La demagogia che supera i controlimiti della costituzione

a cura di Marco Fontana-

Ho deciso di scrivere quando, nella newsletter sulle startup a cui mi sono iscritto, ho trovato due bandi per incentivi alle imprese femminili: il primo della Regione Veneto e il secondo della Regione Friuli-Venezia Giulia.

Al contrario degli incentivi per i giovani o per le aree economicamente svantaggiate, questo mi è sembrato in palese contrasto con il principio di ragionevolezza.

Rifacendomi al diritto costituzionale, perché ci sia uguaglianza sostanziale, a parità di condizioni deve corrispondere un trattamento eguale ed a condizioni diverse un trattamento differenziato.

Non vedo gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà delle donne rispetto agli uomini di avviare un’impresa, impediscano l’effettiva partecipazione all’organizzazione economica del Paese.

E’ compito della Repubblica rimuovere questi ostacoli, ma solo dove presenti, altrimenti ciò che si ottiene è che la legge è uguale per tutti, ma che le donne sono diversamente uguali, in pratica una degenerazione di quel secondo comma dell’articolo 3 della nostra Carta Costituzionale che è la base dei diritti sociali.

Senza questo comma anche gli altri diritti di libertà sanciti dalla stessa Carta Costituzionale sarebbero privi di ogni reale valore e esso stesso sta anche alla base di tutte le altre democrazie costituzionali, essendo di fatto un retaggio della rivoluzione francese.
Si tratta di un programma per il legislatore ordinario, sollecitato ad assumere misure idonee ad attenuare le differenze di fatto, economiche e sociali, che discriminano le condizioni di vita dei singoli.

Tra gli anni ’60 e  ’70 c’è stata un’ondata femminista che ha giustamente portato alla conquista di diritti;

gli eredi di quei movimenti, purtroppo, sono degli pseudo-ideali che fanno solo da strumento della demagogia che ricorda le rivoluzioni perpetue utilizzate dai dittatori per autogiustificarsi, dopo aver deposto il dittatore di prima. Le lotte moderne si sono esaurite a tal punto da far emergere il bisogno di togliere i pixel dai capezzoli femminili in televisione dato che i capezzoli maschili possono essere mostrati;

peccato che, facendo finta che sia una tematica importante, il seno femminile è un carattere sessuale secondario, mentre il capezzolo maschile è solo un superfluo retaggio evolutivo.

Chiudiamo un occhio e diamo pure il contentino alle femministe che gridano al maschilismo.

Ho voluto riassumere nei quattro punti che seguono i più importanti settori dove il femminismo del nuovo millennio si batte per creare disuguaglianze in favore delle donne sulla base di presunte, ma infondate, differenze di natura economica, sulla salute, sulla sicurezza e politica.

Sulla base delle ricerche fatte da sociologi, le donne a parità di livello d’istruzione pare guadagnino di meno degli uomini; tali ricerche però mettono sullo stesso piano tutti coloro che hanno un livello di istruzione superiore, in pratica pone sullo stesso piano l’aspettativa di reddito di uno studente di medicina e quella di uno studente di scienze dell’educazione.

Guardando ai dati ISTAT, e non ad assoluti tali in quanto fatti di presunta comune esperienza, le donne si iscrivono prevalentemente in facoltà umanistiche, dove costituiscono rispettivamente più del 90% degli iscritti ad Insegnamento, 80% a Psicologia e Lingue e il 68% a Lettere. Sono invece solo il 30% degli iscritti nelle facoltà scientifiche e meno del 20% nella facoltà di Ingegneria.

I datori di lavoro tendenzialmente applicano il contratto collettivo e in nessun contratto collettivo ci sono discriminazioni quanto al genere, né tantomeno, i datori di lavoro hanno interesse a derogarvi intenzionalmente per ridurre lo stipendio delle donne. Inoltre il genere non è elemento rilevante negli studi di settore del fisco o ai fini del calcolo di valori normali, mercuriali o tariffari.

Di fatto il mercato è la cosa più democratica che esista e nessun consumatore valuta i prodotti guardando in faccia il produttore o un intermediario, nessuno si porrebbe mai come problema il genere dell’imprenditore, e porre delle agevolazioni in base al genere sarebbe come porne in base al colore dei capelli.

Sempre sul fronte delle disparità economico-sociali tanto lamentate dalle femministe, le statistiche dicono che in Italia il 14.3% dei senzatetto è donna, che è una curiosa maniera per dire che l’85.7% sono uomini (non essendomi noto un tertium genus).

