A cura di Leonardo Esposito-
Che di questi tempi negli Stati Uniti le tensioni razziali abbiano giunto un pericoloso picco è fuor di dubbio. Ne sono perfetta esemplificazione i fatti di Charlottesville, e lo strascico di polemiche che hanno coinvolto, ovviamente, anche il presidente Trump, intervenuto con il suo solito armamentario di dichiarazioni controverse (rectius, inopportune). Per quanto la situazione sia incresciosa, non aveva mai più di tanto attirato la mia attenzione, tuttora volta alle meno eclatanti ma più godibili (rectius, risibili) vicende nostrane.
Tuttavia non ho potuto non notare, durante la mia rassegna online della mattina, come tra un titolone sensazionalistico sul terrorismo e una crociata della Boldrini contro i cattivi dell’internet sbucasse un nome “nuovo”: Colombo. Prima che passiate in rassegna le vostre conoscenze televisive, o vi aggiorniate su un possibile nuovo assessore alla corte della Raggi, faccio luce: sto parlando del celeberrimo navigatore genovese, primo europeo a posar piede nelle Americhe.
La ragione che ha scomodato il povero Colombo è la seguente: alcune sue statue presenti negli Stati Uniti sono state deturpate, e si vocifera persino di una rimozione della colonna dedicatagli a Columbus Circle, New York. Il perché è semplice (rectius, ridicolo): il navigatore sarebbe stato il primo di una lunga serie di predoni, schiavisti e genocidi.
Sia ben chiaro, non sono qui per fare del revisionismo, anzi, sono ben note le atrocità compiute dagli europei nel nuovo mondo, ma riversare la propria rabbia contro un navigatore che cercando l’India ha trovato un nuovo continente è semplicemente fuor di luogo. Ciò non tanto perché materialmente quest’uomo non ha compiuto altro che viaggi esplorativi e addossargli le colpe di genocidi e schiavitù da altri perpetrati è illogico, ma perché, come sovente accade, chi di dovere (rectius, buonisti e gentisti) si è lasciato prendere la mano (rectius, ha perso la testa). Perché non si può ripulire la propria coscienza abbattendo delle statue (rectius, cancellare la memoria storica), perché non si può far del revisionismo in nome dei diritti (rectius, citando Bobbio, richieste di diritti che nemmeno esistono, quale quello alla revisione), perché non ci si può lasciar andare a comportamenti antisociali per combattere dei mulini a vento.
È tuttavia possibile che sia io dalla parte del torto, che non riesca a vedere la nobiltà nella rivolta, la bellezza nella distruzione, la superiorità morale di chi si abbassa a tali gesti e pensieri. Ma se ritenere che le battaglie per i diritti si combattano pacificamente senza abbandonarsi a istinti devastatori significa cedere al razzismo, ebbene, continuerò a crogiolarmi nel mio torto, insieme a pochi altri folli.