Libano: l’instabilità su più fronti (Religiosa, Politica e Quotidiana)

A cura di Benedetta Cruciani

Molti di voi conosceranno forse il Libano con il suo simpatico appellativo di “Svizzera del Medio oriente”. Altri invece lo crederanno una sfortunata regione situata da qualche parte “verso est”. Io stessa, come studentessa di giurisprudenza alle prime armi, credevo non fosse altro che una zona grigia tra il “pericoloso” e il “non così pericoloso”. La verità è che con il suo passato e con il suo presente, il Libano è contemporaneamente entrambe e nessuna di queste cose. Si tratta del maggiore esempio di come l’instabilità religiosa possa contaminare tanto la vita politica che quotidiana di un’intera nazione. Ma procediamo per gradi, analizzando il problema religioso come causa basilare di questa condizione di instabilità e tutta la sua storia. I primi insediamenti umani in Libano risalgono al 7000 a.C., e già dall’epoca Fenicia si caratterizza come punto di incontro tra civiltà differenti. Greci, Arabi, Ottomani, si sono susseguiti nella dominazione di questo paese spingendolo incontro al suo inevitabile destino di ponte tra la cultura Islamica e Cristiana. La situazione è ulteriormente complicata dalle complesse diversità ideologiche che dividono lo stesso mondo islamico; il Libano è infatti zona di convivenza di sciiti, sunniti, Hezbollah e Drusi. Mai nel susseguirsi dei secoli tale convivenza può essersi detta pacifica. A causa di ciò la politica del paese non ha mai potuto seguire un assetto unitario, né sotto il protettorato Francese, né dopo la conquista dell’indipendenza. Le profonde differenze culturali hanno portato allo scoppio di una guerra civile che vide opposte le due principali confessioni religiose, cristiani e musulmani, nel recentissimo 1972 per la durata di ben diciotto anni. Diciotto anni di distruzioni, di vittime. Diciotto anni in cui si sono viste entrare in gioco diverse fazioni quali Siriani, Israeliti e filo Iraniani. Beirut, la capitale, venne divisa in due zone: a est i cristiani e a ovest i musulmani. Adesso la differenza è quasi irrilevante, si tratta di oltrepassare una linea immaginaria passeggiando tranquillamente sull’ ampio lungomare. Agli occhi di un turista inesperto tutto si riduce al perdersi da un panorama di skyline arabeggiante ad uno scenario di chiese e piccoli palazzi, il tutto in pochi passi. Trent’anni fa invece quella separazione si erigeva netta e costituiva per i civili il confine tra la vita e la morte. E in effetti le conseguenze di quell’orrendo conflitto si vedono ancora; e non solo nei palazzi del centro bucherellati dai fori di mille mitragliatrici, lasciati intatti come simbolo, come memoria.

Ciò che tale conflitto prima religioso e poi politico lascia in eredità alla sua popolazione è una vera instabilità nella vita di tutti i giorni. I negozi, i bar, i ristoranti delle zone storiche sono chiusi e deserti, le piazze costantemente sorvegliate dai militari che con occhio vigile proteggono la popolazione dagli eventuali attentati suicidi che hanno visto susseguirsi per anni. Ma in contrapposizione a queste scene di desolazione, di notte Beirut lascia trasparire tutta la sua voglia di ricominciare a splendere, illuminando le sue strade principali con mille locali notturni, dove centinaia di giovani si riversano a festeggiare. Di nuovo, nonostante una grande opera di ricostruzione edilizia che dal post guerra civile va ancora avanti, assistiamo anche a una totale disorganizzazione a livello di collegamenti stradali ed erogazione dell’energia, con ripetuti e lunghi blackout. A questo proposito è bene sottolineare che a fronte di una capitale cosmopolita e moderna, il resto del paese rimane sottosviluppato, reggendo la propria economia su quel poco turismo attirato dai reperti storici delle città più antiche come Byblos e Baalbek.
Guardandosi attorno, ampia è la forbice sociale che caratterizza questo paese. A fronte di un ceto medio quasi completamente assente, assistiamo alla netta divisione tra ricchi e poverissimi. Nella prima categoria rientrano soprattutto musulmani, anche se non mancano tra i poverissimi un ampio numero di profughi siriani.
Anche il sistema scolastico è testimone della duplice divisione ricchi-poveri e cristiani-musulmani. Sebbene il Libano vanti la migliore percentuale di alfabetizzazione del Medio Oriente ( 86% della popolazione) vi è la netta divisione tra scuole pubbliche e private e scuole musulmane e cristiane. Le varie confessioni religiose e ceti sociali non si incontrano mai, rendendo ancora più instabile il già complesso e delicato processo di integrazione e coabitazione pacifica.
La stessa lingua da parlare per comunicare è incerta; non è raro infatti sentire frasi iniziate in arabo, proseguite in francese e terminate in inglese.
Il punto forse di maggior interesse per noi giuristi italiani è la totale assenza di una costituzione laica. A seconda del credo religioso si è soggetti rispettivamente o alla legge cristiana o alla musulmana. Questo porta una fortissima instabilità nel sistema giuridico che ha come conseguenza il ritardo nell’acquisitone di quei diritti che sono per noi ormai acquisiti e fondamentali. A titolo di esempio, le donne in libano non sono portatrici di alcun diritto ereditario, il che significa che un bambino nato al di fuori del matrimonio non solo non avrà accesso al patrimonio di famiglia, ma vivrà anche privo di cognome. Questo non può essere che il risultato di un’instabilità religiosa che riversa le sue conseguenze anche sul lato politico e quotidiano della nazione.
Da una parte perciò assistiamo ad una realtà disorganizzata e confusa, dall’altra ad un paese nuovo, in costruzione, cosmopolita. È duplice il possibile futuro del Libano: combattere la sua intrinseca instabilità e completare la sua opera di rafforzamento, indipendenza e costruzione oppure soccombere alla stessa e tornare preda delle mire espansionistiche delle culture confinanti. Quale delle due tendenze risulterà vincitrice lo potremmo scoprire solo nei prossimi decenni.

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