Traffici di armi e guerre in sordina. Come l’Italia vende illegalmente armi all’Arabia Saudita, contribuendo alla distruzione dello Yemen.

Di Alessandro Manca Bitti –

Per molti, forse, la Sardegna rappresenta solo una gradevole meta verso cui indirizzare le proprie ferie, tra un tuffo in mari cristallini e cene a base di pietanze locali. È anche possibile che non tutti conoscano il paese di Domusnovas, in provincia di Carbonia-Iglesias, nel quale la principale occupazione locale non è costituita dai servizi turistici, ma dalla produzione di materiali d’armamento da parte della RWM Italia, controllata dalla società tedesca Rheinmetall Defence. RWM ha la sua principale sede italiana a Ghedi, vicino Brescia. Non dovrebbe stupire la presenza di una fabbrica di armi in un Paese industrializzato come l’Italia; quello che potrebbe invece sembrare sconcertante – se non altro ai meno disillusi – è che tale azienda venda indisturbatamente armi all’Arabia Saudita, che le utilizza per bombardare i ribelli Huthi in Yemen, provocando innumerevoli vittime anche tra la popolazione civile, in un conflitto che va avanti dal 2015. E’ controverso se questo discutibile commercio rientri o meno nel canone delle condotte ammesse dalle norme italiane. Esiste infatti la legge n. 185/1990 che afferma il divieto di vendita di armamenti da parte di fabbriche situate sul territorio italiano a Nazioni che le utilizzino in guerra. Appare eloquente in merito il primo articolo del testo normativo, che recita: “L’esportazione, l’importazione e il transito di materiale di armamento nonché la cessione delle relative licenze di produzione devono essere conformi alla politica estera e di difesa dell’Italia. Tali operazioni vengono regolamentate dallo Stato secondo i principi della Costituzione repubblicana che ripudia la guerra come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali.” Può essere difficile sostenere che commerciare bombe con chi le usa in un conflitto in cui muoiono civili sia un atto in sintonia con “i principi della Costituzione repubblicana che ripudia la guerra.” Il quinto articolo ribadisce che i commerci del genere sono vietati qualora siano in contrasto con la Costituzione e, tra l’altro, il sesto articolo recita: “L’esportazione ed il transito di materiali di armamento sono altresì vietati: a) verso i Paesi in stato di conflitto armato, in contrasto con i principi dell’articolo 51 della Carta delle Nazioni Unite, fatto salvo il rispetto degli obblighi internazionali dell’Italia o le diverse deliberazioni del Consiglio dei ministri, da adottare previo parere delle Camere; b) verso Paesi la cui politica contrasti con i principi dell’articolo 11 della Costituzione;[…]”. Tutto farebbe supporre l’illegittimità di tale traffico; tuttavia, ci si potrebbe chiedere se sia stato rispettato il processo legislativo richiesto e sopra indicato. Reperire questa informazione può non essere semplice, visto l’avvicendamento di vari governi negli ultimi anni. In ogni caso, anche il solo richiamo alla Costituzione, che ogni legge deve rendere proprio, getta un’ombra di illiceità su tale scambio di materiale bellico, visto l’utilizzo che ne viene fatto. La guerra in Yemen ha prodotto, oltre che migliaia di morti civili (anche tra i sauditi), 3.154.572 sfollati, secondo stime dell’ONU. Potrebbe apparire paradossale che un paese come l’Italia, tanto influenzato a livello politico e sociale dal fenomeno migratorio, contribuisca indirettamente allo stesso, sovvenzionando le azioni belliche dei sauditi che bombardano lo Yemen e seminando morte e distruzione. Le armi presenti nel teatro di guerra non provengono solo dal nostro paese. Il 20 maggio 2017, è stato stipulato un accordo per il commercio di armamenti tra statunitensi e sauditi. In seguito alla recente vicenda del giornalista Jamal Khashoggi, probabilmente ucciso nel consolato saudita ad Istanbul, ci sono state varie reazioni di sdegno nel mondo politico americano. Il senatore Chris Murphy ha affermato che, qualora le notizie sull’uccisione del giornalista fossero verificate, dovrebbero essere immediatamente interrotti i rapporti diplomatici tra USA e Arabia Saudita, nonché il supporto bellico che la prima nazione offre alla seconda. Un altro senatore, Rand Paul, ha dichiarato che promuoverà una votazione finalizzata a bloccare le future vendite di armi dagli Stati Uniti all’Arabia Saudita. Tornando alla questione italiana, è necessario dar conto del fatto che l’attuale Ministro della Difesa, Elisabetta Trenta, ha chiesto al collega degli Esteri, Enzo Moavero Milanesi, di verificare se il commercio di cui si parla violi o meno le nostre leggi. È auspicabile che questo interesse governativo porti a un’evoluzione della vicenda che possa reindirizzare il commercio di armamenti verso Paesi democratici, i quali non ne facciano utilizzo in teatri di guerra, anche nella speranza di una possibile riconversione del tessuto produttivo di Domusnovas. È infine importante ricordare la denuncia presentata alla Procura della Repubblica di Roma da parte di alcune ONG, in merito alla presunta violazione della legge 185.

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