Le persone si riducono a vivere da clochard per una serie di motivi, quasi sempre cumulati; due su tre fra questi, fra le altre cose, hanno perso la casa in seguito alla separazione.

Una delle maggiori incoerenze è il fatto che la figura della donna-madre vada eliminata in quanto sessista, però, nonostante l’affidamento sia congiunto per legge, la casa familiare, di fatto, guardando alla giurisprudenza, spetta sempre alla madre.

E che dire dei tanto amati fiocchetti rosa?

Il tumore che colpisce di più le donne è il temutissimo cancro al seno. Per carità, auspico che venga trovata una cura per tutti i tumori, ma proprio perché non ci sono malati di tumore che valgono meno di altri, parliamo del tumore che colpisce di più gli uomini: il cancro alla prostata.

Il predetto tumore non è che abbia un tasso d’incidenza tanto più basso di quello al seno, tant’è che dipende dallo stesso gene, però i finanziamenti per la ricerca sono meno di un terzo.

Probabilmente gli argomenti più caldi parlando di femminismo sono la violenza e le molestie.

Per quanto riguarda la violenza, dopo decenni di studi in gender studies, negli Stati Uniti anche le femministe ammettono che gli uomini sono vittime della violenza tanto quanto le donne. Quello che cambia significativamente è la maniera in cui viene percepito dalla società: se è una donna, la vittima è da condannare (giustamente), mentre se la vittima è l’uomo scatta l’ilarità della situazione, che risulta anche poco credibile e assimilabile a una scenetta comica.

Sul fronte delle molestie al di là del fatto che capiti verso entrambi i generi, probabilmente la vittima non è tanto la donna che per la promozione deve compiere una prestazione sessuale, quanto piuttosto i colleghi che si vedono soffiare la promozione a causa di una relazione tra una collega e il loro superiore.

William Pezzullo, Pietro Barbini e Stefano Savi come la più nota Lucia Annibali sono stati sfregiati con l’acido, la differenza sta nel fatto che non hanno ricevuto aiuti e onorificenze né hanno ispirato un film, ma sono stati abbandonati dalle istituzioni. Forse nel caso di un uomo non fa audience.

Un altro cavallo di battaglia delle femministe sono le quote rosa.

Non capisco perché se si candidino meno donne debbano avere più probabilità di essere elette;

Per quanto io venga da uno dei territori del paese più conservatori, non mi è mai capitato di assistere a qualcuno che abbia sostenuto d’indirizzare il proprio voto in base al genere. Infatti, in quanto uomini e donne sono portatori degli stessi interessi, non vedo perché in astratto le cariche elettive non possano essere ricoperte anche da sole donne. L’importante per il rappresentato è che il rappresentante faccia bene il suo lavoro, senza interesse nel genere di appartenenza.

Inoltre le quote hanno la funzione di tutelare le minoranze, ma gli elettori sono in più larga parte costituiti da donne, sono le donne in primo luogo che non votano donne. Quando la Costituzione dice che la Repubblica deve “rimuovere gli ostacoli” non vuol dire che deve portare tutti allo stesso risultato, ma che deve dare a tutti le stesse possibilità, e come per il mercato, anche in politica non ci sono differenze di possibilità fra uomini e donne, ma l’unica cosa che andrebbe fatta è vietare che possano essere fatte discriminazioni sia un senso sia nell’altro.

Gli errori delle femministe sono accomunati da una fallacia logica chiamata cherry picking, in altre parole selezionano solo i dati a favore della loro tesi ignorando le prove che la smentiscono e senza avere una visione d’insieme. Questo è particolarmente evidente nella loro diversificata pretesa di spazio nelle diverse stratificazioni: ai vertici, come i board delle società e i governi, pretendono pari spazio coattivamente, mentre non reputano diseguale il fatto che lavori fra i più logoranti e pericolosi, per esempio i minatori, siano svolti pressoché esclusivamente da uomini.

A prova del fatto che in realtà non viviamo in una società maschilista, che è la causa di tutti i mali di queste povere femministe, quando a Roma Virginia Raggi è stata eletta Sindaco, le uniche che si sono stupite del fatto che avesse vinto una donna sono state proprio le femministe; quando probabilmente tutti gli altri avranno quantomeno notato che i “grillini” hanno vinto nella capitale.

Probabilmente la causa remota di questo fenomeno buonista va rintracciata nel carattere endemico dell’occidente, che affonda le radici nella cultura cristiana, di identificare la benevolenza nella debolezza.

Si guardi alle beatitudini evangeliche… Una mentalità decadente e limitata.

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