La Flat Tax, spiegata da un cinico economista

di Francesco Cocozza-

Flat Tax, uno schema di politica fiscale che la coalizione di centrodestra dichiara di voler applicare in sostituzione dell’attuale sistema tributario italiano sul reddito dei cittadini, definito informalmente “a scaglioni”, qualora dovesse vincere le elezioni nazionali del 4 Marzo. Prima di tutto individuiamo brevemente cos’è e come funziona.
Nell’accezione usata durante le elezioni, la Flat Tax è un sistema fiscale proporzionale basato sull’applicazione di un unico tasso di contribuzione marginale all’imponibile di tutti i contribuenti. Tradotto: tutti i cittadini pagherebbero una stessa quota percentuale di contributi allo Stato, senza considerare il livello di reddito. È tuttavia parzialmente falso che questo schema non tenga in considerazione le condizioni socio-economiche dei contribuenti, per via della parola “marginale”. L’attuale modello fiscale italiano prevede infatti un enorme e complicatissimo ammontare di deduzioni fiscali (agevolazioni, detrazioni ed esenzioni) che nel 2016, secondo uno studio dell’Ufficio Valutazioni Impatto del Senato, ha raggiunto quota 610 e -76.5 miliardi di euro di entrate fiscali. Il centrodestra intende finanziare la Flat Tax anche eliminando una parte di queste deduzioni (Forza Italia per 1/3, la Lega sostituirebbe le precedenti con un’unica maxideduzione basata sui membri del nucleo familiare), ma le rimanenti renderebbero il modello fiscale parzialmente progressivo. In più, è in programma per tutti i partiti del centrodestra di non tassare redditi sotto una certa soglia, la quale dovrebbe aggirarsi tra i 10 e i 12 mila euro annui. Anche questo elemento stempererebbe il carattere proporzionale ed indiscriminato della Flat Tax pura. Cosa viene quindi ad essere la Flat Tax marginale proposta dal centrodestra? Un sistema fiscale con un’aliquota massima costante sul reddito, il quale prevede comunque sconti più o meno significativi in base alle condizioni socio-economiche dei contribuenti ed anche l’esenzione completa sotto una determinata soglia di reddito.

È a questo punto fondamentale chiedersi quali siano i lati positivi e negativi di un tale meccanismo di contribuzione. Prima sono però necessarie due puntualizzazioni sul metodo di analisi che verrà seguito. La valutazione della Flat Tax, come per ogni tipologia di sistema fiscale, può essere pesantemente distorta dalle considerazioni etiche frutto della sensibilità e cultura di ogni individuo. La seguente analisi sarà tecnica e cercherà pertanto di escludere il più possibile tali considerazioni dal computo dei pregi e dei difetti, sebbene sarebbe ingenuo ritenerla completamente scevra da tali influenze. Non leggerete nelle prossime righe opinioni sul dibattito Giusto/Ingiusto e anche la riduzione del carico fiscale complessivo sarà tenuta di conto solo marginalmente, in quanto indipendente o meno dal sistema fiscale utilizzato. Inoltre, date le differenze di programma fra i partiti di centrodestra, si è scelto di analizzare la Flat Tax del programma di Forza Italia. Essa si presenta, infatti, come la versione più moderata ed economicamente precisa, oltre ad essere proposta dal partito che sembra avere maggiori consensi nei sondaggi.

Va innanzitutto lodata la semplificazione che la Flat Tax “berlusconiana” apporterebbe al nostro sistema fiscale. Essa andrebbe a sostituire diverse tasse, fra cui la principale è sicuramente l’IRPEF, l’imposta sul reddito delle persone fisiche. Questa prevede un’aliquota variabile e progressiva in base al reddito, con il 23% come minimo e il 43% come punto di massimo. I cosiddetti scaglioni sull’imponibile, appunto. A questi si aggiungono le centinaia e centinaia delle già trattate deduzioni fiscali e il risultato è una moltitudine quasi infinita di combinazioni. L’effetto di tutte queste combinazioni è ovviamente quello di intasare la burocrazia e confondere i contribuenti. È uno dei motivi per cui l’agenzia delle entrate si dimostra costantemente e insistentemente inefficiente. La Flat Tax, e l’annessa semplificazione delle deduzioni, renderebbe il sistema fiscale sicuramente più efficiente e soprattutto affidabile.

All’eliminazione degli scaglioni IRPEF e alla riduzione del tasso di contribuzione per i redditi più elevati va collegato un altro importante fenomeno. Chi propone la Flat Tax argomenta che essa sarebbe in grado di ridurre sensibilmente la quota di evasori con redditi elevati. Il meccanismo funzionerebbe così: eliminando la progressività e abbassando la tassazione sui redditi elevati, l’utilità marginale (i.e. la convenienza) di evadere diminuirebbe di molto, rendendo il rischio di mantenere una parte dell’imponibile in nero meno seducente. In molti casi questo schema non ha funzionato, per esempio nel caso dei Paesi Baltici. È tuttavia possibile trovare un precedente illustre nella Russia. In quel particolare caso le entrate fiscali aumentarono e il nero diminuì sensibilmente. Una ricerca dell’International Monetary Fund dimostrò come tale effetto fu dovuto in primo luogo a dei controlli serrati e alla diminuzione del carico fiscale (non legato necessariamente al meccanismo di tassazione) e non alla Flat Tax stessa. La stessa ricerca non dimostrò, al contempo, assenza di correlazione e il ragionamento di inizio paragrafo può così essere completato: oltre alla riduzione dell’utilità marginale ad occultare redditi più elevati, una forte stretta sui controlli e sulle sanzioni fiscali (ventilata dal centrodestra ma non ancora definita chiaramente) aumenterebbe contemporaneamente il rischio di evadere. Questi due fenomeni insieme darebbero vita ad una sorta di “pressa fiscale” che dovrebbe schiacciare la convenienza ad evadere, come avvenuto con la Federazione Russa.

