#MOMSDONTQUIT

A cura di Benedetta Cruciani-

“Amore mio, questi con te sono

stati gli anni più belli della mia

vita, ti voglio davvero bene.

Sei mio figlio e non riesco

nemmeno ad immaginare una

vita senza di te.

Ma ora devo dare le mie

Non posso più essere la tua

Devo smettere.

Perché ho bisogno di lavorare e

una donna che lavora non può

essere anche una mamma

Ti voglio bene, mi dispiace.

La tua mamma.”

Immaginereste mai una madre capace di scrivere al proprio figlio una lettera simile?
Ovviamente è impensabile. È questo il metodo scelto dall’iniziativa Moms don’t quit per attirare l’attenzione su uno dei problemi alla base della nostra società moderna: la difficoltà per una donna e per una madre di trovare o mantenere il proprio lavoro. La lettera riportata infatti mostra l’unica alternativa di fronte alla quale vengono troppo spesso messe le madri lavoratrici in Italia: abbandonare la propria famiglia o il proprio lavoro. Non è necessaria una seconda lettura per capire che quella a cui ci si trova di fronte non è altro che una falsa alternativa. Le madri sono messe con le spalle al muro avendo di fronte un’unica scelta obbligata. Ora, vi invito a collegarvi su Youtube e a dare un’occhiata alla campagna pubblicitaria. Al di là dello spot in onda su Rai 1 (a mio parere decisamente fuorviante in quanto incline a trasmettere il messaggio opposto, dipingendo la madre che sceglie di lavorare come snaturata e crudele), l’iniziativa pone l’accento sull’ingiustizia che spinge molte donne in Italia a firmare dimissioni in bianco al momento della stipula del contratto, attraverso le quali il datore di lavoro effettuerà un licenziamento camuffato in caso di gravidanza, o, senza arrivare a tanto, della semplice necessità di dimettersi in cui si trovano neo mamme dipendenti di aziende che non offrono servizi a protezione della maternità. Sul sito o sul canale Youtube dell’iniziativa sono state caricate delle interviste non solo di mamme che si esprimono in prima persona, ma anche di esperti come Roberta, Headhunter e Luisa, Human Resources director. Entrambe, insieme agli altri collaboratori, sostengono che la maternità in sé non sia assolutamente un punto di debolezza ma anzi “può rappresentare un elemento in più che va ad arricchire il profilo di una candidata donna” in quanto una madre è naturalmente caratterizzata da una buona capacità di organizzazione, efficienza, pazienza e capacità di ascolto. Escludere a priori una lavoratrice perché madre denota, quindi, da parte delle imprese, un errore logistico che potrebbe precludere loro l’assunzione di una dipendente altamente produttiva. Pertanto l’essere madre non danneggia le capacità lavoratrici di una donna, più che altro condiziona il suo stile di vita. Tuttavia i sacrifici di tempo alla famiglia e al lavoro non sono imputabili alla donna in carriera ma bensì ad un sistema di assistenza inefficiente e inappropriato che rende il nostro paese il più arretrato dal punto di vista di welfare aziendale all’interno dell’intero panorama europeo. Richiedere il supporto dell’Unione è infatti una delle possibili soluzioni al problema. L’altra parte direttamente da noi. È necessario che le donne si uniscano, diventino più forti e insieme comincino a pretendere il rispetto dei propri diritti. Per farlo bisogna scuotere le coscienze, sradicare quella retrograda cultura secondo la quale le donne debbano restare a casa, crescere i figli e non lavorare, che ancora è forte nel nostro paese. Farlo non è semplice. Da secoli abbiamo questa egoistica caratteristica di non guardare oltre noi stessi. Dai tempi più remoti in cui schiavi si oppongono ai movimenti schiavisti saliamo alle donne che si battono per i diritti del femminismo, fino a giungere ai più moderni esempi di omosessuali che lottano per la parità di trattamento e ora mamme che si battono per i diritti concernenti la maternità. Per ogni motivo, in ogni epoca gli uomini si sono sempre battuti per i diritti che concernevano solo la propria categoria d’esistenza. Eppure i veri cambiamenti non sono mai avvenuti finché altri non hanno cominciato a prendere a
 cuore la causa e combattere per dei diritti universali, che, anche non coinvolgendoli personalmente, hanno giudicato giusti e meritevoli di difesa. Per questo dico alle mamme che stanno lottando che il passo più grande verso il cambiamento parte proprio dal loro essere mamme oltre che lavoratrici. Attraverso l’educazione dei figli, questi possono essere sensibilizzati, possono acquisire consapevolezza, e quando saranno lavoratori o dirigenti di domani, saranno loro stessi a mettere fine a questa ingiustizia. È proprio attraverso questa campagna di sensibilizzazione che l’iniziativa Moms don’t qui ha organizzato una petizione, disponibile sul loro sito, che una volta raggiunte le 7500 firme verrà consegnata al Presidente del Senato Pietro Grasso, al Presidente Della Repubblica Sergio Mattarella e al Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio dei Ministri Maria Elena Boschi contenente una lettera di sollecito per sbloccare le iniziative in merito previste dalla legge di stabilità e di altri progetti concreti volti a tutelare il diritto alle pari opportunità. Se ciò non avviene, a nulla servono i tentativi di svecchiamento del paese, in quanto allo stato attuale delle cose “le donne hanno paura di fare figli.” (Alessia, Mamma)

 

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