli stakeholders, ora è rappresentato dalla correttezza e dalla trasparenza dell’informazione societaria nelle società quotate nei mercati regolamentati o in quelle ad esse equiparate.

Più in particolare, le “costellazioni tipologiche” [73] cui si riferisce l’art. 2622 cod.civ. sono: le società emittenti strumenti finanziari ammessi alla negoziazione in un mercato regolamentato italiano o di altro Paese dell’Unione europea (comma primo), società emittenti strumenti finanziari per i quali è stata presentata richiesta di ammissione alla negoziazione, società emittenti strumenti finanziari ammessi alla negoziazione in un sistema multilaterale di negoziazione italiano, società che controllano emittenti finanziari ammessi alla negoziazione, società che fanno appello al pubblico risparmio o che lo gestiscono (comma secondo).

La condotta tipica e i coefficienti di offensività e consapevolezza ricalcano la formulazione utilizzata per la descrizione della fattispecie di cui all’art. 2621 cod.civ. al commento della quale pertanto si rimanda.

Volendo individuare dunque soltanto le due principali “note differenziali” rispetto alla “fattispecie generale” si può evidenziare l’assenza dell’inciso «previste dalla legge» riferito alle comunicazioni sociali quali veicolo di falsità e la mancanza dell’aggettivo «rilevanti», riferito ai «fatti materiali» con cui il legislatore connota la sola falsità commissiva.

Con riguardo al primo punto, è stato asserito che tale scelta “– ove la si ritenga deliberata e consapevole – sembrerebbe estendere la punibilità del falso commesso in seno a società quotate ad ogni dichiarazione, orale o scritta, resa non sulla base di obblighi normativi espressi, taciti o impliciti, ma anche in conseguenza di iniziative volontariamente assunte.” [74]

Con riguardo invece alla seconda nota differenziale, da più parti la dottrina ha sostenuto come ci si trovi in presenza di un vero e proprio lapsus calami [75] ; altri invece hanno intravisto nella mancata riproposizione dell’aggettivo «rilevanti» una intentio legis “nel segno di un ampliamento della nozione tipica di falso, valevole a ricomprendere ogni ipotesi di scarto contabile, anche quantitativamente minimale.” [76]

Indubbio che una scelta nel segno della coerenza da parte del legislatore avrebbe certamente dissipato i dubbi interpretativi sul punto.

Per quanto riguarda il trattamento sanzionatorio, il legislatore ha differenziato la risposta punitiva avendo riguardo al diverso grado di offensività della condotta tipica:

  1. per la fattispecie “generale” di cui all’art.2621 cod.civ., la pena è la reclusione da uno a cinque anni, con termine di prescrizione di sei anni;
  2. per le ipotesi di lieve entità contemplate all’art.2621 bis cod.civ., la pena è la reclusione da sei mesi a tre anni con termine di prescrizione di sei anni;
  3. per la fattispecie “speciale” disciplinata all’art.2622 cod.civ., la pena è la reclusione da tre a otto anni con termine di prescrizione di otto anni.

Il momento consumativo ai fini dell’individuazione del dies a quo di decorrenza dei termini prescrizionali viene individuato dalla dottrina nel momento del deposito del bilancio ex art. 2429 cod.civ., o, al più tardi, “nel momento in cui la falsa comunicazione- incorporata in relazioni, comunicazioni scritte, etc.- giunge a conoscenza dei destinatari, eventualmente nelle forme e con le modalità eventualmente stabilite dalla legge (ad es., deposito della comunicazione scritta, ove normativamente previsto).” [77]

Il tentativo pare astrattamente ipotizzabile; tuttavia, stante l’attuale configurazioni dei reati in esame come reati di pericolo concreto, ammettere il tentativo “vorrebbe dire esasperare la linea di anticipazione della tutela già sottesa al modello strutturale prescelto dal legislatore.” [78]

Da ultimo, come per gli altri reati societari, la competenza a conoscere dei reati di false comunicazioni sociali spetta al tribunale in composizione collegiale ex art. 33 bis, lett.d), c.p.p.

Tracciati i principali punti di novità della riforma dei reati di false comunicazioni sociali pare opportuno, a questo punto della trattazione, concentrare l’attenzione su quello che, come poc’anzi si accennava, costituisce il vero nodo cruciale dell’intervento riformatore ossia se, anche a seguito  dell’espunzione dalla littera legis della clausola « ancorchè oggetto di valutazioni» riferita ai «fatti materiali» oggetto della condotta nella sua variante positiva, sia ancora penalmente rilevante il falso insinuato nelle cosiddette valutazioni estimative. [79]

In altre parole: bisogna comprendere se la soppressione della proposizione subordinata concessiva dalla formulazione testuale abbia prodotto un effetto parzialmente abrogativo della fattispecie con conseguente irrilevanza penale delle valutazioni mendaci ovvero se tale effetto non si sia verificato.

La questione è “potenzialmente dirompente”: “posto che quasi tutte le voci di bilancio sono frutto di una qualche valutazione, ove la fattispecie penale non le ricomprendesse, la norma “risulterebbe sostanzialmente ineffettiva e/o inadeguata rispetto allo scopo di tutela prefissato.” [80]

La dottrina che “da sempre si era interrogata in merito alla rilevanza delle valutazioni presenti in bilancio, domandandosi se ed eventualmente quando le stesse potessero essere qualificate come false” [81], sin dai primi commenti sulla novella legislativa, si mostrò divisa al riguardo.

In estrema sintesi e senza pretese di completezza, secondo alcuni commentatori, l’intervento legislativo avrebbe determinato un effetto parzialmente abrogativo della norma in relazione valutazioni estimative la cui falsità, pertanto, non sarebbe penalmente rilevante. [82]

In base a tale impostazione restrittiva, “nel concetto tipico di «fatti materiali» non potrebbero essere ricomprese le valutazioni, che –nella semantica della materia contabile e bilancistica- costituiscono dati informativi autonomi e distinti rispetto ai fatti materiali.

Lo specifico e voluto inserimento nella trama normativa del fatto tipico del sintagma lessicale «fatti materiali» – avvenuto in sostituzione del concetto generale di «informazioni»  – altro non potrebbe significare se non la volontà del legislatore di circoscrivere la rilevanza delle informazioni tipiche oggetto di falsificazione, attraverso l’espunzione dei dati estimativi.

Sul fronte opposto, autorevole dottrina “si è chiesta quali siano le concrete possibilità applicative di una fattispecie di false comunicazioni sociali che rinunci a punire le valutazioni di bilancio” [83] e ha obiettato –riproponendo un monito che Luigi Conti formulava già nel 1980-  che accogliere una siffatta interpretazione restrittiva della fattispecie significherebbe, in concreto, abrogare la fattispecie. [84]

Secondo tale impostazione estensiva, “la nuova formulazione legislativa non determinerebbe alcun effetto di modifica della estensione normativa del tipo, considerando che la proposizione concessiva soppressa dalla descrizione legale del fatto costituiva una mera “superfetazione letterale” nella struttura della fattispecie previgente, che nulla aggiungeva e nulla toglieva alla dimensione semantica tipica dei «fatti materiali». 

