In ricordo di Giorgio Albertazzi

A cura di Valerio Ceccarelli

Senza Giorgio Albertazzi il mondo del teatro e dell’arte hanno perso molto. È stato più di un grande attore, era un maestro, un creatore di immagini, un tessitore di idee e di sogni. Ci ha insegnato e ci ha lasciato tanto, ma oggi siamo qualcosa in meno senza di lui. Del teatro e della letteratura ha mostrato ed incarnato il volto arcano, il significato mistico, il suono profondo delle parole. Ci ha spiegato che la poesia ed il testo possono essere molto più di un insieme di versi, possono divenire suoni ed i suoni unirsi per toccare l’anima. Quasi una litania magica, una formula mistica di cui si riscopre il senso dopo secoli, una sinfonia dimenticata carica di ricordi, il canto delle sirene. Questo diveniva la letteratura raccontata da Giorgio, qualcosa di superiore, un rito iniziatico, l’ingresso in un mondo dotato di proprie regole e più leggero dei sogni. Ma anche i sogni hanno una fine. Quando le prime luci del giorno richiamano il dormiente al mondo della veglia, le ultime immagini si fanno più rapide ed alcune sfuggono al precluso reame dei sogni. Lasciamo che le idee e gli spettacoli, che Albertazzi ci ha donato, rimangano tra queste immagini, profonde e lievi come pensieri. Lo ricordiamo allora nel ruolo di Prospero, il creatore shakespeariano di sogni; in quello di Re Lear, il protagonista di un viaggio esistenziale nelle delusioni e nelle paure di ogni uomo; in quello di Shylock, il mercante ebreo di Venezia. Come Shakespeare, Albertazzi sapeva farsi narratore di storie, bardo, era in grado di creare un’atmosfera onirica, di portare ed immergere lo spettatore in una dimensione altra, senza tempo. Arte come vita e vita come arte, perché recitare non doveva essere finzione e artifizio, non doveva essere come il vero, ma un’espressione del vero, una dimensione effettiva del reale. Albertazzi è stato Picasso, Puccini, Italo Calvino, nelle sue memorie americane, in un grandioso omaggio al valore della leggerezza. In ogni opera portata in scena dal Maestro risuonava quella leggerezza che non è assenza di peso, ma capacità di elevarsi oltre il peso, senso profondo dell’arte, simbolo dell’anima e della vita. Albertazzi è stato Borges, il poeta argentino, il maestro di labirinti e di metafore, dello specchio e dell’artefice, del tango e dell’ombra. Ma soprattutto Albertazzi è stato Adriano, l’imperatore senza tempo, un uomo come tutti gli uomini, dalla propria infanzia fino all’ impero, dalla filosofia alle guerre, dagli amori ai giochi di potere. Come Adriano è stato un cultore ed un profeta della bellezza, è stato un comunicatore della stessa, un maestro ed una guida, un uomo che ha aperto strade nuove. Oggi, racconterebbe Marguerite Yourcenar, anche Giorgio ha lasciato le rive familiari, cose che certamente non vedrà mai più: oggi un uomo è entrato nella morte ad occhi aperti.

 

 

 

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