(In)CONTEstabile: cronaca polemica di quella volta in cui ho incontrato il Premier

Di Elena Mandarà

Ha sceso le scale di Viale Pola da solo il Premier Conte, ospite della Luiss Guido Carli per un Q&A con gli studenti dell’università. Volutamente incurante del consueto cerimoniale che lo avrebbe voluto accompagnato dai dirigenti, non ha sprecato neanche quest’occasione per rafforzare l’immagine del Premier vicino alle persone, quasi da ragazzo della porta accanto. Ma d’altronde, stando a capo di un Governo che ha fatto della comunicazione mediatica il proprio cavallo di Troia per entrare a Palazzo Chigi, i trucchi del mestiere si imparano presto.

L’incontro è durato circa due ore. Un pacchetto confezionato a regola d’arte, in cui non è mancato nessuno degli ingredienti della ricetta del Cambiamento. Alle domande poste dagli studenti sono seguite risposte calibrate, perfettamente rispettose del copione, che come i tasselli di un puzzle hanno contribuito a dipingere l’immagine del premier che i telegiornali ci restituiscono ogni giorno sui nostri schermi. Un Premier che piuttosto che una propria personalità, sembra incarnare il compromesso fra le forze politiche di maggioranza, e, nel rispetto di una sorta di par condicio interna, mutua dall’una e dall’altra i temi più forti, tentando di farli propri.

Durante l’incontro ci sono stati momenti che oserei definire esoterici, durante i quali sembrava che il povero Conte fosse posseduto dagli spiriti di Salvini e Di Maio, pronti a prendere parola al suo posto. Il primo in difesa della politica sovranista, il secondo nell’elogio della democrazia diretta su internet (non incondizionato, però, perché a quanto pare il rispetto del politically correct preoccupa anche gli spiriti dei politici). In particolare, sul sovranismo, a braccetto con il fratello gemello Mr. Populismo, i passaggi sono stati diversi. In risposta ad un ragazzo che chiedeva in che modo si conciliasse con l’indirizzo sovranista del Governo, il riferimento, fatto dal premier qualche giorno fa in una lettera a Repubblica, ai salari europei – misura che comporterebbe la cessione di ulteriori poteri sovrani a favore dell’Unione Europea – con piena retorica salviniana, Conte ha risposto che, premesso che ufficialmente la politica del Governo non possa dirsi sovranista in quanto, ad esempio, non vi è un accordo con i Paesi del cosiddetto patto di Visegrad, se l’essere sovranisti e populisti vuol dire restituire alle persone un sentimento di dignità ed orgoglio, rivendicava pienamente questi appellativi. In un altro passaggio, nel quale, invece, gli è stato chiesto quale fosse la responsabilità dell’Europa rispetto al dilagante consenso acquistato dai partiti populisti, non ha esitato ad affermare che il vero pericolo non è dato, appunto, dal sovranismo, bensì “dall’europeismo fideistico”, perché la responsabilità dell’Europa è stata quella di focalizzare la propria attenzione sugli aspetti strettamente economici, a scapito di quelli culturali. Per completare, ha ricordato che gli Stati membri, sebbene accomunati da principi comuni, restano comunque rivali ed in quest’ottica è necessario un rafforzamento del mercato interno (chissà se con o senza la TAV).

Non è poi certo mancata occasione per esaltare i cavalli di battaglia del programma di Governo, come il decreto sblocca-cantieri e il reddito di cittadinanza, tirati in ballo sia parlando delle misure in programma per la crescita del Sud Italia, sia quando è stato chiesto al Premier se fosse ancora sicuro del suo pronostico su un 2019 bellissimo; né tantomeno è mancata occasione per mettere in luce i tratti distintivi di questo Governo: coerenza e preparazione.

