La difesa è sempre (stata) legittima

Di Elena Mandarà

373 voti favorevoli, 104 contrari e 2 astenuti. Fra assenti -giustificati e non- e voti contrari da parte del contraente debole del Governo (non me ne vogliano i grillini), l’entusiasmo di Forza Italia e Fratelli d’Italia per “un provvedimento finalmente di centro destra” e il commento del neo-segretario del PD Zingaretti che ha bollato la legge come mera propaganda politica, la Camera dei Deputati ha approvato con questi risultati la chiacchieratissima riforma di legge proposta dalla Lega di Salvini in materia di legittima difesa. In attesa del 26 marzo, quando il testo di legge sarà nuovamente sottoposto al Senato per le terza lettura, cerchiamo di capire quali cambiamenti potrebbe effettivamente portare questa tanto dibattuta riforma. Nei mesi che sono intercorsi fra la prima approvazione in Senato e il voto dei giorni scorsi, si sono espressi sull’argomento sia parte della dottrina penalistica che la Magistratura, chiamata ad intervenire in aula a Montecitorio davanti alla Commissione Giustizia della Camera dei Deputati per tramite del Presidente di ANM (Associazione Nazionale Magistrati) Francesco Minnisci. I pareri della dottrina, fino a questo momento, sembrano dare ragione al neo-eletto Zingaretti, perché si ritiene che le modifiche apportate dalla legge non comporterebbero cambiamenti significativi nell’applicazione pratica dell’istituto, ma sembrano più che altro volte a lanciare un messaggio politico.Maggiore preoccupazione, invece, è stata espressa dalla magistratura, che vede nella riforma una forte limitazione del proprio potere discrezionale di interpretazione. Ma andiamo con ordine. Le novità più significative che la legge vorrebbe introdurre riguardano due articoli del codice penale, e cioè l’art. 52 cp, che regola –appunto- la legittima difesa, e l’art. 55 cp, in materia di eccesso colposo nelle cause di giustificazione. La legittima difesa è, infatti, nel nostro ordinamento una causa di giustificazione (o scriminante), ossia un elemento che, laddove sussista, è idoneo a far venir meno la rilevanza penale di un fatto che, altrimenti, costituirebbe reato. L’art. 52 cp, così come attualmente formulato alla luce della precedente riforma in materia, risalente al 2006, risulta composto da tre commi. Il primo definisce i caratteri essenziali dell’istituto e recita: “Non è punibile chi ha commesso il fatto per esservi stato costretto dalla necessità di difendere un diritto proprio o altri contro i pericolo attuale di un’offesa ingiusta, sempre che la difesa sia proporzionata all’offesa.”. Dal tenore letterale di questo primo comma, possiamo enucleare gli elementi che imprescindibilmente devono sussistere perché si possa configurare un’ipotesi in cui sia invocabile la legittima difesa, ed è necessario soffermarci ad analizzarli per capire quale potrebbe effettivamente essere la portata innovatrice della riforma. In particolare, la norma richiede che la situazione concreta presenti caratteri di necessità, intesa come l’impossibilità di tutelare sé o altri dal pericolo facendo ricorso all’utilizzo di un mezzo meno lesivo, di attualità, che presuppone la perduranza del pericolo nel momento in cui viene posta in essere la difesa e, infine, la proporzionalità, cioè l’equilibrio fra i mezzi con cui viene perpetrata l’offesa e quelli mediante i quali ci si difende. Il secondo comma dell’articolo, introdotto con la suddetta riforma del 2006 (voluta, tra l’altro, dalla Lega Nord, allora al Governo insieme a Forza Italia), fa riferimento nello specifico alla cosiddetta legittima difesa domestica, ossia all’ipotesi in cui l’offesa sia posta in essere in locali adibiti ad abitazione o dimora della vittima, o all’esercizio di un’attività commerciale professionale o imprenditoriale. La norma afferma che in queste ipotesi “sussiste il rapporto di proporzione di cui al primo comma […] se taluno legittimamente presente in uno dei luoghi ivi indicati usa un’arma legittimamente detenuta o altro mezzo idoneo al fine di difendere la propria o altrui incolumità; i beni propri o altrui, quando non vi è desistenza e vi è pericolo d’aggressione”. Il profilo su cui va ad incidere questo comma è, appunto, quello della proporzionalità, che si ritiene sussistente nel caso di specie. Sussistente… quando? Ecco che arriviamo al primo importante punto che legge in discussione al Parlamento mira a modificare. La riforma, infatti, prevede in primo luogo l’introduzione dell’avverbio “sempre” fra le parole “sussiste il rapporto”, volendo così rafforzare la presunzione di proporzionalità già presente nell’articolo. A parere della dottrina, però, questa modifica non sortirebbe i risultati attesi dall’opinione pubblica. Diversi penalisti, come ad esempio Gian Luigi Gatta (in un articolo pubblicato sulla rivista giuridica Diritto Contemporaneo) hanno sottolineato, infatti, come questa previsione non andrebbe ad incidere sull’interpretazione giurisprudenziale consolidatasi in riferimento all’applicazione del suddetto comma. La presunzione di proporzionalità, infatti, postula la sussistenza degli altri presupposti necessari affinché possa essere evocata la legittima difesa, e la modifica introdotta dalla riforma di legge non farebbe in alcun modo venire meno la necessità di effettuare tale valutazione. Il Presidente dell’ANM nella propria relazione davanti alla Commissione di giustizia della Camera ha rilevato come, dal punto di vista strettamente giuridico, l’aggiunta di questo avverbio alla disposizione non darebbe luogo ad alcun cambiamento sostanziale, limitandosi ad incoraggiare un’interpretazione errata della norma da