Il fenomeno Ferragni: εἴδωλον di una “caverna 2.0”?

di Carla Scalisi-

Nulla è impossibile, ma nessun uomo è mai riuscito a sfidare i limiti dell’ignoto. Ecco il paradosso che riassume perfettamente la nostra esistenza. Se, da un lato, ci insegnano che gli sforzi ripagano sempre, che tutto può essere reso possibile dalla propria forza di volontà se lo si vuole veramente, dall’altro, la paura e il timore di ciò che non si conosce ci spinge ad usare prudenza, a prendere le giuste precauzioni e a non osare. E se, invece, la paura dell’ignoto fosse, in realtà, paura di qualcosa che a noi è ben noto, ossia il fallimento? Se così fosse, la paura di fallire ci renderebbe falliti in partenza, inetti, automi e schiavi di una società in cui l’alius fa paura. 

Ogni bambino che viene alla luce reca in sé un incredibile bagaglio di esperienze, inclinazioni e doti personali. I genitori, assurgendo al loro compito, cercano di aiutarlo a realizzarsi secondo le proprie inclinazioni, incanalandole in qualcosa che possa avere una contestualizzazione pragmatica, come un diamante grezzo che viene limato, o come Pigmalione plasma con le proprie mani la creta. Ed ecco che già nella creatura unica nel suo genere riescono ad intravedersi i tratti di un ingegnere, di un dottore, di un giudice, di una ballerina, di un professore, di un avvocato…. O di una imprenditrice digitale!!  E si può immaginare facilmente quale sia stata la reazione dei genitori di Chiara Ferragni, imprenditrice digitale per eccellenza, nel momento in cui, vedendo le foto altamente provocanti della figlia, avvolta in veli che poco spazio lasciano all’immaginazione, si sono resi conto di quale futuro le si stesse prospettando davanti.

È uso comune affermare che l’abito non faccia il monaco, che il voto non faccia la persona, che nessuno possa essere assimilato ad un numero e che la bravura sia relativa ai contesti in cui viene espressa. Chiara Ferragni risponde a pieno agli stereotipi dell’opinione comune e della società, ma la stessa opinione comune e la stessa società la criticano per il suo discutibilissimo operato, per il mancato “pezzo di carta” e per quella professione che esorbita dai parametri (forse stabiliti con codardia?) umani dell’ordinario. Se, ragionando secondo il sillogismo aristotelico , ciò che non risponde e non soddisfa i criteri dell’ordinario deve necessariamente essere considerato straordinario, potrebbe definirsi “straordinaria” la ragazza di Cremona che sognava una vita “diversa” dai suoi contemporanei? Può definirsi “straordinaria” colei che ha stravolto il modo di pensare di una società intera?

 

SÌ. Ed il termine migliore per descriverla è uragano. L’uragano Ferragni si è abbattuto sulle nostre vite nel 2015, con l’avvento di Instagram, re indiscusso di quei social concepiti come specchietto per le allodole di una società apparentemente fallita in partenza. Fallita perché imperfetta giudicatrice. Oggigiorno siamo legati ad una immagine, ad un volto fisso, ad una maschera a cui, volenti o nolenti, facciamo spesso e con piacere riferimento, una maschera che ci rappresenta, in tutto e per tutto, condizionandoci pesantemente nell’agire e nel prendere decisioni. Questa maschera è l’apparenza. Viviamo in un mondo in cui “apparenza” rima con “accettazione”, con “successo”. Mai come oggi la concezione di “medioevo” è stata attuale. Stiamo vivendo e sperimentando il cosiddetto “medioevo digitale”, un periodo di buio. Noi, esseri umani, individui, “tabulae rasae”, immersi nelle convenzioni, accecati dalla troppo potente luce emanata dagli schermi dei nostri dispositivi, abbiamo l’apparente illusione di poter “dominare il mondo”.  

Il concetto non è del tutto nuovo, in quanto, già nel 2009, Olia Lialina e Dragan Espenschied, nel loro romanzo “Digital Folklore”, esponevano come già ai tempi, attraverso l’avvento di internet, si stesse configurando una vera e propria “cultura popolare digitale”, un immaginario collettivo interamente ed unicamente nutrito da stereotipi provenienti dal web. Un “universo” con i propri caratteri, personaggi – mitologici e non – e linguaggi. Una sorta di “antimondo”, una linea parallela che corre di pari passo al binario della vita reale senza mai tangerlo. Da ciò deriva, naturalmente, un sempre più evidente ed eclatante impoverimento del patrimonio culturale “ufficiale”, per lasciar spazio all’anonimo patrimonio di una comunità orizzontale, anonima e sviluppatasi al di fuori dei canoni della normale cultura, con i suoi miti e riti, facilmente paragonabili alle danze contadine medievali per invocare la pioggia come evento propizio al rraccolto. In questo caso, però, non si invoca più la pioggia perché possa scongiurare la carestia, ma si osanna l’immagine della ragazza perfetta che pubblica le proprie foto su myspace, flickr, instagram. Si benedicono tinder e badoo per aver scongiurato la spaventosa idea di solitudine sentimentale e l’eterno oblio. Si loda facebook, in quanto considerato un mezzo di informazione migliore del telegiornale. I cinici e gli scettici asserirebbero a quanto appena affermato, in quanto vittime di stereotipi digitali, futili, inesistenti e sempre più avviluppati da questo vortice di informazioni del tutto inutili, che non fanno altro che formare una società di “automi”… Il nuovo “oppio dei popoli”!!

