Chiacchiere da bar

A cura di: Thilina Dulanjana Fernando Muthuwadige

Degli scemi che corrono dietro ad un pallone: è questo di solito quello che pensa chi non apprezza il calcio o chi semplicemente prova indifferenza verso lo sport più popolare al mondo, sia per il numero di spettatori, sia per il numero di persone che lo giocano. Chi pensa o dice le parole di cui a inizio articolo si sofferma superficialmente sulla natura vera di questo sport, perché effettivamente c’è una ragione giustificatrice della sua diffusione capillare, le cui radici vanno ricercate in dei versi delle Satire di Giovenale: “… il popolo due sole cose desidera con ansia: pane e giochi”, versi sintetizzati nella locuzione latina “panem et circenses”. Nell’antica Roma, infatti, era pratica invalsa organizzare giochi e spettacoli da parte di imperatori e altri personaggi facoltosi al fine di far divertire il popolo e sedare eventuali malumori, che trovavano uno sfogo nelle arene. “Panem et circenses” è stato uno strumento di legittimazione politica, influentissimo sulle masse. I giochi elargiti al popolo si sostanziavano in venationes, duelli gladiatori e corse dei carri. Le venationes erano dei giochi in cui l’obbiettivo era la caccia e l’uccisione di bestie selvatiche, tra cui elefanti, tigri, leoni, ippopotami, gazzelle, pantere, cammelli, cinghiali, tori, cervi, leopardi, alci. I duelli gladiatori potevano essere combatutti da veri professionisti, nuovi gladiatori inesperti, condannati, o anche uomini liberi, senza dististinzioni di razza, né di sesso e almeno in questo senso tali competizioni erano autenticamente democratiche. Tratto comune di venationes e duelli gladiatori era la violenza, vera protagonista ricercata dal pubblico di queste manifestazioni, che divenivano teatro di sanguinari eccessi e soprusi. Le corse dei carri erano invece gare condotte da degli aurighi su dei carri trainati da cavalli, in cui vinceva chi arrivava primo. I carri potevano spostarsi liberamente per la pista per tentare di provocare un incidente ai propri avversari e, di fatto, vinceva non il più veloce, ma chi “sopravviveva” alla fine della gara. Le corse dei carri sono chiaramente l’antesignano delle odierne competizioni motoristiche. Il mondo delle corse automobilistiche è stato raccontato mirabilmente dal film “Rush”, che racconta della rivalità di due piloti di Formula 1 realmente esistiti, Niki Lauda e James Hunt. In “Rush” Hunt formula questa teoria sul perché alle donne piacciano tanto i piloti: ” Non è una questione di rispetto per quello che facciamo, girare intorno con una macchina per ore e ore, anzi, loro pensano che siamo patetici. Probabilmente hanno ragione. È per la nostra vicinanza alla morte. Perché più sei vicino alla morte e più ti senti vivo. E più sei vivo”.