parte del cittadino, che – e di questo ne possiamo facilmente prendere atto tastando i commenti “da bar” su tale provvedimento- sarebbe portato a ritenere la sua difesa sempre legittima, senza alcun tipo di limitazione. Problematiche maggiori sembrerebbe porre, invece, il secondo punto cruciale della riforma, che riguarda l’introduzione di un nuovo quarto comma, a norma del quale “agisce sempre in stato di legittima difesa colui che compie un atto per respingere l’intrusione posta in essere con violenza o minaccia di uso di armi o di altri mezzi di coazione fisica, da parte di una o più persone”. Tale disposizione, infatti, estenderebbe la presunzione legislativa, non soltanto al requisito della proporzione, ma anche agli altri elementi costitutivi della fattispecie, ossia la necessità e l’attualità del pericolo. In sostanza, nell’ipotesi descritta dalla norma, il fatto potrebbe dirsi lecito anche qualora l’uso della forza fosse stato evitabile o il pericolo fosse già cessato. Parte della dottrina ritiene che questa disposizione si presti a possibili profili di incostituzionalità o, tutt’al più, che la portata innovatrice ne risulterebbe frenata da una necessaria interpretazione conforme a Costituzione da parte della giurisprudenza. In primo luogo, infatti, a norma dell’art. 2 della CEDU l’uso della forza deve essere limitato ai soli casi in cui risulti essere assolutamente necessario. E’ chiaro che una tale previsione legislativa si pone in netto contrasto rispetto a tale principio, e potrebbe senza dubbio essere soggetta ad una pronuncia di incostituzionalità da parte della Corte per violazione dell’art. 117 Cost. co. 1, in virtù del quale le disposizioni contenute nelle Convenzioni internazionali trovano diretta applicazione nel nostro ordinamento. In secondo luogo, poi, la norma sembra rendere possibile il ricorso all’uso delle armi od altri mezzi di coazione fisica anche nell’ipotesi in cui il pericolo riguardi solo il patrimonio e non anche l’integrità fisica o la vita. Tuttavia, già in seguito alla riforma del 2006, la giurisprudenza ha assunto parere unanime nel ritenere un’interpretazione di questo tipo assolutamente contraria al dettato costituzionale. Altra dottrina, invece, argomentando sulla base del tenore letterale della norma, ed in particolare sulla formula “respingere l’intrusione” ritiene coerente il nuovo comma rispetto alla disciplina generale. Si parte infatti dalla considerazione che con il termine “respingere” si faccia riferimento all’atto di ricacciare indietro qualcuno, atto che di per sè presuppone il perpetuarsi dell’offesa, e dunque l’attualità del pericolo, nonchè la necessità di fare ricorso a mezzi di coazione al fine di potersi effettivamente difendere, cosicchè ne risulterebbe rispettato anche il requisito della necessità. La relazione del Presidente Minnisci sul punto, invece, assume toni durissimi. A suo parere, infatti, questo quarto comma si presterebbe ad interpretazioni fortemente distorsive e la formula “respingere l’intrusione” rischierebbe di essere letta dai cittadini come una forma di liceizzazione dell’esercizio della difesa in totale assenza dei requisiti di attualità e necessità. Altro dubbio interpretativo che viene sollevato, riguarda anche il riferimento a “gli altri mezzi di coazione fisica”, concetto non definito dal nostro ordinamento. Ultimo punto cardine della riforma, concerne invece l’art. 55 cp, ossia l’ipotesi di eccesso colposo nelle cause di giustificazione. L’attuale norma consente di punire a titolo di colpa, qualora il fatto sia previsto come colposo dall’ordinamento, chi, agendo in presenza di una causa di giustificazione, abbia, per un errore nell’uso dei mezzi o nella valutazione della situazione, ecceduto i limiti della scriminante. La riforma vorrebbe introdurre un secondo comma a norma del quale, nelle sole ipotesi di legittima difesa, l’eccesso colposo non sarebbe applicabile qualora il fatto venga commesso in uno stato di minorata difesa o grave turbamento da parte dell’aggredito. La dottrina sottolinea come l’introduzione di questa disposizione mira essenzialmente a chiudere gli spazi di discrezionalità e valutazione del giudice in ordine all’elemento soggettivo del reato, ossia della colpa, senza contare la difficoltà probatoria in riferimento alla situazione di grave turbamento, concetto che dà certamente adito alle interpretazioni più svariate. Proprio la preclusione della discrezionalità è il punto su cui, non a caso, ha battuto maggiormente il Presidente dell’ANM nel corso della propria relazione. Più e più volte, infatti, è tornato a ribadire l’assoluta necessità di procedimenti penali volti a valutare come concretamente si siano svolti i fatti, lasciando al giudice l’effettivo potere di formulare un giudizio degli stessi, libero da ogni forma di presunzione legislativa. D’altro canto non è tardata ad arrivare la replica da parte degli esperti del settore facenti parte del Governo, come il Ministro per la Pubblica Amministrazione, notissimo avvocato penalista, Giulia Bongiorno, la quale ha ribadito in più interviste che la riforma non dà alcuna “licenza ad uccidere”, né preclude lo svolgimento di indagini ogni qualvolta si verifichi un fatto d’aggressione, rischio al quale Minnisci ha più volte fatto riferimento nel corso della propria relazione. In questo mare magnum di tesi ed interpretazioni, insomma, il Governo tiene a ribadire che l’uso legittimo della forza spetta in primo luogo alle forza di polizia. Ma d’altronde, potremmo mai aspettarci da Salvini una riforma che, in un modo o nell’altro, sminuisca la divisa?

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