In sostanza, si afferma come tutte le valutazioni delle poste di bilancio presuppongano l’esistenza di un «fatto materiale»  (al quale si riferiscono) e la scorretta rappresentazione del valore corrispondente si traduce sempre in una falsità del fatto materiale sottostante. […] 

L’interpretazione estensiva, d’altra parte, risponde ad una fondamentale logica conservativa

della funzionalità della fattispecie incriminatrice, perché il bilancio d’esercizio assume rilevanza informativa solo nel prisma delle valutazioni estimative; negare rilevanza ai dati valutativi significa, semplicemente, svuotare la funzione di tutela della norma penale.” [85]

In questo “quadro di penalità contesa delle false valutazioni” [86], intervenne a far chiarezza la Quinta Sezione Penale della Suprema Corte di Cassazione che, con una prima pronuncia di legittimità, [87] “ha riconosciuto, in relazione alle falsità valutative un effetto intertemporale di abolitio criminis parziale della nuova fattispecie con efficacia iper- retroattiva (cioè idonea a travolgere anche eventuali giudicati di condanna) rispetto ai fatti precedentemente commessi.” [88]

La Suprema Corte aderiva così pienamente a quell’impostazione restrittiva proposta da parte di alcuni esponenti della dottrina e, a sostegno di tale tesi, sosteneva una serie di argomenti:

  1. Argomento letterale.

La soppressione dell’inciso «ancorchè oggetto di valutazioni» sarebbe “univocamente indicativa del venir meno della rilevanza penale della falsità avente ad oggetto le valutazioni e del conseguente effetto di parziale abolitio criminis rispetto alla formulazione normativa previgente.” [89]

  1. Argomento a contrario: ubi lex voluit dixit, ubi noluit tacuit.

Dal confronto normativo con l’art. 2626 cod.civ. (Ostacolo all’esercizio delle funzioni di vigilanza) emerge come il legislatore, nel descrivere l’oggetto della falsità, utilizza tuttora l’espressione «fatti materiali ancorchè oggetto di valutazione». 

  1. Argomento analogico: a simili ad simile.

La locuzione fatti materiali era stata utilizzata dal legislatore in materia tributaria “proprio per estromettere dalla tipicità del reato di frode fiscale le falsità valutative relative alle componenti attive o passive del reddito dichiarato” [90] con la conseguenza che il significato normativo da attribuire a tale sintagma deve essere lo stesso in tema di false comunicazioni sociali.

  1. Argomento della voluntas legislatoris: la sostituzione del termine «informazioni» (presente nel disegno di legge originario) con il sintagma «fatti materiali» è espressione dell’intenzione di “sopprimere le valutazioni dall’ambito di riferimento delle false comunicazioni sociali” [91]. Se infatti “parlare di falsità delle informazioni societarie non potrebbe che ricomprendere anche le valutazioni, la stessa cosa non può dirsi del riferimento a fatti materiali: un fatto rappresentato nelle scritture obbligatorie rileverebbe nella misura in cui rappresenti una realtà materiale oggettivamente falsa.” [92]

Poco tempo dopo tuttavia, la stessa Quinta Sezione Penale (in una diversa composizione di giudici), chiamata a pronunciarsi su un caso di bancarotta impropria societaria, smentiva la tesi precedentemente sostenuta e affermava, accogliendo quell’impostazione estensiva sorretta dai maggiori esponenti della dottrina, la perdurante rilevanza penale delle valutazioni mendaci. [93]

A sostegno di tale conclusione, la Suprema Corte richiamava:

  1. L’argomento della volontà oggettiva della norma in virtù del quale “non conta ciò che il legislatore storico si prefiggeva soggettivamente di realizzare, ma ciò che ha oggettivamente prodotto attraverso la formulazione del testo normativo” [94]
  2. L’argomento testuale – sintattico attraverso il quale si giunge alla conclusione che “la proposizione «ancorchè oggetto di valutazioni» avrebbe valore ancillare, meramente esplicativa e chiarificatrice del nucleo sostanziale della proposizione principale” e non dunque additiva.
  3. L’argomento analogico con specifico riferimento alle fattispecie incriminatrici in materia di falso ideologico in cui “la giurisprudenza inquadra nel paradigma della falsità anche gli enunciati valutativi.” [95]
  4. L’argomento teleologico con cui la Suprema Corte rammenta come la modifica dei reati di false comunicazioni sociali trovi ubicazione in un più generale provvedimento anticorruzione sicchè, poiché “è la stessa esperienza criminologica ad insegnare come molto spesso dietro il falso in bilancio si annidi il rischio di formazione di provviste utili a corrompere, escludere dall’alveo dei falsi punibili quello valutativo significherebbe frustrare le finalità della legge.” [96]

Successivamente, sempre la Quinta Sezione Penale, in una diversa composizione, ribaltava le conclusioni cui era giunta con la seconda pronuncia di legittimità e riaffermava con forza la non punibilità delle valutazioni mendaci. [97]

Al fine di arginare tale contrasto interpretativo, la stessa Quinta Sezione Penale, con ordinanza depositata in data 4 Marzo 2016, rimetteva alle Sezioni Unite Penali il seguente quesito:             “Se, in tema di false comunicazioni sociali, la modifica con cui l’art.9 della legge 27 Maggio 2015, n.69, che ha eliminato, nell’art.2621 cod.civ., l’inciso “ancorchè oggetto di valutazioni”, abbia determinato un effetto parzialmente abrogativo della fattispecie, ovvero se tale effetto non si sia verificato.”

Le Sezioni Unite, con una sentenza di “esemplare chiarezza” [98], hanno in primo luogo proceduto ad una ricognizione della stratificazione normativa che, nel corso degli anni, ha connotato la fattispecie del falso in bilancio concentrando l’attenzione sull’adozione della formula verbale utilizzata per descriver l’oggetto della condotta di falsificazione; i supremi giudici hanno poi constatato, nel ripercorrere in maniera puntuale le argomentazioni poste alla base delle tre pronunce di legittimità, come la Quinta Sezione Penale avesse, nell’interpretazione del dettato normativo, enfatizzato eccessivamente il canone ermeneutico dell’interpretazione letterale e pertanto, hanno ritenuto opportuno sottolineare che l’interpretazione letterale altro non è che un (indispensabile) passaggio funzionale verso la completa ed esaustiva intelligenza del comando legislativo, ma, nell’interpretazione della norma non è sufficiente verba earum tenere, sed vim ac potestatem.

Muovendo quindi dalla necessità di affrontare il problema in una visione logico – sistematica dell’intera materia societaria, i giudici delle Sezioni Unite hanno evidenziato come da un’attenta lettura della disciplina civilistica emerga chiaramente come il legislatore, consapevole dell’importanza della funzione informativa cui assolve il bilancio, si sia fatto carico non solo di indicare la struttura e il contenuto del bilancio, ma abbia anche dettato i criteri di redazione del medesimo, tenendo in considerazione che in esso confluiscono non solo dati certi, ma anche dati stimati e dati congetturati.

Le Sezioni Unite dunque, seguendo tale impostazione sistematica, giungevano alla conclusione per cui essendo il bilancio un documento dal contenuto essenzialmente valutativo, “sterilizzarlo” con riferimento al suo contenuto valutativo significherebbe negarne la funzione e stravolgerne la natura.

I supremi giudici, poi, rammentando che la giurisprudenza antecedente alla riforma del 2015 era stata costante nel non aver mai dubitato della valenza meramente concessiva del sintagma  «ancorchè oggetto di valutazioni», ne ha sancito chiaramente la sostanziale superfluità ai fini dell’interpretazione della norma.