Attenzione, però, perché l’accostamento fra il sud Italia e il reddito di cittadinanza è stato fatto in termini molto diversi rispetto a quelli che ci si aspetterebbe. Con il supporto, ancora una volta, del Di Maio-spirito-guida, quasi a volere esorcizzare il mito per cui il boom del 5 Stelle al sud sia riconducibile ad un diffuso spirito assistenzialista di quelle regioni, Conte ha infatti affermato che, piuttosto che misure specifiche a sostegno delle regioni meridionali, sia necessario un piano rivolto a tutte le zone depresse del Paese, da nord a sud. A quanto pare, infatti, nella regione Lombardia vi sono state moltissime richieste di accesso al reddito di cittadinanza e al sud non mancano aree virtuose e fortemente produttive. Insomma, la Terza Repubblica ha risolto la questione meridionale, ha posto fine all’atavico fenomeno dell’Italia a due velocità, e noi stentavamo ad accorgercene. Incredibile, no? Quanto al decreto sblocca-cantieri, è chiaro che questo abbia assunto il ruolo di deus ex machina dei problemi nazionali. E, dunque, alla luce di queste punte di diamante dell’azione di Governo, il 2019 sarà davvero un anno bellissimo? Certo. Forse. Intanto il Premier ha tenuto a premettere e sottolineare che la dichiarazione che in pochi giorni è diventata titolo d’apertura praticamente di tutte le testate giornalistiche, non fosse altro che una battuta fatta all’uscita da un convegno. Ma, entrando nel dettaglio delle previsioni per il nuovo anno, uno dei miei momenti preferiti è stato quello in cui si è parlato della legge di bilancio del 2020. “Dove troverà le risorse? Come si svincolerà dai vincoli europei?”, queste sono state le domande poste da una studentessa particolarmente irriverente. La risposta? Per definirla in un aggettivo: inconsistente. Di fronte all’interrogativo più serio di tutti, il premier non ha di fatto saputo rispondere, limitandosi ad un generico quanto poco rassicurante “sono fiducioso”. Si sa, fidarsi è bene, non fidarsi…

Il momento che più mi ha emozionata, però, ho deciso di raccontarvelo alla fine. Mi ha emozionata perché si è parlato di competenze. Una studentessa di Philosophy, Politics and Economics, ha infatti chiesto quali debbano essere le esperienze che i giovani dovrebbero avere per aspirare ad una carriera politica. Se è vero che le colpe dei padri non debbano ricadere sui figli e, di conseguenza, le colpe dei “padrini politici” non dovrebbero ricadere sul povero Conte, non si può negare che ci sia dell’ironia nel porre una domanda del genere a chi è stato chiamato a ricoprire l’incarico di premier da una persona priva di alcuna esperienza di tipo professionale. Né si può negare l’ironia della risposta, nella quale il premier ha anzitutto consigliato di intraprendere un’autonoma carriera professionale prima di entrare nel mondo dalla politica, non facendo della politica il proprio mestiere. Già.  E nel tentativo di salvarsi in calcio d’angolo, scomodando addirittura Weber per ricordare che, tuttavia, un bravo politico non è tale solo per la propria competenza, è finito per cadere in una contraddizione ancora più grande. Alla guida del Governo più populista della storia italiana, ha affermato infatti che un buon politico si caratterizza per la propria responsabilità, per la lungimiranza e la passione, ma soprattutto per il coraggio, il coraggio di fare delle scelte che talvolta rischiano di deludere l’opinione pubblica. Forse l’arte della Politica non la impareranno mai, ma quella del sofismo, a quanto pare, iniziano a padroneggiarla benissimo. In conclusione – per non farsi mancare proprio nulla- ha ricordato anche l’importanza dell’umiltà, la necessità di evitare atteggiamenti snobisti. Pubblicare su Facebook ed Instagram gattini e arancine potrebbe essere il primo passo, no?

La verità è che, per quanto a me polemizzare diverta da morire, quest’incontro mi ha lasciata con l’amaro in bocca. Avevo varcato la soglia dell’Aula Magna nutrendo nel cuore la speranza che quelle due ore potessero smentire le mie convinzioni, rivelarmi un’immagine diversa dei vertici del Governo del mio Paese. E invece non c’è niente di più delle chiacchiere con cui ogni giorno riempiono social e televisioni. A noi resta solo da cogliere l’ironia, ma almeno è divertente.

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