Mai più Shoah: il dovere del ricordo

Di Francesca Muccio

Iniziative e reading letterari lungo tutto lo stivale. Ricordare la Shoah significa dotarsi di quegli strumenti che si chiamano corresponsabilità e partecipazione alle dinamiche sociali.

“Laddove si bruciano i libri si finisce per bruciare anche gli uomini” affermava il poeta tedesco Ernest Heine. È lo spirito di queste parole che anima, nel Giorno della memoria, encomiabili iniziative in ricordo della Shoah e delle sue vittime, coinvolgenti comitati, centri di documentazione, enti e istituzioni. Un pomeriggio che si preannuncia un po’ ovunque ricco, quello del 27 gennaio, nutrito di validi contributi, con reading letterari che intendono strappare all’oblio pagine tristi di storia. Circuiti di associazioni, lungo tutto lo stivale, daranno vita ad iniziative letterarie, con l’obiettivo di ricordare un periodo che non può (e non deve) rischiare di essere dimenticato, magari per la carenza di documenti storici. Collaborazioni spontanee non scontate – quelle fiorite – di cui la società civile ha sempre più bisogno. Occorre che l’uomo non sia solo più uno strumento nelle mani del male – sottolineano un po’ tutti i promotori – ma che si formi una coscienza personale sul tema, perché si tramuti in accrescimento sociale. Una giornata, dunque, che offre la possibilità concreta di unire coscienze antirazziste in un unico contenitore culturale. D’altronde – si evidenzia altresì – seppur fortunatamente di altre entità, avvengono ancora, per ragioni disumane, uccisioni che non possono del tutto dirci fuori da Auschwitz. I brani, tratti da testi differenti, verranno selezionati e debitamente montati su immagini e filmati d’epoca, certo impressionanti nella loro crudezza. Da Primo Levi a Cardenal, da Vaisman a Wyse, da Springer a Sofsky ad Argamante, essi consentiranno di affrontare un tema di cui mai – perché sia da monito – esaustivo è il racconto. Un racconto di lacrime e sofferenze che si rinnova di anno in anno. Diverse, d’altronde, le regioni italiane scenario degli orrori perpetuati dei nazisti, teatro di campi femminili, allestiti in angusti locali con numeri elevati di internate. Recluse anche le prostitute accusate di spionaggio o le donne che avevano violato regole di altri campi. Tutti siti, questi, individuati dagli ispettori ministeriali del Governo centrale per orchestrare la soluzione finale, in un disegno micidiale progettato ed eseguito da uomini contro loro simili, i diversi, scaraventati da un momento all’altro nell’inferno sulla terra, privati di nome e dignità. “Ero nulla più che il numero del mio braccialetto – ha raccontato uno dei tanti deportati in Viaggio a Mauthausen -, che mi fu consegnato una volta giunto al campo. Dovevo impararlo a memoria – ha proseguito – e riferirlo in tedesco e polacco”. Il resto è ciò che la storia racconta, con annessa e connessa industria del male, per la produzione di sapone, abat-jours, diserbanti. Il lungo pomeriggio, all’insegna del dovere del ricordo, proseguirà con l’interpretazione di testi scelti sull’argomento, con convegni e dibattiti a tema, specie con coloro la cui coscienza sociale sta germogliando: gli scolari. Ricordare la Shoah vuol dire dotarsi di quegli strumenti democratici che si chiamano corresponsabilità e partecipazione alle dinamiche della vita sociale, oggi – dobbiamo, nostro malgrado, registrare – sempre più pervicacemente offesa. Le iniziative del 27 non si vogliono, dunque, fermare al semplice ricordo, ma col ricordo, partendo dalle nuove generazioni, intendono gettar luce su uno degli avvenimenti più bui e tristi del recente passato, affinché simili stragi non abbiano più a verificarsi. Eventi, insomma, da volere perché, paradossalmente, non se ne abbia più bisogno. Eventi, ancora, tanto più importanti ove si consideri che gli ultimi testimoni diretti stanno venendo, a poco a poco, meno. Degno di nota anche Figli del destino, il docufilm ambientato in Italia, che testimonierà come le leggi razziali furono subite dai bambini. “Se comprendere è impossibile, conoscere – affermava Primo Levi – è necessario, perché ciò che è accaduto può ritornare”.

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