La politica di cinque anni e la costante tedesca.

Di Francesco Mezzasalma-

È capitato a tutti o vi capiterà di sentire da gente più adulta frasi del tipo: – quando ero giovane io era tutt’altra cosa; – ai miei tempi i politici erano persone serie ed oneste; – qualsiasi altra frase ipocrita che faccia ritenere che i tempi siano cambiati e con loro anche i protagonisti della scena politica. Il problema è che allo stato dei fatti, frasi di questo tipo potrebbero esser dette da un anno all’altro, senza la necessità di aspettare decenni. Nel microcosmo della politica italiana, come del resto anche in tutto il continente, siamo abituati ad assistere a dei cicli dei leader e delle loro squadre all’interno dei palazzi del potere, più o meno durevoli, basti pensare ad Andreotti, Craxi o Berlusconi. Fa eccezione l’ultima generazione di politici, quella classe che sembrava essere consacrata da quel 40% delle europee del 2014 che aveva consegnato a Matteo Renzi un biglietto in business-class per un volo che doveva durare legislature e che si è miseramente sbriciolato nel sogno di una riforma della carta costituzionale ed il suo mal pensato ed organizzato referendum del 4 di dicembre con la sconfitta di tutte quelle idee che abbiamo chiamato renzismo. Cinque anni dopo, l’assetto politico si è completamente riordinato con soggetti che erano del tutto sconosciuti a quelle elezioni europee, abbiamo un premier inesistente e due vice-presidenti del consiglio che se ai tempi avessero affermato di ambire a Palazzo Chigi avrebbero fatto un’ottima battuta, eppure dal 4 marzo 2019 la situazione va avanti così. Tra le carezze d’amore dei due Vicepresidenti giornalmente scambiate. Non siamo l’eccezione. In tutti i grandi paesi dell’Unione Europea ci sono stati cambi di leadership: Spagna, Francia, Regno Unito. Tutti. Ad eccezione della Cancelliera. Angela Merkel è l’unica che è riuscita a trattenere a sé il potere per svariati anni, probabilmente anche grazie alla solida economia che ha risentito meno dell’impatto della crisi. Poi c’è il Regno Unito, un tempo filo europeo, ora pronto (forse) ad andare via a causa o grazie alla Brexit. La Brexit, un altro referendum che costò la carriera a David Cameron, ad un altro che si riteneva slanciato verso un governo lungo e duraturo, ma punito dagli elettori alle urne. Le ragioni di tutti questi mutamenti istituzioni nell’arco di soli cinque anni possono essere molteplici ed alcuni complessi. Sicuramente parte dei motivi risalgono, ancora dalla crisi economica del 2008, che nonostante sia finita ha lasciato dietro di se la distruzione, la quale connessa alla incapacità di dare soluzioni immediate o millantate per tali hanno sconfessato la nuova-vecchia generazione di politici. Inoltre, un universale cambiamento di tendenza elettorale che ha avuto il suo apice nella elezione di Donald Trump ha influenzato anche parte del vecchio continente. Ed infine, il totale crollo delle ideologie che si sono degradate in idee quando si è fortunati, con un rapporto diretto tra il leader e l’elettore. Con la conseguenza che se tale rapporto fiduciario si spezza, si spezza anche la percentuale nei sondaggi. Differentemente da ciò che accadeva fino alla decade precedente, ora l’elettorato è fluido, non vive all’interno di un recinto ideologico per cui è impossibilitato a votare diversamente da elezione in elezione dando vita ad uno spettacolo di meteore.

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