GOMORRA E LE SERIE 2.0: DENUNCIA SOCIALE O SOLO MARKETING

A cura di Filippo Piluso

Gomorra e Romanzo Criminale sono le serie internazionalmente e non con i riscontri più ampi. Gli si riconosce l’autenticità dei fatti presentati, grazie alla scelta di buona parte degli attori tra ex-pregiudicati, sulle tracce del Neorealismo di De Sica di Ladri di Biciclette; gli si riconosce l’abilità degli attori protagonisti nella personificazione; ma non credo gli si possa riconoscere che una vastità così ampia di consensi sia assegnata solo da cinefili riconoscenti la capacità recitativa degli attori e l’autenticità delle azioni criminali presentate. E sì, perché se no non si spiega come negli ultimi anni siano aumentati nel napoletano i reati di furto, rapina e omicidio compiuti inneggiando ai versi più celebri di Ciro e Genny; non si spiega la moda degli Youtubers di parodiare simpaticamente i versi pre-macello di quattro Cristiani, perché questo ammetterebbe pure parodiare simpaticamente i discorsi tra terroristi fautori della strage di Piazza Fontana, che credo non ci avrebbero risparmiati se da Romanzo di una strage fosse nata una pluripremiata tv serie. È vero, come asserisce in via di difesa Saviano, che “la gente attribuisce la colpa a chi rappresenta una realtà e non a chi la commette”, ma è pur vero che se hai sacrificato la tua vita per questo e vuoi che la tua opera sia una denuncia sociale stai fallendo nel tuo intento. È vero, non puoi controllare completamente gli effetti che una denuncia sociale ha su dei traviati, altrimenti non avresti mai potuto vedere Arancia meccanica senza che violenze fossero consumate in suo nome o che feste di capodanno fossero intitolate la Grande bellezza con relative nane, escort e over 60 decaduti nel personale della discoteca, ma certo devi adottare dei contraccettivi. E allora si può discutere dal punto di visto tecnico che la regia di Cupellini, Comencini ma soprattutto Sollima, visti i precedenti cinematografici, tendano a divinizzare più che demonizzare gli anti-eroi, alimentando la loro gloria nelle carneficine compiute; si può discutere sull’assenza dei messaggi previdenziali prima e durante lo svolgimento degli episodi: “non riproducete queste scene a casa” o “queste riproduzioni hanno il fine di incoraggiare le persone a denunciare e decidere di scegliere una vita fuori dalla Camorra” e pure qui un nulla di fatto; si può discutere del perché se deve essere una denuncia sociale si producano tre stagioni e forse anche una quarta, che con la sceneggiatura di Gomorra romanzo non abbiano più niente a che vedere; ma sulla deontologia degli attori coinvolti non si può discutere. Sì, perché un Amendola, un Marinelli, un Favino, invitati nelle trasmissioni di spicco, non riprodurrebbero mai le frasi preludi delle atrocità compiute nel rivestire il ruolo di criminale, perché quella è un’interpretazione, e quella che rappresenti è una realtà da portare al pubblico da non elevare a modello. Ma qui l’esaltazione data dal rivestire per la prima volta un ruolo, anche marginale, in una piattaforma da milioni di telespettatori e l’assenza d’imposizioni di vincoli da parte di regia, produzione e sceneggiatori, ha portato, nella piena normalità, i recitanti a girare in tour per riprodurre simpaticamente le loro scenette da omicidi; ad accettare gli inviti di personaggi del taglio di Ibrahimovic alle feste di Las Vegas, non perché questo ti apprezzi come grande attore, grande interprete di una realtà, ma perché vede nel tuo personaggio uno specchio del suo essere, quello di un ex delinquente; ad andare in prima serata nei nuovi format-USA a divertire tutti su richiesta dei “g’aggie chiavat n’vocca” e “sta senza pensier”. Stiamo parlando di Camorra e non si può ridurre a Stand Up Comedy, perché se Saviano e company viaggiano davvero sulla linea presentata nel romanzo, allora quello che si vuol trasmettere ai giovani camorristi che lo sono divenuti per assenza di altre scelte è come uscire dall’inferno e non come coinvolgere dentro queste Malebolge chi può decidere di non esserlo! Ma quando nella realtà di tutti i giorni il personaggio si confonde con l’attore, non muore un’arte, ma muore una società per il più brutto dei morbi: l’indifferenza, postulando per normale che idolatrare un mondo dal quale fuggire sia l’unica opportunità per gli uomini qualunque di divenire eroi.

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