A conclusione delle argomentazioni svolte, le Sezioni Unite Penali hanno statuito che “pur dopo le modifiche apportate dalla legge n.69 del 2015, (anche) in tema di false comunicazioni sociali, il falso valutativo mantiene il suo rilievo penale” [99] e hanno affermato il principio di diritto per cui:

 “Sussiste il delitto di false comunicazioni sociali, con riguardo alla esposizione o alla omissione di fatti oggetto di valutazione, se, in presenza di criteri di valutazione normativamente fissati o di criteri tecnici generalmente accettati, l’agente da tali criteri si discosti consapevolmente e senza darne adeguata informazione giustificativa, in modo concretamente idoneo ad indurre in errore i destinatari delle comunicazioni”. [100]

In altre parole, il falso insinuato nelle valutazioni integra il reato di false comunicazioni sociali e si realizza quando il redattore del bilancio, nel processo di determinazione del valore da attribuire ai singoli elementi del patrimonio, si discosti consapevolmente dai criteri tecnici dettati per la redazione del bilancio senza darne una adeguata giustificazione nella nota integrativa che accompagna il documento.

La decisione circa la falsità di una valutazione di bilancio dipende dunque dal rispetto dei criteri tecnici di redazione “normativamente fissati” o “generalmente accettati”. [101] Tale conclusione tuttavia, se anche ispirata dall’intento pur nobile di reintegrare in determinatezza la fattispecie, pone non pochi problemi sul versante applicativo: l’ampliamento ai criteri generalmente accettati, poiché richiama fonti extralegali ad integrare il precetto penale, genera un vulnus della riserva di legge con conseguente riapertura delle problematiche applicative che avevano condotto all’ espunzione del falso valutativo dalla littera legis.

Da ultimo, occorre evidenziare che tale operazione di “delimitazione della tipicità del fatto penale” [102] con cui le Sezioni Unite hanno messo a tacere il fervido dibattito dottrinale e risolto il contrasto giurisprudenziale è espressione di un’interpretazione creativa del dato normativo che in qualche misura stride con il principio di legalità di cui all’art. 25, co. 2, Cost. tra i cui corollari rientra(va) la determinatezza della fattispecie penale. Il rispetto di tale sottoprincipio infatti, fa sì che “laddove il giudice riscontri un tasso di indeterminatezza nell’elaborazione della fattispecie, dovrebbe sollevarsi, anche d’ufficio, questione di legittimità costituzionale della norma avanti alla Corte Costituzionale, piuttosto che specificarne il contenuto, di per sé indeterminato, in funzione della fattispecie in esame.” [103]

Tuttavia una tale impostazione ermeneutica sembrerebbe ormai smentita dalle stesse parole del legislatore che, durante una discussione sulla proposta di legge, aveva affermato che “sarà la nostra Corte di Cassazione a dover valutare se gli elementi valutativi e le stime possano o meno rientrare all’interno di un concetto che implica fatti materiali rilevanti.

Dinanzi dunque ad un legislatore che “sembra scientemente abdicare al proprio ruolo di autore delle regole legali, rimettendo direttamente alla giurisprudenza il compito di stabilire il confine tra i comportamenti costituenti reato e quelli penalmente irrilevanti” [104], le decisioni giudiziarie “funzionano come da formante del diritto vivente, nel bene e nel male.” [105]

In conclusione, se anche è indubbio che il legislatore avrebbe potuto essere “più attento e consapevole nella scelta delle parole che disegnano tassativamente i confini del fatto tipico” [106], è altrettanto innegabile che l’intervento legislativo debba essere salutato con favore.

Il nuovo assetto dei reati di false comunicazioni sociali è infatti certamente adeguato alla rilevanza del bene giuridico tutelato e risponde appieno alle finalità di lotta alla corruzione cui la legge n. 69 del Maggio 2015 è ispirata.

NOTE:

[1] Scrive BELLACOSA M., in Commento agli artt. 2621- 2642 (Disposizioni penali in materia di società e consorzi) in AA.VV., Codice Civile commentato con la dottrina e la giurisprudenza, a cura di P.Rescigno, Milano, 2008: “Il superamento delle soglie percentuali – che specifica il generico requisito della “sensibile alterazione”- non integra una mera condizione di punibilità, ma segna l’ingresso della condotta offensiva nella sfera della tipicità.” 

Sul punto si veda anche SCOLETTA M., Tutela dell’informazione societaria e vincoli di legalità nei nuovi delitti di false comunicazioni sociali in Pluris, Digesto UTET il quale in merito scrive: “Nelle fattispecie penali previgenti, la previsione delle soglie numeriche di punibilità doveva essere funzionale ad evitare che il falso in bilancio potesse essere contestato – perpetuando certi eccessi del passato – in relazione a falsità quantitative ‘poco significative’ rispetto alla rappresentazione della situazione economica, patrimoniale o finanziaria della società.

In questa prospettiva, il sistema delle soglie percentuali rappresentava la concretizzazione, espressa in forma tassativa ma piuttosto grossolana, del requisito tipico della “rilevanza” o “significatività” della falsità in bilancio, che la dottrina penalistica – invero poco ascoltata dalla giurisprudenza (soprattutto degli anni ’90)  – aveva cercato di imporre anche nella lettura dell’originaria fattispecie del 1942. […] Le nuove fattispecie incriminatrici, grazie alla soppressione del sistema delle soglie percentuali, dovrebbero inibire alla radice la possibilità di ricorrere a marchingegni contabili che consentano di redigere bilanci significativamente falsi ma comunque immuni – more arithmetico – dal rischio penale: il giudizio sulla “rilevanza” delle falsità quantitative in bilancio è infatti sottratto alla rigidità e al formalismo di calcoli numerici.”

[2] Così, SGUBBI F., Appunti dalle lezioni, LUISS GUIDO CARLI, A.A.2016/2017.

[3] Così, MANES V., La nuova disciplina delle false comunicazioni sociali, p.8 in Diritto Penale Contemporaneo

[4] Così, MANES V., La nuova disciplina delle false comunicazioni sociali, p.9 in Diritto Penale Contemporaneo

[5] Così, MASULLO M.N., Falso in bilancio e valutazioni punibili? Altri e non meno rilevanti interrogativi p.2 in Diritto Penale Contemporaneo.

[6] Così, MANES V., La nuova disciplina delle false comunicazioni sociali, p.11 in Diritto Penale Contemporaneo.

[7] Così, CAMPOBASSO G.F., Diritto commerciale, Vol.2. Diritto delle società, p.461, Torino, 2013.

[8] Così, CLARICH M., Manuale di diritto amministrativo, Bologna, 2014.

[9] Così, GUALTIERI P., Le nuove false comunicazioni sociali: il punto di vista dell’economista aziendale, p.3 in Diritto Penale Contemporaneo.

Il Mucciarelli, ne Le “nuove” false comunicazioni sociali: note in ordine sparso, p.23 in Diritto Penale contemporaneo, appella il bilancio d’esercizio come “la comunicazione sociale per eccellenza”.                                            

[10] Così, GUALTIERI P., Le nuove false comunicazioni sociali: il punto di vista dell’economista aziendale, p.3 in Diritto Penale Contemporaneo.

[11]Così, BELLACOSA M., Commento agli artt. 2621- 2642 (Disposizioni penali in materia di società e consorzi) in AA.VV., Codice Civile commentato con la dottrina e la giurisprudenza, a cura di P.Rescigno, Milano, 2008.

[12] Così, MANES V., La nuova disciplina delle false comunicazioni sociali, p.13 in Diritto Penale Contemporaneo.