Ad uno sguardo più attento si intravede un filo rosso che tiene insieme le venationes, le battaglie tra gladiatori, le corse dei carri e gli sport praticati al giorno d’oggi, come le competizioni motoristiche, tra gli altri; tra tutti, però, spicca il calcio. Gli eccessi degli antichi giochi di cui si dilettava la plebe (e non solo) sono praticamente scomparsi, ma comunque qualcosa che ci si avvicina almeno un poco è rimasto. Le regole del calcio limitano la violenza al coefficiente minimo possibile e se nei duelli dei gladiatori il sangue era la norma, nel calcio se un giocatore ha una ferita sanguinante, deve uscire dal terreno di gioco e non potrà rientrarvi fino a che l’arbitro non si accerta che la perdita di sangue sia stata arrestata. Ciononostante, a ben vedere, sono proprio le scorrettezze, gli eccessi e le brutalità ad avere maggiore eco, oggi come ieri. Non desta scalpore il giocatore che stringe la mano all’avversario in segno di amicizia, ma quello che sputa in faccia all’avversario in segno di stizza. Mi viene da pensare a Totti, che nella partita dell’Italia contro la Danimarca agli Europei del 2004, sputò in faccia al danese Poulsen. Quale italiano non fu fiero del Pupone che decise di farsi giustizia da sé sputando addosso al mediano della Danimarca? In tema di Nazionale, ancora è vivo negli italiani il ricordo della testata di Zidane ai Mondiali del 2006, come è ancora viva la ferita per la mancata espulsione di Suarez per il clamoroso morso inferto a Chiellini nei Mondiali che si tennero 8 anni dopo. Non da meno è stato Eric Cantona, che il 25 gennaio 1995, in una partita contro il Crystal Palace venne espluso per aver rifilato un calcione ad un avversario; non soddisfatto, colpì un tifoso locale reo di averlo ripetutamente insultato, con un calcio volante in pieno volto. Non ci andò piano neanche l’allenatore Delio Rossi che, probabilmente preso da un improvvido istinto paterno, prese a schiaffi il giocatore da lui stesso allenato, Adem Ljajić. Tutti questi sono gesti (o gesta?) di cui si è parlato per settimane, su cui ciascuno ha voluto esprimere una propria opinione nelle pause pranzo e negli intervalli fra le lezioni. È di questo che si parla ed è questa l’essenza del calcio. Formano oggetto di chiacchiere da bar questi atti eclatanti e controversi, e non i goal, seppure segnati in circostanze importanti, non le giocate né i gesti tecnici compiuti dai calciatori. Attrae la platea ciò che è controverso, scorretto, disonesto e spregevole. Molti di questi atti si consumano all’interno dell’area di rigore: il goal-non goal di Muntari, il gol di mano di Adriano nel derby di Milano nel 2009, il goal di Gallas favorito da un doppio fallo di mano di Henry in Francia-Irlanda, partita valida per l’accesso alla fase finale dei Mondiali in Sudafrica. Uno dei casi più scandalosi è stato senza dubbio il fallo di Iuliano su Ronaldo in area di rigore, nel derby d’Italia del campionato 1997/1998.  È opinione condivisa che la mancata attribuzione di quel calcio di rigore abbia cagionato la vittoria del campionato della Juventus. C’è chi afferma che se il VAR fosse stato introdotto 10 anni fa quel rigore sarebbe stato assegnato e probabilmente oggi si sarebbe raccontata una storia diversa. Ma è appunto questo il fatto: si sarebbe raccontata una storia diversa, forse più meritocratica, ma ne sarebbe valsa la pena? Fiumi di parole condensate in infiniti litigi sarebbero state cancellate da un arbitro che mima un rettangolo. Molti degli eventi di cui ho scritto non sarebbero mai accaduti, si giocherebbe un calcio più “pulito”, ma che avrebbe avuto senza dubbio meno fascino, bellezza e attrattiva. Eppure è questo lo scellerato risultato che si conseguirà con l’introduzione del meccanismo VAR nell’attuale campionato di Serie A e nei Mondiali del 2018 in Russia. Esempio lampante degli effetti negativi dell’introduzione del VAR è l’annullamento del goal del Benevento siglato dal capitano Lucioni nella partita casalinga contro il Bologna, che avrebbe decretato il primo storico goal in casa della squadra campana nella massima serie. D’altra parte gli esempi sono destinati a moltiplicarsi.

Sbagliare è umano e in definitiva i lacci e lacciuoli posti dal VAR rovinano l’elemento umano dal calcio, dato che riducono sensibilmente la possibilità di sbagliare. Si può essere contrari o favorevoli al VAR, si può condividere o meno l’idea di calcio qui esposta, ma alla domanda su quale sia il goal più famoso di tutti i tempi, la risposta, credo, sarà unanime: la Mano de Dios, la rete segnata di mano da Diego Armando Maradona nei quarti di finale del Mondiale 1986, il 22 giugno 1986, ai danni dell’Inghilterra, il goal più irregolare e sleale di sempre.

 

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