A cura di Cecilia Tommasi–
Sono giorni di ansia,aspettativa ed incertezza, quelli che si stanno vivendo in questo momento in Turchia: fulminea e sonora, infatti, è stata la reazione delle autorità turche al “fallito golpe” di venerdì sera. Tuttavia è ancora torbido il disegno di “contro-golpe” progettato dal presidente Erdogan; i primi segni non sono certo dei più rassicuranti e fondato è il timore dell’opinione pubblica internazionale che in Turchia si possa avere una deriva autoritaria, o (peggio ancora) una deriva islamitico-autoritaria.
“Sono molto spaventata – mi confida una ragazza turca di Ankara, emigrata in Irlanda per lavorare e studiare- tutta la mia famiglia è li, non sappiamo bene cosa sia più conveniente fare. La scelta migliore al momento è camminare in silenzio”.
I numeri del “contro – golpe” sono per lo più noti a tutti:
7.500 soldati arrestati.
3.000 membri dell’apparato giudiziario dismessi.
257 membri dell’ufficio del primo ministro licenziati.
Aggiungiamo pure una telefonata a Barak Obama per avere l’estradizione di Lui: Fetullah Gulain, dichiarato deus ex machina della rivolta. E come non soffermarsi infine sugli numeri altamente eloquenti e rappresentativi di quella che appare essere più una vendetta personale che non una risposta diplomatica ad un attacco politico: quasi 500 insegnanti di religione sono stati licenziati, più di 20.000 scuole private hanno perso la licenza e centinaia di università sono state chiuse. Quella che il governo turco ha messo in atto è una vera e propria purificazione della nazione dal “virus” che ha portato alla rivolta; una violenta sterilizzazione dei poteri dello stato che partendo dal basso, cercano di ristabilire la propria legittimazione presso il popolo, colpendo tutti i gangli dell’organizzazione politico-amministrativa nazionale. Ciò che più di tutto destabilizza è lo sproporzionato arbitrio del burattinaio che sembra non curarsi della possibilità di valicare quelli che nello Stato di Diritto si usa considerare come dei limiti: primi tra tutti Carta Costituzionale e diritti umani. Sin dalle prime battute infatti le organizzazioni internazionali hanno denunciato una netta violazione dei diritti umani nel trattamento dei soldati dissidenti: ammanettati e ammassati in grandi hangar, costretti a stare seduti e a capo chino in segno di vergogna e pentimento. Ma ancora, che ne è della famosa libertà e segretezza della corrispondenza quando amici turchi hanno timore di esprimere pareri sulla situazione politica turca per via telematica, perché il governo potrebbe rintracciarli e interpretare a piacimento quanto da loro espresso? Che ne è della libertà di manifestazione del pensiero? Del diritto alla difesa in sede di giudizio, quando procedimenti sommari vengono preferiti al democratico contraddittorio? Insomma che ne è dei diritti costituzionali? La risposta non è così facilmente intuitiva e scavando un po’ più a fondo nella questione, ciò che sembra apparire a primo acchito è che Erdogan abbia in mente di ridisegnare una nuova Turchia, nella quale gli ormai vecchi principi costituzionali non possono costituire un limite agli atti governativi. E’ la vendetta del Palazzo che delirante demonizza tutto quanto possa essere anche solo lontanamente associato all’arci-nemico Gulein. La citska turca ha portato ad una sostituzione del concetto di individuo libero con quello di popolo fedele e reverente, e nell’abbandono dell’individualismo democratico si procede ad una ridefinizione dei confini del “concesso e del non concesso” usando una chiave interpretativa che dipende unicamente dalla libido del Sultano. La repressione del nemico ha come fulcro la rieducazione del popolo realizzata con gli strumenti della paura e della demonizzazione: il nemico deve essere umiliato, annientato violentemente e il popolo deve vedere e conoscere l’infame sorte che attende coloro che preferiscono la deviazione all’acquiescenza. Solo l’offuscamento della paura può portare un individuo ad accettare una totale limitazione della propria soggettività. E’ inevitabile esprimere una riflessione super partes sui fatti riguardanti la Turchia, alla luce anche della pluralità di avvenimenti recenti che in toto sembra stiano segnando un cambiamento, maturato giorno dopo giorno nel segno del sangue e della violenza, a favore di un establishment mentale che non sembra poter essere arginato agevolmente. Quanto è certo è che la posizione della Turchia è ora più che mai geograficamente e politicamente ambigua ed incerta: un popolo che è sempre stato a metà tra l’Occidente e l’Oriente senza mai assumere una netta posizione; le trattative per diventare paese UE fin troppo lunghe e la partnership nella Nato sono il segno di un’ambiguità forse troppo pericolosa da mantenere. E’ l’oriente che avanza, incombe e conquista.