Cronache giudiziarie: l’omicidio di Maria Furlan.

a cura di Umberto Romano – 

Il caso che tratteremo in questo articolo si occupa della scomparsa e del successivo omicidio di una donna, Mara Furlan, residente a Spicchio in provincia di Empoli. Competente a giudicare è la corte d’Assise di Firenze.
La mattina del 24 Novembre 2007 Mara Furlan saluta la sua vicina, rientra in casa e di lei perdono le sue tracce. Dalle 10 e 18 il suo telefonino continua a squillare a vuoto, nessuno risponde dall’altra parte;  la macchina della vittima manca dal garage e tutto fa pensare ad un allontanamento spontaneo. Tuttavia  l’8 Dicembre il suo cadavere sarà trovato da un fungaiolo in un bosco; la causa del decesso non sono le svariate ferite da corpo contundente al viso -non sufficienti per cagionarne la morte- ma un asfissia da compressione combinata con l’ipotermia. L’ultimo ad aver visto Mara Furlan sarà Ubaldo Voli, sedicente imprenditore ed ex compagno della donna, con cui ancora divideva la casa. Il Voli dichiarerà di essere uscito di casa alle dieci e venti, e di non aver più visto la Furlan da allora. Ma nelle ricostruzioni della mattinata di Ubaldo Voli ci sono molte falle: sappiamo per certo che si è incontrato con un rivenditore alle 11 e 43, e che quindi avrebbe avuto solo poco più di un’ora per l’omicidio e l’occultamento del corpo. Tuttavia il Voli si era accordato con il venditore per incontrarsi la settimana successiva: quest’ultimo dichiarerà che l’imputato gli ha telefonato in fretta e furia per finalizzare la vendita di alcuni materiali. Probabilmente il Voli cercava a tutti i costi di procurarsi un alibi per quella mattina. Anche sul quando sia deceduta la Furlan ci sono numerosi dubbi, e i tecnici che hanno esaminato il corpo propendono per due soluzioni diverse: il giorno della scomparsa ovvero i giorni successivi, fino a quello del ritrovamento. La più realistica ci sembra quella che teorizza il decesso il giorno della scomparsa: la Furlan, infatti, verrà trovata a piedi scalzi e in vestaglia, così come era vestita il mattino del 24; appare quindi molto inverosimile che l’assassinio sia avvenuto fuori le mura domestiche. L’ulteriore domanda che vale la pena porsi è “come è stata portata la vittima nel bosco?”. La risposta sembra darla proprio il Voli, che consiglierà durante le indagini di parlare con la socia della vittima, che gestiva lo studio dentistico “L’Andromeda”. È proprio nel parcheggio dell’Andromeda che sarà ritrovata l’automobile di Mara. All’esame degli inquirenti la Mercedes della vittima darà più di una informazione: il cofano apparirà completamente ripulito ma i tappetini dell’auto appaiono tutti sporchi di un terriccio perfettamente compatibile con quello del luogo dove è stata ritrovata la vittima. Le ricostruzioni che seguono fanno pensare ad una Mara Furlan colpita fino a svenire, rinchiusa nel cofano e trasportata in un posto isolato dove ha trovato una morte lenta ed atroce.
Il raziocinio ci farebbe sicuramente propendere verso l’ultima persona che ha visto la vittima, ma la difesa dell’imputato oppone una strenua resistenza. Prima solleva dei dubbi sulla vita personale della vittima, iscritta ad una loggia massonica. Dopodichè  sposta l’attenzione verso la società della Furlan, proprio quell’Andromeda dove la macchina sarà ritrovata: società in gravi difficoltà economiche, che la vittima stava per lasciare a causa dei rapporti non buoni con l’altro socio. Si cerca quindi nel motivo prettamente economico un buon movente per l’assassinio, ma anche se la vittima avesse cercato un “faccia a faccia” con il proprio socio appare totalmente irrazionale il fatto che fosse uscita di casa ancora con la vestaglia e le ciabatte. Sia la pista della Massoneria, sia quella dei litigi societari porteranno ad un nulla di fatto. A quel punto la difesa, sempre caustica, punterà il dito contro il figlio della Furlan, un trentenne essenzialmente “mantenuto” dalla madre, ma anche questa ipotesi si riterrà infondata a causa dell’alibi molto forte del ragazzo, che resterà comunque indagato per tre anni. Nonostante la difesa ci abbia provato in tutti i modi, i sospetti ricadono tutti su Ubaldo Voli, unico imputato al processo.
I punti focali dell’accusa saranno sostenuti da due domande fondamentali: “Quale sarebbe il movente del Voli?” ed “davvero è capace di uccidere?”.
Alla prima domanda si risponde con estrema semplicità: il movente del Voli potrebbe essere di natura esclusivamente economica. Si scopre infatti che l’imputato doveva piùdi 60 mila euro alla vittima, che aveva sostanzialmente conquistato e frodato. Nonostante la loro storia fosse finita da anni, il Voli era ancora in casa della Furlan perchè quest’ultima aspettava i soldi per mandarlo definitivamente via, dalla sua casa e dalla sua vita.  L’altro motivo potrebbe trovarsi proprio nella situazione di indigenza di Ubaldo Voli, che percepiva una minima pensione: l’alternativa alla casa della Furlan probabilmente sarebbe stata la strada.
Alla seconda domanda il pubblico ministero cercherà di rispondere con un ragionamento che noi non ci sentiamo di condividere. La sua tesi sarà sostenuta dalla situazione economica del Voli, il quale era pieno di debiti, ma anche dal passato dell’imputato, responsabile di numerose truffe ai danni delle donne con cui conviveva o che frequentava. Per il PM quindi è ben possibile un passaggio ideale da truffatore ad assassino.
La tesi dell’accusa riesce a convincere i giudici, che condannano Ubaldo Voli a 26 anni di reclusione.
Il processo, la cui sintesi è trattata su questo numero, non riesce a rispondere ad alcune domande fondamentali, come il “dove” la donna sia defunta, o il “quando” sia stata uccisa. Le arringhe del PM, convinto della colpevolezza dell’imputato, mirano molto alla qualità personale di quest’ultimo, alla pericolosità del soggetto, al passaggio teorico dalla truffa all’omicidio.
Ubaldo Voli ricorre in appello, ma già debilitato da una malattia in fase terminale, trova  la morte il 2 Novembre 2011.
Pensiamo di poter affermare con certezza, dall’esame di un processo sostanzialmente indiziario come questo, che la colpevolezza dell’imputato fosse tutt’altro che sicura “al di là di ogni ragionevole dubbio”. Siamo altrettanto certi, che chiunque egli incontrerà dopo la morte saprà giudicarlo molto meglio di quanto lo abbiano giudicato in vita gli uomini.

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