Dopo la crisi: che futuro ci aspetta? A tu per tu con l’On. Luigi Marattin (Italia Viva)

di Elena Mandarà

  1. Vorrei iniziare parlando della crisi da una prospettiva europea. Dopo mesi di tensioni e contrapposizioni che hanno messo a dura prova la stabilità dell’Unione, pochi giorni fa la presidente della Commissione Ursula von der Leyen ha annunciato la proposta per un piano di investimento e rilancio per superare la crisi dovuta al Covid-19. Nell’annunciare il “Next generation EU”, la presidente ha sottolineato l’importanza di una strategia a lungo termine, nell’interesse – appunto- della generazione futura. Quali sono le potenzialità di questo approccio e quali, invece, le possibili debolezze?

Le potenzialità sono enormi. La proposta della Commissione rompe il tabù secondo cui il debito sovrano debba essere esclusivamente nazionale; per la prima volta nella storia dell’integrazione europea, infatti, viene assegnata al bilancio comunitario una propria capacità di indebitamento, con garanzia a valere sulle future risorse del bilancio stesso. Finora tutte le volte che si rendeva necessario emettere titoli comuni sovranazionali (come nel caso della Bei, del Mes o del nuovo strumento Sure), gli Stati dovevano versare capitale o garanzie sulla base del quale si emettevano passività comuni. Il fatto che ora, invece, questo avvenga all’interno del bilancio comunitario, come fa ogni stato sovrano, rappresenta una svolta fondamentale. Apre una breccia lungo la quale, approfondendo opportunamente il percorso dell’integrazione, potremo avere una maggiore condivisione dei rischi sia dal punto di vista fiscale che da quello finanziario. Una condizione macroeconomica essenziale per poter finalmente avere una “more perfect Union”. I rischi sono rappresentati, semplicemente, dal fatto che questa è la proposta della Commissione. Prima di tradurla in pratica occorre avere l’unanimità in Consiglio Europeo, dove sono rappresentati tutti e 27 i capi di stato e di governo degli Stati membri. E non sarà un passaggio facile, visto che quattro Paesi (Austria, Danimarca, Svezia e Olanda) hanno già espresso forti perplessità in merito al progetto.

  1. Nei mesi scorsi si è discusso tantissimo dell’attivazione del MES, strumento già previsto a livello europeo per far fronte alle crisi economiche. Quali sono le differenze rispetto al nuovo piano annunciato dalla Commissione? Quale dei due strumenti sarebbe, a suo parere, maggiormente efficace?

Sono due strumenti diversi. Il Mes è un meccanismo di pooling di capitale per emettere passività comuni e raccogliere così risorse destinate – nel caso del Mes “tradizionale” – a venire in soccorso di Stati che perdano l’accesso al mercato dei capitali e – nel caso della nuova linea Pandemic Crisis Support – per sostenere la spesa sanitaria in un momento in cui, con il Covid-19, è stata messa a così dura prova.
Il nuovo piano della Commissione invece è l’embrione di una vera politica fiscale comune, che debutta in occasione di uno shock economico che, se lasciato senza una adeguata risposta, rischia di acuire le divergenze strutturali all’interno dell’Unione.
Non sono quindi due strumenti alternativi, poiché rispondono a esigenze diverse. Non tutti i Paesi dell’area euro hanno convenienza finanziaria ad attivare la nuova linea del Mes, visto che 11 su 19 già si finanziano sui mercati a tassi uguali o inferiori a quelli del Mes, mentre altri 5 lo fanno a tasso solo leggermente superiore. Numeri alla mano, gli Stati il cui costo dell’indebitamento nazionale è parecchio superiore a quello del Mes sono Grecia, Cipro (che ha recentemente annunciato di volerne fare ricorso) e Italia.

  1. Anche a livello nazionale il Governo si è mosso e sta continuando a muoversi per rispondere alla crisi. Nel piano di rilancio annunciato nelle scorse settimane sono previsti strumenti di aiuto alle imprese e alle famiglie, sia in forma di prestiti (anche a fondo perduto), che di agevolazioni fiscali ed economiche. Ritiene che queste misure siano sufficienti a favorire una ripresa stabile e di lunga durata, o si tratta ancora di risposte solo immediate e contingenti?

Lo stimolo fiscale italiano in risposta alla crisi è pari a 75 miliardi, vale a dire il 4,5% del Pil. Si tratta, in rapporto al reddito nazionale, dello stesso stimolo della Germania, che pure ha un rapporto debito/Pil di molto inferiore alla metà del nostro. Ed è uno stimolo più che doppio rispetto a quello francese (che non arriva al 2% del Pil), e parecchio superiore alla media dell’area euro (di poco superiore al 3%). Ma la verità è che, a causa del lockdown, perderemo circa il 10% del Pil, e difficilmente tutte le misure di policy messe in campo (la maggioranza delle quali ha natura puramente difensiva, come la straordinaria estensione degli ammortizzatori sociali) avranno un moltiplicatore medio tale da recuperare questo gap. È’ evidente che la sfida che in questo momento la classe politica si trova di fronte è far sì che questo ingente quantitativo di risorse pubbliche sia il più possibile orientato verso il riavvio della crescita, e ad un tasso molto più sostenuto rispetto a quello medio degli ultimi due decenni. Ma c’è anche un’altra sfida, ancor più impegnativa: approfittare della crisi per mettere mano a tutte quelle riforme strutturali che abbiamo sempre considerato troppo impensabili per poter essere davvero realizzate: dalla riforma del sistema fiscale a quella del sistema giudiziario, dalla riforma del diritto amministrativo a quella istituzionale. Perché la crescita arriva anche (e forse soprattutto) da qui, non solo dagli stimoli fiscali.

  1. In conclusione, i giovani – la “next generation” di cui parla la Commissione – sono sicuramente le vittime economiche del Covid-19, che stanno già scontando gli effetti di questa crisi. Cosa ci si deve aspettare dal futuro prossimo? In che modo i giovani stessi possono contribuire alla ricostruzione economica del Paese e dell’UE?

Il nostro futuro (prossimo e, probabilmente, non solo) dipenderà dalla capacità della classe politica – e di tutto il sistema Paese – di essere all’altezza della sfida di questi tempi. Se sapremo cogliere questa opportunità per fare tutte le cose che dalla fine della Prima Repubblica in poi non siamo mai stati davvero capaci di fare, allora l’Italia troverà il modo di giocare da protagonista nel contesto globale. In caso contrario, il futuro non sarà un gran bel posto dove andare. E riguardo ai giovani, in capo a loro sta la sfida più grande: rigettare quel mix di super, approssimazione, ignoranza e populismo che da qualche anno a questa parte sembra essere il principale messaggio che la politica e il dibattito pubblico consegnano al paese. Circa un quarto di secolo fa, da ragazzino arrogante, rimproveravo un mio professore di scuola perché, dicevo, la sua generazione aveva lasciato a noi giovani uno spazio pubblico rovinato e deteriorato. Quel professore mi fece sfogare e poi disse: “Hai ragione. Cerca però di fare in modo che tra qualche decennio qualcuno non ti rivolga la stessa critica”. Da allora ogni giorno nel mio piccolo cerco di evitare che quella promessa – che oggi mi appare così dannatamente realistica – si avveri.

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