 Sul punto si veda anche SEMINARA S., La riforma dei reati di false comunicazioni sociali in Pluris, Digesto UTET, p.814, per il quale: “I redattori della norma sono però incorsi in due errori.

Il primo è di carattere formale, sebbene qui la forma sia anche sostanza: mentre l’abrogato art.2621, entrato in vigore prima della riforma del diritto commerciale, conteneva qualifiche soggettive che non potevano tenere conto dei sistemi monistico e dualistico successivamente introdotti, ora sarebbe stato invece possibile e doveroso allineare

la disposizione alle nuove tipologie degli organi gestionali e di controllo, come peraltro già avvenuto

con l’art. 2629 bis. Il secondo errore riguarda la previsione dei dirigenti preposti alla redazione dei documenti contabili societari, assolutamente fuori luogo in una fattispecie dedicata alle società non quotate.”

Un problema di ordine prasseologico è stato posto dal Prof.Sgubbi con riguardo alla difficoltà di individuare, tra i soggetti titolari di funzioni di amministrazione attiva e controllo, coloro i quali possano effettivamente essere chiamati a rispondere per il delitto di false comunicazioni sociali. Ci si chiedeva infatti “se anche gli amministratori senza delega, che nulla sanno di bilancio possano essere indagati per il delitto in questione. Posto che i delitti per cui si procede sono delitti dolosi, è sufficiente che l’amministratore senza delega accetti la probabilità che il bilancio che concorre ad approvare possa essere falso? E, prima ancora, questi delitti sono compatibili con la figura del dolo eventuale?”

Così, SGUBBI F., Appunti dalle lezioni, LUISS GUIDO CARLI, A.A.2016/2017.

[13] Così, BELLACOSA M., Commento agli artt. 2621- 2642 (Disposizioni penali in materia di società e consorzi) in AA.VV., Codice Civile commentato con la dottrina e la giurisprudenza, a cura di P.Rescigno, Milano, 2008.

[14] Così, BELLACOSA M., in Commento agli artt. 2621- 2642 (Disposizioni penali in materia di società e consorzi) in AA.VV., Codice Civile commentato con la dottrina e la giurisprudenza, a cura di P.Rescigno, Milano, 2008.

[15] Così, BELLACOSA M., in Commento agli artt. 2621- 2642 (Disposizioni penali in materia di società e consorzi) in AA.VV., Codice Civile commentato con la dottrina e la giurisprudenza, a cura di P.Rescigno, Milano, 2008 il quale chiarisce, tra l’altro, come il termine legge “va qui inteso in senso lato e non tecnico, come comprensivo cioè di tutte le fonti autorizzate dall’ordinamento giuridico, ivi compresi i regolamenti delle varie Autorità indipendenti di controllo.”

[16] Così, MUCCIARELLI F., in Commento alla sent. Cass. pen., Sez. V, n.9186/16.

[17] Così, PEDRAZZI C., Società commerciali (disciplina penale) in Dig. Disc. Pen., XIII, Torino, 1998, p.347 ss.

[18] Così, BELLACOSA M., in Commento agli artt. 2621- 2642 (Disposizioni penali in materia di società e consorzi) in AA.VV., Codice Civile commentato con la dottrina e la giurisprudenza, a cura di P.Rescigno, Milano, 2008 il quale, sul punto, rammenta che: “Le comunicazioni al singolo destinatario di natura privatistica dovranno trovare tutela penale nell’ambito della figura della truffa ex art.640 c.p., mentre per le comunicazioni alle autorità di vigilanza soccorre la nuova figura dell’art.2625 c.c.”

[19] Così, MUCCIARELLI F., Le “nuove” false comunicazioni sociali: note in ordine sparso, p.8 in Diritto Penale contemporaneo.

Di avviso contrario, GUALTIERI P., Le nuove false comunicazioni sociali: il punto di vista dell’economista aziendale in Diritto Penale Contemporaneo per il quale: “Il vocabolo “materiali” affiancato al termine “fatti” […] diviene importante per sottolineare con forza che per aversi un delitto deve esservi falsità su fatti obiettivi e non su questioni opinabili scaturenti da giudizi.” (p.5)

[20] Così, MUCCIARELLI F., Le “nuove” false comunicazioni sociali: note in ordine sparso, p.8 in Diritto Penale contemporaneo.

[21]Relazione per la Quinta Sezione Penale dell’Ufficio del Massimario e del Ruolo della Corte di Cassazione, n. V/003/15. 

[22] Così, MUCCIARELLI F., Le “nuove” false comunicazioni sociali: note in ordine sparso, p.10 in Diritto Penale contemporaneo.

[23] Così, MUCCIARELLI F., Le “nuove” false comunicazioni sociali: note in ordine sparso, p.10 in Diritto Penale contemporaneo.

[24] Scriveva, infatti, sul punto: “L’analisi della formula «fatti materiali» (e della sua versione integrata dall’aggettivo «rilevanti»), al fine di attribuire alla stessa un significato, non può essere limitata al dato letterale: da un lato per la constatazione che un tal modo ermeneutico comunque non sarebbe pienamente rispettoso del canone dell’art. 12 delle Disposizioni sulla legge in generale, che comunque esplicitamente richiama l’esigenza di aver riguardo al valore delle parole della legge «secondo la connessione di esse» (id est: nel contesto) e per la fondante ragione che l’indispensabile ricorso all’interpretazione sistematica promette esiti coerenti sul piano dell’ordinamento; dall’altro perché, come subito si mostrerà, la formula adoperata dal legislatore è di per sé ben poco perspicua.”

Così MUCCIARELLI F., Le “nuove” false comunicazioni sociali: note in ordine sparso, p.7 in Diritto Penale contemporaneo.

[25]Cass. pen., Sez. V, n.9186/16.

Sul punto si veda anche MASULLO M.N., Falso in bilancio e valutazioni punibili? Altri e non meno rilevanti interrogativi  in Diritto Penale Contemporaneo per la quale il dictum della Corte “si traduce nell’esigenza di dare ingresso, nella redazione del bilancio, ai “soli dati informativi essenziali ai fini dell’informazione, restandone al di fuori tutti i profili marginali e secondari” (p. 10). Il parametro alla stregua del quale giudicare l’essenzialità del fatto oggetto di falsità sarebbe quello sotteso al principio comunitario della true and fair view (art. 2, comma 3, della IV direttiva CEE sul bilancio d’esercizio e art. 16, comma 3, della VII direttiva CEE sul bilancio consolidato) o della sua traduzione nostrana all’interno dell’art. 2423 c.c., laddove, come è noto, si impone una rappresentazione veritiera e corretta della situazione patrimoniale, finanziaria ed economica della società e del risultato economico di esercizio.”

[26] Cass. pen., Sez. V, n.9186/16.

[27] Così, MUCCIARELLI F., in commento alla sent. Cass. pen., Sez. V, n.9186/16.

[28] Così, SEMINARA S., La riforma dei reati di false comunicazioni sociali in Pluris, Digesto UTET. 

Nella formulazione testuale previgente infatti il reato di “False comunicazioni sociali” poteva dirsi integrato soltanto qualora la falsità o l’omissione avesse determinato una variazione del bilancio d’esercizio superiore ad un determinato valore percentuale (c.d. “soglie di rilevanza penale”)  individuato espressamente dalla norma; il mancato superamento delle soglie era causa di non punibilità.