 

Scetticismo a parte, la rivoluzione digitale, al di là della miriade di lati negativi, presenta un’altrettanta miriade di lati positivi, di cui uno, forse il più importante, è sicuramente l’abbattimento delle barriere sociali, nazionali e l’eliminazione di una sterile gerarchizzazione che, per quanto figlia di una lex posita che si erge come un leviatano nel mare in tempesta di una società caratterizzata dal predominante fattore dell’eterogeneità, risultava di “insostenibile leggerezza”.  Il web risulta anche essere un ottimo strumento di comunicazione, forse il più immediato, anche se non sempre autentico, per tutti coloro che vogliano farne uso, a partire dal semplice individuo che condivide foto di famiglia, fino ad arrivare alla classe dirigente che, talvolta, ne fa un misuse.  Ad oggi, grazie ad un pc, un tablet, un semplice telefono o qualsivoglia strumento digitale, si può acquisire una vastissima cultura, praticare l’arte del sapere solo per il piacere di farlo, avendo a disposizione una miriade di fonti che non dovrebbero far altro che alimentare, allenare e domare il nostro sguardo critico nei confronti del mondo. Il dispositivo elettronico disconosce la nozione del tempo, delle ere, e ci permette di vivere mille vite allo stesso tempo, passare con una disinvoltura quasi Stendhaliana da presente a futuro, da futuro a presente e da presente a passato. Qualora buon uso ne fosse fatto, il web non sarebbe più una prigione dorata, o un mondo parallelo, ma il miglior strumento di legittimazione della figura dell’individuo, in quanto permetterebbe allo stesso, senza differenziazione alcuna, di esprimere le proprie opinioni, di “metterci la faccia”, ma allo stesso tempo farsi carico di eventuali feedback negativi, assumendosi il pesante fardello delle proprie opinioni. Tutto ciò rientra nel normale ed evidente ordine delle cose. 

 

Tornando al caso Ferragni, oggigiorno si tende a polemizzare eccessivamente sul contenuto del film da lei appena lanciato e,  in particolare, sulla natura del messaggio veicolato, di cui la trasposizione cinematografica ad opera dell’Amoruso si fa portavoce. Molti psicologi ed esperti hanno letto negli occhi della  Chiara bambina filmata dalla madre un velo di tristezza, in quanto intenta a compiacere la madre, cercando di guadagnarsi la sua stima e il suo affetto. Come se l’amore, il più primordiale e subliminale dei sentimenti, la stima e il sostegno incondizionato di una madre dipendessero unicamente da una pellicola. Da ciò non può che delinearsi la figura di una Chiara insicura, fragile, con delle mancanze e ferite intime difficilmente rimarginabili… Una Chiara che intravede nei social un modo per legittimarsi, per consacrarsi, farsi accettare ed accettarsi. Non è cambiato niente da quando, bambina, attraverso i video, cercava in ogni modo di guadagnarsi il consenso della madre sorridendo ad un obiettivo… L’unica differenza è che, in questo caso, il consenso lo cerca non più nella figura che per ogni figlio rappresenta il centro del mondo, ma nel mondo intero.  Molte volte intercorre una proporzionalità di tipo diretto tra la profondità delle ferite intime e la difficoltà a rimarginarle. Questo è il caso di Chiara.  

 

Ai tempi del “Medioevo Social” (non più delle cattedrali!!), ai tempi degli stereotipi, di una società che facilmente può essere confusa con un gregge o una mandria, ai tempi dei diktat, delle apparenze e del “socialmente giusto ed accettabile” risuona forte e chiaro un grido, uno slogan, un “richiamo alle armi”: you can be what you want.  Paradosso? Decisamente, come quello della chiusa apertura del web. Solo al pensiero, Platone riderebbe di gusto, avendo dimostrato ancora una volta quanto il suo pensiero sia sempiterno. Una caverna 2.0.

 

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