Dopo i due pregi principali, e prima di elencare i 2 principali difetti, va riportato quello che rappresenta il perno centrale attorno al quale ruota il dibattito etico ed anche giuridico sulla Flat Tax. La Flat Tax è un sistema fiscale che tassa redditi alti e bassi allo stesso modo. In altre parole, ricchi e poveri contribuirebbero con la stessa proporzione dei loro guadagni alla fiscalità nazionale. Il dilemma etico è lampante e dà vita a diverse domande. I poveri dovrebbero o meno ricevere un aiuto, in ragione delle loro ridotte possibilità sociali ed economiche? Non dovrebbero i ricchi contribuire in misura maggiore alle spese del Paese, in ragione delle loro maggiori possibilità? Perchè i ricchi, che utilizzano meno i servizi pubblici, dovrebbero pagare di più per essi? Tassare di più i redditi elevati non rischia di disincentivare la produttività e la laboriosità delle nostre menti più capaci? La risposta sta alla sensibilità di ognuno e l’economia fornisce solo risposte parziali.

Passando ai difetti del modello Flat Tax, il primo è sicuramente quello di creare un enorme buco nelle finanze pubbliche in un Paese già estremamente vulnerabile a crisi di debito sovrano e con uno dei più alti rapporti Debito Pubblico / PIL dei Paesi OCSE. Il totale ammonta a più di 2,000,000,000,000 (2 triliardi) di euro, circa il 140% del nostro PIL. La Flat Tax, per non aumentare la tassazione sulle fasce più deboli della popolazione, dovrà ammontare a circa al 23%, addirittura il 20% se le intenzioni di Forza Italia verranno rispettate in toto. In quest’ultimo caso la riduzione prevista di gettito fiscale ammonterebbe tra i 34 e i 75 miliardi di euro, con l’inserimento nel computo anche della prevista esenzione totale per i redditi più bassi. Ammontare solo in parte coperto dalla parziale eliminazione delle deduzioni fiscali, in quanto 1/3 della sovramenzionata cifra coprirebbe 25 miliardi di euro circa. Rimarrebbero così scoperti almeno 10 miliardi (con un picco di 50) da coprire, nelle stime di Forza Italia, grazie alla lotta all’evasione e all’espansione economica. Le stime sono però state definite più che ottimistiche dall’economista e docente LUISS Veronica De Romanis durante un confronto televisivo con Renato Brunetta, ed è opinione di chi scrive che rasentino la follia. Prevedono per esempio un crescita del PIL di oltre il doppio superiore a quella del 2017, dall’1,5% al 4%. Per colmare questo dislivello sarebbe necessaria una riduzione imponente di spesa pubblica da attuare con strettissimi tempi, anche per evitare la parallela attivazione delle clausole di salvaguardia sull’IVA. Tradotto: non si tratterebbe di una salutare spending review ma di tagli grossolani e frettolosi alla spesa pubblica. Ovviamente, il problema si presenterebbe con maggiore gravità nel caso delle proposte di Fratelli d’Italia e Lega. Tagli di questo tipo rischierebbero di affossare la ripresa sui consumi pronosticata dal centrodestra grazie proprio alla Flat Tax.

Proprio questo è l’altro enorme difetto della Flat Tax. Essa è uno strumento fiscale che riduce di molto la redistribuzione tipicamente attuata da un sistema progressivo, come anche le relative distorsioni (Deadweight Loss). Di conseguenza, se da un parte si può auspicare un aumento dei consumi e soprattutto degli investimenti da parte dei ceti più abbienti, la Flat Tax andrebbe nel migliore dei casi a lasciare sostanzialmente invariata la situazione dei primi due scaglioni dell’attuale IRPEF compresi fra i 15,000 ed i 28,000 euro annui. Per essi, una Flat Tax al 23% lascerebbe immutata la somma lorda dovuta all’erario. Allo stesso tempo però non potrebbero più contare su diverse deduzioni fiscali e, soprattutto, la riduzione di spesa citata nel paragrafo precedente costringerebbe questi cittadini a direzionare parti più consistenti del loro reddito alla spesa di sopravvivenza. Risultato? Una riduzione del potere di spesa, consumo e risparmio dei cittadini con un reddito sotto i 28,000 euro. Dato che il PIL procapite italiano è stato nel 2016 di 27,363€ e che la media è alzata parecchio dalla disuguaglianza di reddito in Italia (l’indice di Gini, sulla disuguaglianza economica, è molto elevato in Italia e aumenterebbe molto in caso di Flat tax), il risultato diverrebbe una diminuzione del consumo per più di metà popolazione italiana. Esattamente l’opposto del motivo con cui viene promossa la Flat Tax nella campagna elettorale del centrodestra. Badate bene che non c’è considerazione etica su questo effetto, il problema non è posto tanto sulla redistribuzione di reddito in quanto tale, quanto sull’oggettivo e pregnante problema, meramente economico, della riduzione di una spesa per il consumo già ora di incerta ripresa. Questo sul breve periodo risulterebbe anche in perdita di capacità produttiva e reddito aggregato e individuale.  

La speranza è che questo articolo, scritto con l’intento dell’oggettività e la volontà di lasciare allo spirito critico dentro ognuno la libertà di un giudizio autonomo, possa aiutare anche solo qualcuno a schiarirsi le idee su questa importante tematica. Buon voto a tutti!

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