Sul punto si veda anche SCOLETTA M., Tutela dell’informazione societaria e vincoli di legalità nei nuovi delitti di false comunicazioni sociali in Pluris, Digesto UTET il quale in merito scrive: “Nelle fattispecie penali previgenti, la previsione delle soglie numeriche di punibilità doveva essere funzionale ad evitare che il falso in bilancio potesse essere contestato – perpetuando certi eccessi del passato – in relazione a falsità quantitative ‘poco significative’ rispetto alla rappresentazione della situazione economica, patrimoniale o finanziaria della società. In questa prospettiva, il sistema delle soglie percentuali rappresentava la concretizzazione, espressa in forma tassativa ma piuttosto grossolana, del requisito tipico della “rilevanza” o “significatività” della falsità in bilancio, che la dottrina penalistica – invero poco ascoltata dalla giurisprudenza (soprattutto degli anni ’90)  – aveva cercato di imporre anche nella lettura dell’originaria fattispecie del 1942. […] Le nuove fattispecie incriminatrici, grazie alla soppressione del sistema delle soglie percentuali, dovrebbero inibire alla radice la possibilità di ricorrere a marchingegni contabili che consentano di redigere bilanci significativamente falsi ma comunque immuni – more arithmetico – dal rischio penale: il giudizio sulla “rilevanza” delle falsità quantitative in bilancio è infatti sottratto alla rigidità e al formalismo di calcoli numerici (prevedibili ed eludibili ex ante) per essere consegnato alla discrezionalità tecnica del giudice. Si abbassa indubbiamente il tasso di precisione della norma penale, ma, di converso, dovrebbe essere stato posto un argine agli effetti potenzialmente criminogeni (dovuti alla facile predisposizione di ampie aree di impunità) delle fattispecie abrogate.”

[29] Così, MUCCIARELLI F., Le “nuove” false comunicazioni sociali: note in ordine sparso, p.12 in Diritto Penale contemporaneo. 

Dello stesso avviso, SCOLETTA M., Tutela dell’informazione societaria e vincoli di legalità nei nuovi delitti di false comunicazioni sociali in Pluris, Digesto UTET per il quale : “l’attuale previsione di “rilevanza” deve essere ragionevolmente interpretata come espressiva della necessità che la falsità (del fatto materiale) si riverberi sulla rappresentazione complessiva della situazione economico-patrimoniale-finanziaria della società, in modo tale da condizionare le potenziali scelte economiche del destinatario tipico del bilancio societario.”

[30] Di tale avviso SUPERTI-FURGA F., Riflessioni sulla novella legislativa concernente il falso in bilancio in una prospettiva economico – aziendalistica in Pluris, Digesto UTET.

[31] Così, MUCCIARELLI F., Le “nuove” false comunicazioni sociali: note in ordine sparso, p.12 in Diritto Penale contemporaneo.

[32]Così, MUCCIARELLI F., Le “nuove” false comunicazioni sociali: note in ordine sparso, p.11 in Diritto Penale contemporaneo.

[33] Così, MASULLO M.N., Falso in bilancio e valutazioni punibili? Altri e non meno rilevanti interrogativi pp.10 e 11 in Diritto Penale Contemporaneo per la quale: “Non si comprende, infatti, come possa immaginarsi un modo “concretamente idoneo” a indurre in errore i destinatari del bilancio, se non rappresentando falsamente al suo interno un dato informativo “non marginale” (o che dir si voglia “essenziale”) e “rilevante”, nel senso suggerito dalla Corte, cioè con concrete potenzialità di influenzare “ragionevolmente” “le decisioni prese dagli utilizzatori sulla base del bilancio dell’impresa”. 

Che altro significato poter attribuire allora a un fatto “rilevante”, capace di influenzare “ragionevolmente” le altrui decisioni, che non sia già sotteso all’ambito di accertamento di un falso concretamente idoneo a indurre in errore?”.

Dello stesso avviso MUCCIARELLI F., Le “nuove” false comunicazioni sociali: note in ordine sparso p.13 in Diritto Penale contemporaneo per il quale: “[…] non una qualsiasi difformità dal vero potrebbe integrare il modello legale, ma soltanto quelle ulteriormente caratterizzate dalla capacità di determinare (in concreto) nel destinatario una errata rappresentazione della situazione economica, patrimoniale o finanziaria della società o del gruppo di appartenenza.”

[34]Così, MASULLO M.N., Falso in bilancio e valutazioni punibili? Altri e non meno rilevanti interrogativi p.13 in Diritto Penale Contemporaneo.

In dottrina è stato poi sottolineato come “i fatti non sono né veri né falsi. I fatti esistono o non esistono. I documenti che rappresentano fatti sono veri se vi è corrispondenza tra l’enunciato esposto nel documento e il fatto che il documento deve raffigurare. Sono falsi in caso contrario.” Tale asserzione, che pur con ragione evidenzia l’atecnicità del linguaggio utilizzato dal legislatore, tuttavia ricava il concetto di falsità dalla nozione di verità semantica o verità in senso forte che si ha quando “vi è corrispondenza tra l’enunciato, nel nostro caso il valore accolto nel bilancio, e il fatto che quel valore deve rappresentare” e che può essere accolta soltanto per quei valori di bilancio c.d. “certi” ossia oggettivamente determinabili poiché direttamente correlati a prezzi che si sono formati sui mercati (ad es. prezzo di acquisto); la nozione di verità semantica, pertanto, non offre soluzioni esegetiche ai fini della deteminazione della falsità dei valori di bilancio c.d. “stimati” e “congetturati” (ossia basati su previsioni) con cui si esprimono le valutazioni di bilancio poiché “non vi può essere corrispondenza tra l’enunciato, il valore stimato ed il fatto perché quest’ultimo non si è realizzato, ma è solo previsto.” Per tutti, SUPERTI-FURGA F., Riflessioni sulla novella legislativa concernente il falso in bilancio in una prospettiva economico – aziendalistica in Pluris, Digesto UTET.

[35] Così, ZUCCALÀ G., Il delitto di false comunicazioni sociali, Padova, 1954.

[36]Così, MASULLO M.N., Falso in bilancio e valutazioni punibili? Altri e non meno rilevanti interrogativi p.13 in Diritto Penale Contemporaneo.

[37]Così, MASULLO M.N., Falso in bilancio e valutazioni punibili? Altri e non meno rilevanti interrogativi p.13 in Diritto Penale Contemporaneo.

Per una dettagliata analisi sui concetti di verità/falsità si veda anche STRAMPELLI G., Sulla (persistente) rilevanza penale delle valutazioni di bilancio: appunti interdisciplinari in Diritto Penale Contemporaneo.

[38] La formulazione normativa previgente infatti individuava la condotta incriminata nell’esposizione di “fatti materiali non rispondenti al vero, ancorchè oggetto di valutazioni”. 

[39] Così, BELLACOSA M., in Commento agli artt. 2621- 2642 (Disposizioni penali in materia di società e consorzi) in AA.VV., Codice Civile commentato con la dottrina e la giurisprudenza, a cura di P.Rescigno, Milano, 2008.

[40] Al già citato BELLACOSA M., in Commento agli artt. 2621- 2642 (Disposizioni penali in materia di società e consorzi) in AA.VV., Codice Civile commentato con la dottrina e la giurisprudenza, a cura di P.Rescigno, Milano, 2008.

[41]Così, SUPERTI-FURGA F., Riflessioni sulla novella legislativa concernente il falso in bilancio in una prospettiva economico – aziendalistica in Pluris, Digesto UTET.

