Apologia del selfie

Di Leonardo Esposito- 

C’è chi ne abusa, c’è chi lo odia. C’è chi ormai ritiene il termine demodé e chi utilizza ancora l’autarchico “autoscatto”. Mai e poi mai avrei pensato di sentirmi costretto (o forse dovrei più realisticamente dire “di potermi ridurre”?) a scrivere un articolo su quelle sei lettere che da tredici anni (secondo le fonti più accreditate, ma c’è chi retrodata il conio del termine al 2002 australiano) infestano l’etere ed ormai anche i dizionari.
Esatto, questo è un articolo sui selfie.
O meglio, su alcuni selfie.
Esattamente.
E per dare tutti gli shock del caso immediatamente, così da essere abbastanza inebetiti per leggere il resto dell’articolo, annuncio che sto per difendere i ministri Salvini e Toninelli.
Tutto nasce con la tragedia di Genova, cui sono seguite, il 18 Agosto, le esequie solenni per alcune delle vittime. Nel luogo della celebrazione, Ministro degli Interni è stato infatti immortalato mentre, su richiesta di una fan (giuro, non posso trovare un termine più adeguato) che gli si era avvicinata, si scattava un selfie.
Ha seguito il trend il Ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti, Danilo Toninelli, che solo due giorni dopo ha postato sul suo profilo Instagram un selfie che lo ritrae con la moglie al mare, con una didascalia di scialba propaganda pro-Guardia Costiera che tocca il proprio apice con una battuta dal sapore glaciale avente per protagonista il proprio cappello.
Entrambe le foto scatenano un piccolo, grande putiferio.
Tra i primi commenti al selfie di Salvini giunge quello di un rapper, tale Frankie hi-nrg, che su Facebook raccoglie poco meno che quattordicimila condivisioni con un laconico “I selfie, ai funerali di Stato. I selfie.”. Peraltro, l’artista (?) ha riscosso anche un certo riscontro visto che è stato addirittura raggiunto dal Corriere della Sera per un’intervista (nella quale equipara le critiche al suo post a comportamenti fascisti, stalinisti e del Terzo Reich). Fa eco la deputata Dem Alessia Morani, che in tre righe riesce anche a scrivere ruspa, che con Salvini non guasta mai e garantisce sempre qualche like extra.
Sul caso Toninelli invece, interviene Mulé, deputato forzista e portavoce dei gruppi di FI alla Camera e al Senato. Parla (al plurale) di oltraggio alle vittime di Genova e di coscienze che ribollono di indignazione. Rincara addirittura la dose, dopo la difesa del Ministro, condendo peraltro le proprie uscite con dei goffi tentativi di ridicolizzare la condotta del pentastellato.
Non poteva mancare Matteo Renzi. Che, però, nella sostanza riversa in due righe qualche significante privo di significato.
Questo dal fronte dei nomi più o meno grandi. Sarebbe superfluo evidenziare come ciascuna di queste (e decine di altre) uscite siano state seguite dai belati informatici di dozzine di centinaia di utenti beninformati e benpensanti.
Ma, dallo studio del fatto, muoviamo verso il vero protagonista: il selfie.
Liquiderò in poche righe la vicenda del Ministro Toninelli, perché di facile difesa. Assumendo che il ministro potesse legittimamente prendersi una pausa dalla sua trafficata (difficile usare altri termini, per il Ministro dei Trasporti) agenda, scattarsi un selfie e postarlo non ha nulla di strano, malato o indegno, tantomeno illegittimo. Senza scomodare l’amore familiare e la nostalgia, le giustificazioni da Libro Cuore adottate dal Ministro, è sufficiente prendere atto che questi è comunque un privato che ha deciso di aggiornare il proprio profilo social. Non diversamente da quanto fatto da (statisticamente) un altro milione di italiani lo stesso giorno. Non si può pretendere che una persona viva in uno stato cordoglio (che, umanamente, comunque è stato vissuto) permanente. Pur memore di quanto successo, questa deve pur sempre continuare la propria vita. Ma forse, qualcuno preferisce un ministro depresso che piange sui documenti ufficiali.
Dunque, un privato cittadino (poiché, in quel momento, in quel contesto, Toninelli non poteva considerarsi né più né meno) si è scattato una foto con la moglie. Ciò basti a considerare risolta la questione.
Diversa è la querelle salviniana. Effettivamente, scattarsi un selfie ad un funerale è un contegno che non entrerà nei manuali di galateo e cavalleria ancora per qualche tempo. E tuttavia, il vicepresidente del Consiglio non ha fatto nulla di scorretto.
Dev’essere anzitutto considerato che, ormai, l’autoscatto fa parte della vita quotidiana di milioni di italiani, divenendo così un elemento routinario, specie nella vita di taluni soggetti esposti alla pubblica attenzione in maniera pressoché costante. Salvini, ovviamente rientra in questa categoria. Logica conseguenza è che il selfie abbia perso gran parte della sua aria ridicola e leggera, diventando al contrario un elemento portante della quotidianità e della mondanità pubblica, privo di alcun connotato positivo o negativo. Nulla di diverso, insomma, dal tollerare gli scatti di decine di fotografi professionisti, come per prassi universalmente accettava avviene in occasioni analoghe alle esequie genovesi.
In secondo luogo, il leader della Lega si è fatto ritrarre in seguito alla richiesta di una ragazza. Se proprio si vuole imputare una qualche colpa, questa grava su di lei. C’è peraltro da considerare che il Ministro non si è fatto ritrarre con il suo solito ed irritante sorrisone, ma ha mantenuto un contegno contrito e rispettoso: elemento non scontato, quest’ultimo, che conferma la neutralità del selfie e la possibilità di modularlo a seconda dell’occasione.
È pur vero che, diversamente da Toninelli, Salvini si trovava a Genova in vesti ufficiali. Ma, posta la natura (ormai) ordinaria del selfie, credo che alcun problema si ponga.
Insomma, tanto rumore digitale per nulla. Se i ministri Salvini e Toninelli proprio vanno criticati (e vanno proprio criticati), le ragioni sono ben altre: dalla loro ridicola gestione battibeccante degli sbarchi dei migranti, alla anacronistica questione delle nazionalizzazioni, passando per le grandi opere da interrompere à la carte.
Se vogliamo indignarci, invece, abbiamo una pletora sterminata di differenti ragioni: nessuno, veramente, prova ribrezzo a sentire fischi di disprezzo ad un funerale di Stato? Parliamone. Come dovremmo parlare del fatto che a meno di 24 ore dalla tragedia del Morandi, il vicepremier Luigi Di Maio, intervenuto sul luogo, in diretta nazionale, abbia avuto la geniale intuizione di dare la colpa del crollo ai governi precedenti.
Ma per favore, lasciate in pace Salvini e Toninelli.
E lasciate in pace i selfie.

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