“Il contratto è un patto di potere ma il Colle non è un notaio” (Zagrebelsky)

A cura di Emanuela Storti

Si è tanto parlato in questo periodo del “contratto di governo” tra Luigi di Maio, leader del Movimento 5 Stelle, e Matteo Salvini, segretario federale della Lega. Questa creatura mitologica, del tutto nuova nel panorama politico italiano, ha lasciato notevoli dubbi circa la sua forma e la sua sostanza.

In primis, ci si chiede chi siano i contraenti effettivamente vincolati: Di Maio e Salvini? O i rispettivi partiti?

I primi possibili profili di incostituzionalità riguarderebbero l’art.67 della Costituzione, in merito all’assenza di vincolo di mandato. Sicuramente l’articolo in questione si riferisce ad un vincolo tra parlamentare ed elettore e non ad un’alleanza tra partiti. Il problema è che i suddetti leader politici hanno affermato più volte di voler stipulare questo contratto con i cittadini italiani e la sussistenza di questo legame tra eletti ed elettori la si evince, ad esempio, dal sito web del M5S: il primo che permette agli iscritti di votare online il programma di governo. L’assenza di vincolo di mandato ha una sua ratio: garantisce la massima libertà di espressione dei membri del Parlamento ed è indice di democrazia all’interno di uno Stato.

Con questo contratto si voleva dare una svolta, instaurare la “Terza Repubblica” e determinare una rottura con il sistema politico precedente. Dopo tale rottura sarebbe necessaria una ricostruzione, che si dovrà attuare, però, partendo dagli strumenti giuridici e dagli istituti del nostro ordinamento.

Per la risoluzione delle controversie nascenti dal suddetto contratto, le parti hanno ideato un “Comitato di conciliazione”: un’altra creatura mitologica. Al di là della sua probabile incostituzionalità, dovuta al fatto che vi sarebbe la creazione di un organo del tutto nuovo attraverso un processo decisionale affatto democratico, il Comitato di conciliazione risulterebbe composto da: leader di M5S e Lega, Presidente del Consiglio, Presidenti dei gruppi parlamentari e il Ministro competente per materia. Un assemblaggio fortemente politico che sminuisce il Parlamento quale sede naturale di dibattito e conciliazione.  

Secondo quanto prevede il contratto, il Comitato di conciliazione dovrebbe intervenire anche per il raggiungimento di una posizione comune tra i due partiti su tematiche estranee al contratto o aventi carattere d’urgenza e imprevedibilità, quindi, in caso di calamità naturali et similia, non sarebbero stati nè il Parlamento, né Il Governo a prendere una decisione in merito, ma codesto comitato.

Ulteriore questione che ha sollevato diverse perplessità è il “codice etico dei membri del Governo”, che prevede l’impossibilità di far parte dello stesso per soggetti incorsi in taluni reati ivi indicati, nonché sotto processo. L’art. 27 della nostra Costituzione prevede che “l’imputato non è considerato colpevole fino alla condanna definitiva”, però tale presunzione di innocenza sembra del tutto irrilevante per i “contraenti”.

Il contratto di Governo è inoltre molto vago nei suoi contenuti e dallo stesso risulta un quadro alquanto confusionario.

Nonostante le critiche mosse contro questa scelta, uno strumento simile è utilizzato anche in Germania ed ha una lunga tradizione alle sue spalle, sebbene sia parecchio diverso rispetto al contratto ideato da Salvini e Di Maio e trovi il suo fondamento in condizioni politiche differenti.

In primo luogo, in Germania c’è un sistema elettorale proporzionale nel quale le coalizioni vengono pacificamente formate dopo il voto, così come accadeva in Italia nella Prima Repubblica, ed è ammesso che gli accordi vengano siglati dopo le elezioni. Non si parla mai di “contratto”, ma di Koalitionsvertrag cioè “accordo di coalizione”, il quale è una manifestazione di volontà che non può essere in alcun modo vincolante, dato che anche in Germania vi è il divieto di mandato imperativo. Il problema è che il leader del M5S ha affermato che “Quello che c’è scritto [nel contratto] è ciò che il Governo si impegna a fare” e quindi, come suddetto, vi sono rilievi di possibile incostituzionalità.

In secondo luogo, Di Maio ha spiegato che “È un contratto in cui scriviamo nero su bianco, punto per punto, quello che vogliamo fare, dove si spiega per filo e per segno come si vogliono fare le cose e in quanto tempo. Dentro si inseriscono tutti i dettagli delle cose che si devono fare, si firma davanti agli italiani e poi si realizza.”. La ratio del Koalitionsvertrag è invece quella di dare un indirizzo al Governo e non di porre obbiettivi eccessivamente stringenti, proprio per garantire comunque una certa discrezionalità ai membri dell’Esecutivo. Infatti, i leader di Lega e M5S non sono effettivamente riusciti a indicare come portare a compimento i contenuti del contratto, da un lato perché risultava effettivamente impossibile individuare precisamente ogni azione politica che avrebbero intrapreso e dall’altro perché taluni contenuti erano davvero irrealizzabili.

In sostanza, si può certamente prendere spunto dagli istituti di altri ordinamenti democratici, ma è importante tener conto del contesto politico-istituzionale di un determinato Paese e chiedersi se la ratio di un simile istituto possa trovare riscontro in un sistema come il nostro.

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