[42] Così, BELLACOSA M., in Commento agli artt. 2621- 2642 (Disposizioni penali in materia di società e consorzi) in AA.VV., Codice Civile commentato con la dottrina e la giurisprudenza, a cura di P.Rescigno, Milano, 2008.

[43] Così, BELLACOSA M., in Commento agli artt. 2621- 2642 (Disposizioni penali in materia di società e consorzi) in AA.VV., Codice Civile commentato con la dottrina e la giurisprudenza, a cura di P.Rescigno, Milano, 2008.

[44] Così, BELLACOSA M., in Commento agli artt. 2621- 2642 (Disposizioni penali in materia di società e consorzi) in AA.VV., Codice Civile commentato con la dottrina e la giurisprudenza, a cura di P.Rescigno, Milano, 2008 il quale, sul punto, aggiunge: “L’alterazione sensibile della rappresentazione non è una causa di non punibilità in senso proprio, ma un requisito essenziale della condotta tipica, espressivo della sua potenzialità offensiva. L’alterazione del vero può considerarsi pericolosa per i destinatari della comunicazione, in quanto sia rilevante per oggetto e per entità, rispetto a determinazioni dei destinatari; il concetto di alterazione sensibile va interpretato in questo senso: sensibile=rilevante per i destinatari.”

[45] Così, MUCCIARELLI F., Le “nuove” false comunicazioni sociali: note in ordine sparso, p.18 in Diritto Penale contemporaneo.

[46] Per una lucida ed attenta analisi avente ad oggetto la figura del “destinatario” delle comunicazioni sociali si veda  MUCCIARELLI F., Le “nuove” false comunicazioni sociali: note in ordine sparso, p.18 ss. in Diritto Penale contemporaneo.

[47]Così, MANES V., La nuova disciplina delle false comunicazioni sociali, p.30 in Diritto Penale Contemporaneo

[48] Così, BELLACOSA M., in Commento agli artt. 2621- 2642 (Disposizioni penali in materia di società e consorzi) in AA.VV., Codice Civile commentato con la dottrina e la giurisprudenza, a cura di P.Rescigno, Milano, 2008.

Di avviso contrario, con riguardo al requisito dell’ingiustizia, SEMINARA S., La riforma dei reati di false comunicazioni sociali in Pluris, Digesto UTET per il quale: “[…] va negato che il requisito in esame possa operare attraverso criteri metagiuridici di tipo equitativo, come lo scopo di salvare l’azienda o evitare il licenziamento dei propri dipendenti, trattandosi di interessi estranei al piano dell’offesa tipica e, più in generale –come dimostra la configurabilità in tali ipotesi dei reati fallimentari-, al piano dei valori normativi.” 

[49] Così, MANES V., La nuova disciplina delle false comunicazioni sociali, p.30 in Diritto Penale Contemporaneo.

[50] Così, MANES V., La nuova disciplina delle false comunicazioni sociali, p.30 in Diritto Penale Contemporaneo.

[51] Così, BELLACOSA M., in Commento agli artt. 2621- 2642 (Disposizioni penali in materia di società e consorzi) in     AA.VV., Codice Civile commentato con la dottrina e la giurisprudenza, a cura di P.Rescigno, Milano, 2008.

[52] Così, MANES V., La nuova disciplina delle false comunicazioni sociali, p.31 in Diritto Penale Contemporaneo.

[53] Così, MANES V., La nuova disciplina delle false comunicazioni sociali, p.31 in Diritto Penale Contemporaneo.

Sul punto si veda MUCCIARELLI F., Le “nuove” false comunicazioni sociali: note in ordine sparso, p.26 in Diritto Penale contemporaneo il quale sottolinea come: “Data la collocazione sintattica dell’avverbio, sembra plausibile ritenere che gli estremi del tipo in relazione ai quali la norma ora richiede una consapevolezza piena e certa sono proprio quelli attinenti alla esposizione non conforme al vero o falsa per reticenza, mentre non altrettanto può dirsi in ordine alla idoneità decettiva. 

Quest’ultimo estremo, oltre a esser separato dall’avverbio «consapevolmente» da una virgola (che segnala l’autonomia del sintagma), concerne una modalità della condotta bensì correlata con la falsità, che però non deriva immediatamente dal comportamento dell’agente stesso: sicché uno stato di dubbio circa la concreta idoneità decettiva non pare bastevole a far venir meno il momento rappresentativo del dolo.”

[54] Così, MUCCIARELLI F., Le “nuove” false comunicazioni sociali: note in ordine sparso, p.27 in Diritto Penale contemporaneo.

Dello stesso avviso MANES V., La nuova disciplina delle false comunicazioni sociali, p.33 in Diritto Penale Contemporaneo il quale scrive a riguardo: “Volendo tentare di rintracciare un criterio politico-criminale coerente, potrebbe ritenersi che il legislatore abbia voluto strutturare la risposta punitiva alle falsità contabili in modo modulare e scalare: per le piccole imprese societarie (al di sotto dei limiti che le espongono al fallimento) risulta sempre applicabile la fattispecie minore (e procedibile a querela) di cui al comma secondo dell’art. 2621 bis; per le medie imprese, la analoga cornice di pena prevista per la fattispecie – procedibile d’ufficio – di cui al comma primo dell’art. 2621 bis, sempre che la “natura e le dimensioni della società” non si accompagnino con modalità ed effetti della condotta tali da escludere la lieve entità del fatto, casi nei quali si refluirebbe nella fattispecie “generale” e residuale di cui all’art. 2621; per le società quotate, al falso comunicativo si applica sempre l’art. 2622.”

[55] Così, SEMINARA S., La riforma dei reati di false comunicazioni sociali in Pluris, Digesto UTET.

[56] Così, MANES V., La nuova disciplina delle false comunicazioni sociali, p.33 in Diritto Penale Contemporaneo.

[57] Alcune perplessità sul regime della procedibilità a querela per i fatti di cui all’art.2621 bis co.2 si veda SEMINARA S., La riforma dei reati di false comunicazioni sociali in Pluris, Digesto UTET per il quale, tale “anomalia dogmatica”, si risolve in uno “stravolgimento surrettizio della fattispecie di cui all’art.2621 cod.civ., che perde la sua natura di reato di condotta e si trasforma in un reato di danno, i cui soggetti passivi sono appunto i titolari del diritto di querela.”

[58] Così, MUCCIARELLI F., Le “nuove” false comunicazioni sociali: note in ordine sparso, p.28 in Diritto Penale contemporaneo.

[59]Per tutti, MUCCIARELLI F., Le “nuove” false comunicazioni sociali: note in ordine sparso, p.28 in Diritto Penale contemporaneo per il quale: “Non soltanto la clausola di riserva con la quale entrambe esordiscono è in tal senso fortemente suggestiva, ma anche − e soprattutto − la struttura della disposizione, nella quale alle diverse caratterizzazioni delle fattispecie viene collegato un trattamento sanzionatorio autonomo, sulla falsariga del modello dell’art. 2622 c.c., nel quale alla più spiccata offensività corrisponde una reazione punitiva più grave.”

[60] Questa la tesi sostenuta nel Digesto UTET “Pluris” alla voce “2621 bis. I fatti di lieve entità”.

[61] Così, SEMINARA S., La riforma dei reati di false comunicazioni sociali in Pluris, Digesto UTET.

Negli stessi termini MANES V., La nuova disciplina delle false comunicazioni sociali, p.35 in Diritto Penale Contemporaneo.

Sull’istituto di natura sostanziale di cui all’art.131 bis c.p. introdotto con il D.Lgs. 16/03/2015 n.28 ed entrato in vigore in data 2 Aprile 2015,  è ormai vasta la letteratura.

