QUALE FUTURO PER LA SINISTRA?

A cura di Matteo Politano-

Il Partito Democratico ha perso. Tragedia, disperazione, devastazione per alcuni. Liberazione, felicità, anche goduria, per altri.
Ma la realtà è tale: il PD è ancora il secondo partito d’Italia, ma il 4 marzo è arrivato al 18,7% alla Camera ed al 19,1% al Senato. Soltanto un punto e poco più sopra la Lega, quella Lega nuova e nazionale guidata dal primo grande spauracchio dei Dem, Matteo Salvini, e ben 13-14 punti sotto al secondo, il M5S, con in testa Luigi Di Maio, leader di quello che oggi è -e di gran lunga- il primo partito italiano. Se poi si guarda ai numeri delle coalizioni, sono ancora più imbarazzanti: 27,4% per il centro-sinistra tutto. 10 punti sotto i grillini, 15 sotto il centro-destra di Matteone, Silvio e Giorgia.
Inevitabilmente, il segretario Renzi si è dimesso, non senza lasciare diversi messaggi: primo fra tutti, la necessità per il PD di andare all’opposizione, senza alcun sostegno ad un Governo delle altre forze politiche. Non solo: ha richiesto un congresso dal quale i Democratici possano ripartire, ove non vi siano rappresaglie delle minoranze, e senza candidati segretari figli delle cancellerie di Partito. Ma, aldilà della riflessione sul futuro del Partito, bisogna valutare quale sarà il cammino stesso della sinistra italiana, anche considerando il deludente risultato di Liberi e Uguali, fermi al 3,4%.                            

Per valutare il futuro, però, bisogna capire il passato: soprattutto quello recente, con tutto quello che ha significato, in primis per gli elettori.
Basta vedere la mutazione genetica della sinistra e del centro-sinistra: è sempre stata continua, ma, nonostante un andamento non rettilineo, c’è sempre stato un costante filo rosso nel principale partito.
Il punto è che Renzi, in realtà, è l’ultimo tipo di modello esistente: non si riesce ad immaginare un qualcosa di diverso.
Per capirlo meglio bisogna anche guardare all’Europa: lo abbiamo visto ad esempio con Jeremy Corbyn fra i laburisti inglesi, dove ora c’è un ritorno al passato, al vintage, non una ulteriore evoluzione. Meglio, un ritorno al socialismo e alla socialdemocrazia più stretti.                                                        Ed il vero elemento scatenante è scaturito dalla globalizzazione: la suprema contraddizione, la difficoltà nell’affrontare e difendere gli
interessi degli ultimi, la classe operaia, i poveri, poi diventati i penultimi che, a loro volta, hanno paura dei nuovi ultimi, gli
immigrati, i nuovi poveri. Tra l’altro, tutto ciò è iniziato in un contesto in cui il comunismo, ma anche i modelli di governo socialisti democratici, hanno perso. Il che ha portato alla crisi d’identità, che perdura ancora oggi: i partiti laburisti e socialisti occidentali, da Clinton e Blair in poi, sono giunti alla Terza Via riformista, quella tra il socialismo ed il liberismo, nell’accettazione del sistema capitalistico. Si sono avvicinati al centro, alla destra, e al loro elettorato, per capire ed affrontare meglio un mondo moderno e cambiato.
Tutto questo ha rappresentato il corto-circuito che ha portato alla crisi attuale delle sinistre mondiali, il cui elettorato, sentendosi tradito, è virato a Destra, verso le destre sociali, sia post-fasciste che non.                                                                                                                                                                    E’ la destra sociale ad avere una linea economica più vicina alla Sinistra classica, rispetto ai nuovi partiti della Terza Via; in più si concentra sulle “vere” minacce: gli immigrati, la criminalità, e quelle realtà estere o internazionali (l’Europa, i Poteri Forti, le banche) che limiterebbero la sovranità nazionale: la Patria, da difendere nei valori e nelle strade.

Lo stesso Salvini nasce così: un tempo è stato, infatti, a capo del gruppo dei cosiddetti “Comunisti Padani”, una delle correnti di estrema sinistra del Partito, e ha frequentato per un periodo (mai chiarito quanto breve) il centro sociale Leoncavallo di Milano.                                                                      Ma col tempo ha cominciato, come molti, a vedere paradossalmente molti più valori di sinistra, come la lotta alla povertà, l’attenzione per le periferie, la difesa del lavoro, in una certa destra.
E la stessa Lega (Nord) di Umberto Bossi, per quanto liberista in economia, aumentò il suo consenso non solo grazie ai sostenitori del federalismo e della secessione, ma anche ai delusi. Infatti, la Lega ha sempre preso diversi voti dagli operai del Nord Italia, al punto che D’Alema disse, già nel 1995: “la Lega è una nostra costola”.

Tutto questo è significativo: è stata la base dalla quale poi il nuovo leader, in un contesto ancora più globalizzato, europeo e disilluso, ha preso le mosse, riuscendo poi nella (oggettivamente) grande impresa di portare la Lega non solo al più grande risultato della sua storia, ma anche al gran sorpasso: diventare il primo partito del centro-destra italiano. E discorso simile vale per i 5 Stelle: hanno preso consenso soprattutto tra gli ultimi, tra chi cerca un cambiamento ed un’attenzione al sociale, che non ritengono sia stata loro riservata dal PD. Il risultato è sotto gli occhi di tutti: il 2018 è stato l’anno della più grande sconfitta della storia della sinistra italiana, la più grande dal dopoguerra in poi: perché se il PCI aveva ottenuto qualche risultato percentuale inferiore in 50 anni, la somma della sinistra tutta (compresa di PSI, PSDI e altri) ha sempre per lo meno raggiunto il 30%.
E la domanda rimane: qual è il futuro della sinistra italiana?                                                                    

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