Gli italiani e le riforme.

a cura di Valerio Forestieri – 

Gli italiani non imparano mai, ma non fatene loro una colpa. Gli italiani son grandi rivoluzionari, ma sfortunati: cambiano sempre tutto, eppure -a ben vedere- non cambiano mai nulla. Le malelingue dicono che lo facciano appositamente, con dolo. Io, invece, son più indulgente : credo che siano uomini positivamente buoni, ma che siano, debbo essere sincero, un poco idioti.  Sono le migliori intenzioni a muoverli; lodevoli e meritori sono gli obiettivi che si prefiggono: ma un fato avverso, infido, vuole che nel tragitto verso la meta inciampino spesso; che ritardino, a volte, nel raggiungere la destinazione; che a volte perdano la strada. Gli italiani son sempre in buona fede, sono un popolo profondamente generoso. Si scambiano regali senza chiedere mai nulla indietro, non conoscono assolutamente il do ut des. Capita -a dir il vero abbastanza di frequente- che qualcuno faccia doni a politici e uomini di potere: Rolex , champagne, anche appartamenti. Ma gli elargitori son così discreti che spesso i riceventi non si accorgono di nulla. Potete anche non crederci, ma tutto avviene a loro insaputa: prendono una tangente convinti che sia un gentile omaggio e si prodigano per assolvere alle richieste del donatore mossi da un puro cipiglio altruista. La malizia, ahimè, è negli occhi di chi guarda: sfortuna vuole che sia spesso un magistrato. In un sistema così limpido e chiaramente imperniato sull’onestà, bisognerebbe essere profondamente meschini, terribilmente abietti per pensare che le nuove riforme del Governo sulla scuola e la Rai daranno adito all’ennesimo apparato clientelare. Nel settore pubblico, territorio notoriamente franco dalla corruzione e dal malcostume, si è pensato bene di rendere malleabile il sistema dei concorsi che si incardinava su criteri, per quanto possibile, certi e definiti, e dar spazio nell’assegnazione di un posto di lavoro alla decisione del singolo superiore. In barba all’articolo 97 della Costituzione il quale, al quarto comma, sancisce espressamente che “agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni si accede mediante concorso” e in spregio al principio dell’imparzialità della pubblica amministrazione, mirabilmente enunciato all’articolo 98 primo comma- “i pubblici impiegati sono al servizio esclusivo della Nazione”-, sarà il preside a scegliere i docenti della sua scuola. E’ sicuramente indubbio che con una simile riforma i fenomeni di nepotismo e clientelismo che già affliggevano l’istruzione pubblica ( basti pensare al baronaggio universitario), saranno definitivamente estirpati. Anzi dirò di più: il disegno di legge assicura la libertà dell’insegnamento, come affermato solennemente dall’articolo 33 della Costituzione. Quale gufo, infatti, potrebbe mai malevolmente sostenere che la riforma rappresenta un vulnus alla libertà dell’insegnante, sul cui capo penderà d’ora in poi, come una spada di Damocle, la volontà del dirigente scolastico? Ma le capacità legislative del Governo raggiungono l’apogeo nel ddl sulla Rai: si prospetta, infatti, la figura di un amministratore unico, nominato dal Governo stesso, con poteri esponenzialmente accresciuti rispetto all’attuale direttore generale, anch’esso di nomina scopertamente governativa. Proposta comprensibile ed encomiabile, dal momento che in Italia non si è mai presentato il problema dell’indipendenza del servizio radiotelevisivo dal Governo né mai si è verificata la concentrazione del potere politico e del controllo dei servizi televisivi privati nelle mani di un’unica persona, fuorché negli ultimi vent’anni ( a chiaro discapito del pluralismo informativo, come più volte evidenziato dalla Corte Costituzionale). Gli italiani incappano sempre negli stessi errori, ma non lo fanno appositamente. Son troppo buoni, non riescono a pensare con malizia o furberia, e poi hanno cattiva memoria: dimenticano tutto, anche la costituzione.

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