Indi(e)fendibili

 

A cura di Giulio Menichelli-

Da qualche anno il mondo della musica di consumo è insoddisfatto. Non vanno più bene i cantanti alla Laura Pausini che, salvo qualche caduta di stile sul palco, propongono canzoni decorose e mai volgari. No. Non è più realistico cantare di forti emozioni e trasporti passionali restando eleganti. Però, siccome il pubblico è tutto fuorché intellettualmente onesto, le parolacce e le volgarità ancora non sono state sdoganate nell’Italia pancia di sé stessa.

Per far fronte a queste puntuali richieste, un gruppo di affamati cialtroni ha deciso di far incontrare l’insofferenza per lo straordinario e per l’elegante con la necessità intrinseca dei canzonettari di mantenere uno stile di facciata. Facendo questo, però, hanno deciso di staccarsi da quelli che, ognuno a suo modo e a seconda dei giorni, definiscono canoni accademici, facendo nascere quindi un genere indipendente che hanno rapidamente chiamato musica “Indie”.

I problemi che pone questo genere sono quindi due: il primo riguarda la definizione, e cioè stabilire chi è indie e chi no; il secondo è invece più propriamente la concretizzazione del distacco, ossia in che modo essere differenti dagli artisti degli anni precedenti.

Siccome la scelta di definirsi indipendenti è assolutamente pretenziosa, sulla scena musicale oggi si possono vedere decine di artisti indie che si definiscono accademici e almeno altrettanti che, pur volendosi chiamare indie, sono nient’altro che il frutto del progresso – se così lo si vuol chiamare- musicale degli ultimi decenni. Del primo gruppo fa parte, ad esempio, Coez, che in un’intervista ha preso le distanze da qualsiasi cosa sia indie nonostante sia l’autore di alcune delle canzoni più banalmente indie degli ultimi dieci anni. Del secondo, invece, l’esempio più eclatante sono i Thegiornalisti, che pur essendosi presentati come indie, hanno trasformato la loro musica nel pop più mainstream di sempre non appena hanno ottenuto un minimo di successo.

Per quanto riguarda invece il secondo problema, questi signori si sono a lungo interrogati su come fare. La risposta è scaturita come un lampo dal cielo. In fondo se il pubblico si è stufato dell’altezza del discorso, bisogna necessariamente abbassare il registro e il valore stesso dei temi trattati. Tutto ciò diventa palese se si analizza una canzone come Orgasmo di Calcutta. Gli sono bastati senz’altro pochi ingredienti: un titolo quasi scandaloso, un mucchio di riferimenti sessuali che non sfociano mai veramente in una volgarità che urta la sensibilità di chi ascolta, un’infinita lista di banalità sconnesse e un generico senso di insoddisfazione e struggimento poetico, che però non si allontana mai veramente dalla vita ordinaria della nostra generazione.

Un agglomerato di inutilità volgari insomma, e neppure abbastanza volgari da poter essere definite tali. Allora, inutilità per inutilità, perché non darsi alla volgarità, quella seria? Perché non strappare il velo d’ipocrisia che impedisce di spingersi oltre i limiti della decenza e arrivare allo scandalo, allo schifo?

Tempo fa scrivevo in queste pagine di Bello Figo Gu e dei grandi problemi di opinione pubblica che aveva creato (si parlava di Alessandra Mussolini e della questione dei migranti). Ho imparato, da quel giorno, che la sua retorica era solo un assaggio del potenziale intellettuale di chi si contrappone ai livelli di bassezza della musica di consumo che ce la fa. Ho scavato e sono sceso in tunnel di volgarità stomachevoli, sia di chi faceva sul serio, sia di chi, opponendosi a ogni tipo di finto decoro di facciata, goliardicamente canta e urla oscenità.

Nella mia ricerca mi sono imbattuto in testi violenti, brutali, pieni di affermazioni razziste, maschiliste, omofobe. Cantanti che dicono negro e frocio perché sono parole che fanno senso piuttosto che parafrasare per restare accettabili, pur sottintendendo. Artisti che oggettificano la donna in maniera esplicita ed evidente, piuttosto che farlo trasformandola in un soprammobile. Ho trovato questo tipo di esperienze e mi sono divertito, ho riso di cuore. Attenzione, non perché il messaggio apparente sia bello, ma perché l’intento è altro. Non si vuole inneggiare alla violenza, allo stupro o all’intolleranza. Si vuole piuttosto mettere a disagio il pubblico nella misura in cui è abituato a muoversi in schemi pieni di questo tipo di percorsi mentali, che però non sono mai esplicitati per pudore.

Questo credo sia il compito degli intellettuali: annichilire l’ipocrisia comunicativa, svelare il vero messaggio e in base a questo iniziare a ricostruire una società più giusta ed equa.

Per questo la musica indie va combattuta, perché è una grande truffa.

Per questo a I Cani io preferisco Tiger Fregna.

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