Memefobia

 

A cura di Giulio Menichelli-

 

I memes sono linguaggio corrente. Chi non ha mai visto il tizio che passeggia con la fidanzata girarsi a guardare con interesse la ragazza con il vestito rosso, o il caro vecchio Harold sorridere, dissimulando l’infarto in corso, con la sua tazza di porcellana in mano? Tutti i giovani – e non solo – si sono imbattuti almeno una volta in una di queste immagini. La maggioranza conosce il significato di gran parte di queste situazioni buffe e il loro utilizzo. Alcuni li conoscono addirittura tutti, o quasi, e arrivano persino a strutturare conversazioni di soli memes.

In fondo, a ben vedere, utilizzare immagini predefinite per comunicare non è certo una novità del millennio. Basta fare un giro in Egitto per capire come in realtà l’arte antica non fosse altro che un meme continuo che si avviluppava intorno ad enormi blocchi di pietra. Se non si è soddisfatti, si può pensare al simbolismo – in senso lato – occidentale, presente tanto nell’arte sacra, quanto in quella mondana (come alcune figure riportavano direttamente un dato concetto, così addirittura alcune situazioni standard erano riprodotte per onorare le gesta di qualcuno, che all’occasione era ritratto come protagonista delle stesse: si può dire, insomma, che tanto i David, quanto le Pietà possono in realtà considerarsi antesignani delle memebases).

Un linguaggio di questo tipo non può che avere un gran successo nel nostro tempo: si tratta semplicemente di modelli per tutti i gusti con cui, senza sforzo, descrivere la vita di tutti i giorni.

Come si fa però un meme? Innanzitutto, per fare un meme serve una situazione memabile, cioè un personaggio e/o un evento ordinario, divertente per creatore e destinatari del meme, riconducibile ad una base, e poi, ovviamente, una base. Se riguardo al primo requisito non sorgono problemi sistematici, il secondo apre a questioni decisamente più spinose.

Bisogna, per ben comprendere il fenomeno, avere in mente che non tutte le immagini sono basi per memes. Affinché un’immagine diventi una base occorre una certa diuturnitas, ossia un uso costante della stessa come base, al punto da far sì che il concetto al quale l’immagine si riferisce diventi inequivocabile.

Viene da sé che deve trattarsi di immagini molto diffuse, motivo per il quale gran parte di esse sono tratte da prodotti televisivi (film, serie tv, cartoni animati, show, addirittura notiziari) o videogiochi, e segue che il problema fondamentale sia la concessione dei diritti di utilizzo delle stesse immagini.

La maggior parte dei memes è creata in chiara violazione del diritto d’autore, perché mancano sia il consenso del creatore, sia il versamento di un compenso per l’uso dell’opera altrui.

Se il problema della retribuzione del creatore viene in rilievo solo nell’applicazione della tutela, l’abuso delle opere è significativo già a livello di principio. Infatti, se si arrivasse ad ammettere che il consenso non è necessario per divulgare opere, di qualsiasi genere, altrui, ci troveremmo a determinare un vulnus gigantesco che colpirebbe tanto il diritto d’autore quanto il diritto alla privacy. Tanto più che nel caso di specie si tratta di immagini. Cosa impedirebbe di usare il selfie imbarazzante di un amico come base di meme, divulgandolo in tutto il mondo?

Proprio con riguardo questo tema, il 12 settembre è stata approvata dal Parlamento Europeo, in prima lettura, la nuova direttiva sul diritto d’autore, 2016/0280.

Uno degli articoli più criticati, l’art. 13, impone un sistema di prevenzione sull’abuso di materiale protetto da diritto d’autore, obbligando i siti web (soprattutto quelli di più grandi dimensioni) ad adottare quello che si chiama upload filter, vale a dire un sistema simile a quello utilizzato da YouTube, che riconosce il contenuto caricato e, se ritiene che sia tutelato, ne impedisce la pubblicazione. Il problema è che più piccolo è il sito, minore sarà la precisione e, conseguentemente, maggiore sarà il numero di contenuti bloccati.

Si è parlato a lungo, nel mondo dei memes, di provvedimento liberticida, che avrebbe reso gli stessi merce di contrabbando, costringendo, così, i poveri meme-dipendenti europei a rivolgersi a spacciatori di memes extracomunitari per appagare i propri desideri più abietti.

Allo stato, però, in dottrina si ritiene che i memes, come la satira, non saranno toccati dalla direttiva, che mira a reprimere un fenomeno molto meno innocente e più problematico, ossia la pirateria. Così, mentre i detrattori dei memes, che tanto avevano sperato nel loro tramonto, ritraggono increduli la testa nelle spalle come dei Vault-boys, i memers di tutto il mondo suonano con gusto i loro violoncelli giganti.

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