In questa sede si vuole semplicemente ricordare che la particolare tenuità del fatto opera nel nostro sistema giudiziario come causa di non punibilità e pertanto “lascia inalterato l’illecito penale nella sua materialità storica e giuridica”. (Cass. Pen. n.27055/2015) 

Non incide, pertanto, né sulla tipicità né sull’antigiuridicità del fatto, ma opera sul piano processuale come causa di non procedibilità. Evitando un dispendio di energie per fatti “bagatellati” si realizza un bilanciamento tra il principio di obbligatorietà dell’azione penale e quello di proporzione della pena.

  

[62] Così, SEMINARA S., La riforma dei reati di false comunicazioni sociali in Pluris, Digesto UTET.

[63] Così, MUCCIARELLI F., Le “nuove” false comunicazioni sociali: note in ordine sparso, p.29 in Diritto Penale contemporaneo.

[64] Così, SEMINARA S., La riforma dei reati di false comunicazioni sociali in Pluris, Digesto UTET.

[65] Così, SEMINARA S., La riforma dei reati di false comunicazioni sociali in Pluris, Digesto UTET.

[66] Così, SEMINARA S., La riforma dei reati di false comunicazioni sociali in Pluris, Digesto UTET.

[67] Così, SEMINARA S., La riforma dei reati di false comunicazioni sociali in Pluris, Digesto UTET.

[68] Così, MUCCIARELLI F., Le “nuove” false comunicazioni sociali: note in ordine sparso, p.30  in Diritto Penale contemporaneo.

[69] Così, SEMINARA S., La riforma dei reati di false comunicazioni sociali in Pluris, Digesto UTET.

[70] Così, MUCCIARELLI F., Le “nuove” false comunicazioni sociali: note in ordine sparso, p.30  in Diritto Penale contemporaneo.

[71] Così, MUCCIARELLI F., Le “nuove” false comunicazioni sociali: note in ordine sparso, p. 31 in Diritto Penale contemporaneo.

[72] Così, MANES V., La nuova disciplina delle false comunicazioni sociali, p.36 in Diritto Penale Contemporaneo.

[73] Così, MANES V., La nuova disciplina delle false comunicazioni sociali, p.36 in Diritto Penale Contemporaneo.

[74] Così, MANES V., La nuova disciplina delle false comunicazioni sociali, p.37 in Diritto Penale Contemporaneo.

[75]Per tutti, SUPERTI-FURGA F., Riflessioni sulla novella legislativa concernente il falso in bilancio in una prospettiva economico – aziendalistica in Pluris, Digesto UTET.

[76] Così, MANES V., La nuova disciplina delle false comunicazioni sociali, p.37 in Diritto Penale Contemporaneo.

[77] Così, MANES V., La nuova disciplina delle false comunicazioni sociali, p.38 in Diritto Penale Contemporaneo.

[78] Così, MANES V., La nuova disciplina delle false comunicazioni sociali, p.38 in Diritto Penale Contemporaneo.

[79] È bene ricordare che nel bilancio confluiscono non solo “dati certi” ossia valori oggettivamente determinabili che pertanto “possono essere considerati veri o falsi sulla base della loro corrispondenza con determinati fatti”                 (ad es. costo di acquisto di un bene), ma anche e soprattutto “dati stimati” che, essendo basati su previsioni, “ammettono verifica nel momento in cui i valori previsti si manifestano” (ad es. valore di un credito) e “dati congetturati” ossia “astrazioni concettuali configurate per la determinazione del reddito di esercizio e del correlato capitale” (ad es. quote di ammortamento).   

La determinazione di tali valori “stimati” e “congetturati” avviene attraverso le cosiddette “valutazioni estimative”.

Così, SUPERTI-FURGA F., Riflessioni sulla novella legislativa concernente il falso in bilancio in una prospettiva economico – aziendalistica in Pluris, Digesto UTET.

[80] Così, MANES V., La nuova disciplina delle false comunicazioni sociali, p.22 in Diritto Penale Contemporaneo. 

[81] Così, PERINI A., I “Fatti materiali non rispondenti al vero”: harakiri del futuribile “Falso in bilancio”? p.3 in Diritto Penale Contemporaneo.

[82]Nella Relazione per la Quinta Sezione Penale dell’Ufficio del Massimario e del Ruolo della Corte di Cassazione,           n. V/003/15 si legge che secondo tale orientamento dottrinale “l’esplicito cambio di rotta nella formulazione della fattispecie sarebbe indicativo di una opzione interpretativa impossibile da ignorare”. 

 Nella letteratura di matrice economica si veda GUALTIERI P., Le nuove false comunicazioni sociali: il punto di vista dell’economista aziendale in Diritto Penale Contemporaneo.

Dello stesso avviso, D’AVIRRO A., Estratto in tema di false comunicazioni sociali dal libro “Il nuovo falso in bilancio”, Milano, 2015 in Diritto Penale Contemporaneo.

[83] Relazione per la Quinta Sezione Penale dell’Ufficio del Massimario e del Ruolo della Corte di Cassazione, n.V/003/15. 

[84] In un tale scenario, infatti, “la tutela penale dell’informazione societaria risulterebbe affidata pressocchè integralmente alle ipotesi di aggiotaggio (art.2637 cod. civ.) e di manipolazione del mercato (art.185 TUF), con i soggetti più importanti attratti nella sfera applicativa di tali fattispecie mentre la stragrande maggioranza delle società vedrebbe –di fatto- rinviata al momento del fallimento qualsiasi forma di repressione dei fenomeni di mala gestio eventualmente perpetrati dagli amministratori.” Così,  PERINI A., I “Fatti materiali non rispondenti al vero”: harakiri del futuribile “Falso in bilancio”? in Diritto Penale Contemporaneo.

[85] Così, SCOLETTA M., Tutela dell’informazione societaria e vincoli di legalità nei nuovi delitti di false comunicazioni sociali in Pluris, Digesto UTET.

[86] Così, MASULLO M.N., Falso in bilancio e valutazioni punibili? Altri e non meno rilevanti interrogativi p.6 in Diritto Penale Contemporaneo.

[87]Cass.Sez.V, 30 Luglio 2015, n.33774, Pres.Alberti, Rel.Miccoli, ric.Crespi.

[88] Così, SCOLETTA M., Tutela dell’informazione societaria e vincoli di legalità nei nuovi delitti di false comunicazioni sociali in Pluris, Digesto UTET.

[89] Così, SCOLETTA M., Le parole sono importanti? “Fatti materiali”, false valutazioni di bilancio e limiti all’esegesi del giudice penale p.3 in Diritto Penale Contemporaneo.

[90] Così, SCOLETTA M., Le parole sono importanti? “Fatti materiali”, false valutazioni di bilancio e limiti all’esegesi del giudice penale p.4 in Diritto Penale Contemporaneo.

[91] Così, MUCCIARELLI F., Oltre un discusso “ancorchè” le Sezioni Unite della Corte di Cassazione e la legalità dell’interpretazione: qualche nota p.12 in Diritto Penale Contemporaneo.

[92] Così, LANZI M., Falsi valutativi, legislazione e formante giurisprudenziale: politica criminale a confronto con la crisi della legalità. Rassegna della recente giurisprudenza della Sezione quinta della Corte di Cassazione in tema di rilevanza penale dei falsi valutativi, in attesa delle Sezioni Unite p.5 in Diritto Penale Contemporaneo.

