5 Documentari da recuperare

Il documentario è un genere sottovalutato. Molto spesso si tende infatti a porre l’attenzione sul contenuto e se ne sottovaluta la potenzialità artistica. Non è un caso che i registi che mettono mano su questi progetti sono di frequente persone di grande talento. Serve così una grande sensibilità alle storie che si vanno a raccontare, senza la quale uscirebbe un racconto piatto e poco interessante. L’obiettivo di oggi è quindi quello di consigliare cinque documentari che non si limitino a raccontare gli eventi, ma che vadano ad effettuare un’analisi valida dei contenuti trattati. Cominciamo:

GRIZZLY MAN: la forza della natura è dirompente. È questo che Werner Herzog, uno dei registi più importanti della storia del cinema, vuole comunicarci con questo documentario. Egli ci racconta la storia di Timothy Treadwell, un ambientalista che negli anni 90 si recò, armato di tenda e telecamera, nelle lande desolate dell’Alaska per documentarne la fauna (in particolare i grizzly). Il protagonista di questo film all’epoca era una star negli USA, tanto da andare ospite al David Letterman Show. Il documentario non pone, tuttavia, l’attenzione sulla sua fama, bensì sui suoi filmati originali, mettendone in risalto l’unicità e analizzandone i contenuti in rapporto alla drammatica ironia della sorte. Timothy, infatti, morì ucciso da quegli stessi grizzly che per quasi dieci anni aveva filmato. I video che ci sono pervenuti impressionano per la loro autenticità e la voce fuori campo di Herzog alimenta le riflessioni sul rapporto uomo-natura. I lettori assisteranno così a un racconto che sorprende per la sua follia, ma che commuove per la sua sincerità.

INSIDE JOB: forse siamo davanti al documentario d’inchiesta più bello degli ultimi anni. Charles Ferguson si pone l’immenso obiettivo di far luce sulla grande recessione. Attraverso una serie di interviste che hanno la funzione di assemblare i pezzi di un macabro puzzle, emerge il quadro drammatico di un momento devastante per l’economia mondiale. La figura maggiormente intervistata è quella dell’economista Raghuram Rajan, il quale nel 2005 sottolineò più volte i rischi che il mercato immobiliare stava correndo, venendo tuttavia ignorato. La cosa straordinaria del docufilm è che mette il pubblico nelle condizioni di comprendere di cosa si sta parlando. Quando si trattano questi temi c’è il rischio di non coglierli appieno, vista la complessità della materia, eppure Ferguson spiega tutto con una facilità disarmante, mettendo lo spettatore al centro di questo progetto. Un grido di denuncia, insomma, che sicuramente sconvolge, ma che fa chiarezza sulle ombre di questa crisi.

XIII EMENDAMENTO: questo originale Netflix tratta la tematica del razzismo, ma non attraverso il banale politicamente corretto a cui siamo stati abituati in questi anni. XIII emendamento è infatti un pugno nello stomaco che colpisce più forte che mai, perché catapulta lo spettatore in una realtà difficile come quella afroamericana. Il film spiega in modo brillante quanto il razzismo sia ancora una piaga della nostra società e lo fa mettendo in luce quelle ingiustizie che negli USA sono all’ordine del giorno: abusi di divisa, processi ingiusti e sfruttamento carcerario. Ava DuVernay, regista del documentario, parte dall’analisi dei casi singoli per poi arrivare ai “piani alti”, per dimostrare quanto la politica sia complice delle ingiustizie che ogni giorno la comunità afroamericana riceve.

CUBA AND THE CAMERAMAN: Jon Alpert ha viaggiato a Cuba per anni. Ogni volta che visitava L’Avana, portava con sé una telecamera per filmare le cose che vedeva. Non c’è da aspettarsi un docufilm su Fidel Castro e la rivoluzione cubana, poiché gli obiettivi sono ben altri. Nonostante, infatti, il regista non neghi la sua amicizia con il lider maximo, comunque non si fa distogliere dallo scopo principale: riprendere il cambiamento. Così Alpert decide di documentare per trent’anni l’evoluzione di tre famiglie cubane e ne analizza il terribile contorno di povertà e di dittatura. Dal documentario emerge sicuramente un paese povero, ma anche pieno di persone che non si arrendono dinanzi le difficoltà economiche. Poco importa per il regista aprire un dibattito sulla natura sanguinaria di Fidel Castro, perché devono essere le immagini a parlare. A mio modesto avviso siamo davanti a uno dei documentari più commoventi degli ultimi anni, motivo per cui lo consiglio vivamente.

THE LAST DANCE: Questo bellissimo racconto non è un film, ma una serie televisiva presente su Netflix. Probabilmente molti di voi l’avranno già vista, eppure non potevo fare a meno di consigliarla, nella remota possibilità che ve la siate persa. Michael Jordan e i Chicago Bulls sono stati un simbolo degli anni 90 e il successo di questo documentario è la testimonianza del segno che questa squadra ha lasciato nel cuore degli amanti dello sport. Le puntate si dividono in due parti in cui viene raccontata rispettivamente l’ascesa e la fine dei Bulls. L’originalità di questa serie tv sta nel fatto che prende le distanze dagli infiniti racconti volti alla mitomania di Michael Jordan: il leggendario numero 23 non ha vinto da solo, ma attraverso una squadra che ha saputo sfruttarne le potenzialità. Certo, non mancano i meritati elogi a un cestista straordinario, ma non vengono mai messi in secondo piano i meriti di un grande allenatore come Phil Jackson e di un grande compagno di squadra come Scottie Pippen. The last dance racconta quindi lo sport nel senso più puro del termine, ovvero un’attività che prima di tutto deve essere una metafora di vita

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