“Italicum”: pregi e difetti della desiderata legge elettorale di Renzi.

a cura di Lucrezia Di Stefano – 

Lo scorso 27 Gennaio il Senato ha approvato in seconda lettura il testo della legge elettorale, il c.d. “Italicum”, con le revisioni volute dal Governo; pertanto, al momento la Camera si appresta ad iniziare la terza lettura al fine di terminare l’iter legislativo. Alla luce della grande instabilità della politica italiana, nell’attesa che la tanto conclamata riforma elettorale vada finalmente in porto, ritengo sia opportuno, proprio in questa (sperata) fase finale, porre l’attenzione sul contenuto dell’oramai  rinomato Italicum, e sugli effetti che potrà produrre.

Preliminarmente, guardando al funzionamento del nuovo sistema, si osserva che questa riforma prevede un sistema elettorale prevalentemente maggioritario, con la suddivisione del territorio nazionale in 20 circoscrizioni e 100 collegi plurinominali, e con un doppio turno eventuale. Il partito (e non più la coalizione) che ottiene il 40% dei voti si aggiudica il 55% dei seggi alla Camera dei deputati (che dovrebbe diventare l’unica Camera elettiva; infatti, la legge elettorale prevede una clausola con cui posterga la sua applicazione all’entrata in vigore della riforma costituzionale, attualmente in discussione, che supera il bicameralismo perfetto). Se alle elezioni celebratesi nessun partito ottiene il 40% dei voti, la legge prevede che soltanto i due partiti che conseguono più voti vanno al ballottaggio, con il divieto espresso di apparentamento tra partiti tra un turno e l’altro di votazione; quello che, tra i due partiti che concorrono al secondo turno, ottiene più voti, (indipendentemente dalla percentuale) si aggiudica il 55% dei seggi alla Camera, mentre per la ripartizione del restante 45% i seggi sono attribuiti proporzionalmente ai voti ottenuti dagli altri partiti nel primo turno. È prevista un’unica soglia di sbarramento del 3%, sia per il partito che per la coalizione, ed è altresì prevista la rappresentanza di genere: invero, in caso di doppia preferenza, si deve esprimere il nome di un uomo e di una donna, mentre i capilista di ogni partito, che sono bloccati, possono essere dello stesso sesso nel limite del 60%. Tutto ciò premesso, costituzionalisti e politologi ritengono che gli effetti di questo sistema elettorale possano sintetizzarsi nel seguente slogan: gli elettori scelgono chi governa, perché chi vince le elezioni governa, ottenendo ex lege il 55% dei seggi. Questo nuovo meccanismo riesce infatti ad assicurare ex ante la governabilità ed inoltre favorisce la bipolarizzazione e bipartizione del sistema, non più fondato sulle coalizioni ma sui singoli partiti. In più, grazie alla bassa soglia di sbarramento, si garantisce una maggiore rappresentatività, sebbene i piccoli partiti saranno del tutto incapaci di governare, vista l’alta percentuale necessaria per vincere. L’effetto più rilevante della riforma, però, è quello della modifica de facto della forma di governo, poiché sostanzialmente si realizza l’elezione diretta del Presidente del Consiglio e di conseguenza cambia anche il ruolo del Capo dello Stato. Questo sistema elettorale, se venisse approvato, segnerebbe il passaggio da una democrazia consensuale ad una maggioritaria, necessaria (se non indispensabile) per governare il nostro Paese, così politicamente frammentato, anche se un simile sistema è considerato da taluni una “deriva autoritaria”. Al di là del giudizio politico, la realtà è che tale sistema, per inverare un modello di democrazia maggioritaria, avrebbe bisogno, oltre che della legge elettorale, di altri due fattori che di seguito si evidenziano, con il duplice effetto di responsabilizzare di più il Governo e i cittadini. In primo luogo, la previsione di un maggior potere in mano al Governo, affinché non sia ingabbiato dall’ostruzionismo dell’opposizione (v. l’eccesivo ricorso al decreto-legge); dall’altro e di contro, anche un maggior potere alla stessa opposizione, perché possa davvero essere tale (v. il modello inglese). Secondariamente, l’attribuzione all’elettorato di un più incisivo potere di sanzione politica, poiché soltanto in un vero sistema di democrazia partecipativa se i cittadini possono scegliere a chi attribuire così tanto potere, allo stesso tempo devono avere il diritto di sanzionarlo (e non solo al turno elettorale successivo; neanche, però, quotidianamente a suon di sondaggi, spesso influenzati dalle emozioni del momento). Tutto questo, è bene ricordarlo, avviene ahimè a Costituzione formale invariata, la quale prevede una forma di governo parlamentare e non certo semi-presidenziale. Questo rende ancora più debole e frustata la nostra Costituzione, che rischia così di essere commemorata e richiamata solo nei momenti politicamente opportuni.

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