[93] Cass., Sez.V, 12 gennaio 2016, n.890, Pres.Nappi, Rel.Bruno,Ric.Giovagnoli.

[94] Così, SCOLETTA M., Le parole sono importanti? “Fatti materiali”, false valutazioni di bilancio e limiti all’esegesi del giudice penale p.13 in Diritto Penale Contemporaneo.

Per riportare le parole dei giudici di legittimità :” l’interpretazione deve, primariamente, confrontarsi con il dato attuale, nella sua pregnante significazione, e con la voluntas legis quale obiettivizzata e storicizzata nel testo vigente,  da ricostruire anche sul piano sistematico – nel contesto normativo di riferimento- senza che possano assumere alcun valore le contingenti intenzioni del legislatore di turno.”

[95] Così, SCOLETTA M., Le parole sono importanti? “Fatti materiali”, false valutazioni di bilancio e limiti all’esegesi del giudice penale p.6 in Diritto Penale Contemporaneo.

[96]Così, MASULLO M.N., Falso in bilancio e valutazioni punibili? Altri e non meno rilevanti interrogativi p.9 in Diritto Penale Contemporaneo.

[97] Cass. Sez.V, 22 febbraio 2016, n.6916, Pres.Zaza, Rel.Amatore,ric.Banca X.

[98] Così, PULITANO’ D., Ermeneutiche alla prova. La questione del falso valutativo p.1 in Diritto Penale Contemporaneo.

[99]In dottrina, auspicavano questa conclusione MUCCIARELLI F., “Ancorchè” superfluo, ancora un commento sparso sulle nuove false comunicazioni sociali in Diritto Penale Contemporaneo il quale sottolineava che: “L’esegesi affidata alla singola parola conduce ad esiti malcerti e comunque asfittici” (p.3); SCOLETTA M., Le parole sono importanti? “Fatti materiali”, false valutazioni di bilancio e limiti all’esegesi del giudice penale in Diritto Penale Contemporaneo; MASULLO M.N., Falso in bilancio e valutazioni punibili? Altri e non meno rilevanti interrogativi in Diritto Penale Contemporaneo; D’ALESSANDRO F., False comunicazioni sociali – la riforma delle false comunicazioni sociali al vaglio del giudice di legittimità: davvero penalmente irrilevanti le valutazioni mendaci? in Pluris, Digesto UTET per il quale: “Nonostante nella nuova formulazione del reato di falso in bilancio la condotta di mendacio sia riferita solo alla esposizione o all’omissione di fatti rilevanti, essendo scomparsa –rispetto alla precedente versione della norma- l’espressione “ancorchè oggetto di valutazione”, deve ritenersi persistente la penale rilevanza degli enunciati valutativi, che sono anch’essi predicabili di falsità quando violino criteri di valutazione predeterminati. La falsità di una valutazione di bilancio ricorre allorquando alla rappresentazione numerica del valore riferito al bene oggetto di valutazione si pervenga senza osservare i criteri normativamente prefissati o universalmente accettati sulla base dei quali la valutazione di bilancio va condotta.”

  

[100] Cass., S.U., n. 22474/16, Pres.Canzio, Rel.Fumo.

[101] Ci si riferisce ai principi contabili nazionali emanati dall’Organismo Italiano di Contabilità (OIC), ai principi contabili internazionali IAS/IFRS e ai principi italiani di valutazione emanati dall’Organismo Italiano di valutazione (OIV).

Per un’ampia analisi sui criteri adottati per la redazione e per la valutazione del bilancio si veda STRAMPELLI G., Sulla (persistente) rilevanza penale delle valutazioni di bilancio: appunti interdisciplinari in Diritto Penale Contemporaneo.

 

Così concludeva anche la Quinta Sezione Penale nella sent.n. 9186/16 per cui: “Giacchè le valutazioni espresse in bilancio non sono il frutto di mere congetture o arbitrari giudizi di valore, ma devono uniformarsi a criteri valutativi positivamente determinati dalla disciplina civilistica (art. 2426 cod.civ.), dalle direttive e regolamenti di diritto comunitario o da prassi contabili generalmente accettate […] il mancato rispetto di tali parametri comporta la falsità della rappresentazione valutativa, ancor oggi punibile ai sensi del nuovo art.2621 cod.civ., nonostante la soppressione dell’inutile inciso “ancorchè oggetto di valutazione”.

[102] Così, SGUBBI F., Appunti dalle lezioni, LUISS GUIDO CARLI, A.A.2016/2017.

[103] Così, LANZI M., Falsi valutativi, legislazione e formante giurisprudenziale: politica criminale a confronto con la crisi della legalità. Rassegna della recente giurisprudenza della Sezione quinta della Corte di Cassazione in tema di rilevanza penale dei falsi valutativi, in attesa delle Sezioni Unite p.8 in Diritto Penale Contemporaneo.

[104] Così, D’ALESSANDRO F., False comunicazioni sociali – la riforma delle false comunicazioni sociali al vaglio del giudice di legittimità: davvero penalmente irrilevanti le valutazioni mendaci? in Giur. it., 2015, 2213.

 

[105] Così, PULITANO’ D., Ermeneutiche alla prova. La questione del falso valutativo, p.1 in Diritto Penale Contemporaneo.

Per alcune note critiche afferenti ai limiti dell’interpretazione giurisprudenziale e al rapporto tra giudici e legislatore si vedano PULITANO’ D., Ermeneutiche alla prova. La questione del falso valutativo, p.5 ss. in Diritto Penale Contemporaneo; MUCCIARELLI F., Oltre un discusso “ancorchè” le Sezioni Unite della Corte di Cassazione e la legalità dell’interpretazione: qualche nota p.4 ss. in Diritto Penale Contemporaneo; SCOLETTA M., Le parole sono importanti? “Fatti materiali”, false valutazioni di bilancio e limiti all’esegesi del giudice penale p.14 in Diritto Penale Contemporaneo.

[106] Così, SCOLETTA M., Tutela dell’informazione societaria e vincoli di legalità nei nuovi delitti di false comunicazioni sociali in Pluris, Digesto UTET.

BIBLIOGRAFIA:

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PULITANO’ D., Ermeneutiche alla prova. La questione del falso valutativo in Diritto Penale Contemporaneo.

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SCOLETTA M., Tutela dell’informazione societaria e vincoli di legalità nei nuovi delitti di false comunicazioni sociali in Pluris, Digesto UTET.

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STRAMPELLI G., Sulla (persistente) rilevanza penale delle valutazioni di bilancio: appunti interdisciplinari in Diritto Penale Contemporaneo.

SUPERTI-FURGA F., Riflessioni sulla novella legislativa concernente il falso in bilancio in una prospettiva economico – aziendalistica in Pluris, Digesto UTET.

Cass. pen., Sez. V, 30 luglio 2015 (ud. 16 giugno 2015), n. 33774, pres. Lombardi, rel. Miccoli, ric. Crespi.

Cass. pen., Sez. V, 12 gennaio 2016 (ud. 12 novembre 2015), n. 890, pres. Nappi, rel. Bruno, ric. Giovagnoli.

Cass. pen., Sez. V, 22 febbraio 2016 (ud. 8 gennaio 2016), n. 6916, pres. Zaza, rel. Amatore, ric. Banca Popolare dell’Alto Adige soc. coop.

Relazione per la Quinta Sezione Penale dell’Ufficio del Massimario e del Ruolo della Corte di Cassazione, n. V/003/15. 

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