Responsabilità civile, tra capisaldi e contrasti dottrinali

A cura di Ludovico Lenners

Uno dei cardini dell’intero sistema codicistico, sia in materia di procedura che di merito civilistico, è senza ombra di dubbio il tema della responsabilità civile. Invero, malgrado e in virtù del suo centralismo nel concepimento strutturale della giustizia del diritto privato, lo stesso è terreno di profonde incertezze e divergenze dottrinali.

Un’analisi sistematica dell’argomento, non può che partire dalla summa divisio tra responsabilità contrattuale e responsabilità extracontrattuale, pilastri dell’ordinamento civile; e fin qui, nulla quaestio. Non serve certamente ricordare alla solerzia del lettore, che queste trovano principale e preliminare fondamento nell’art. 2697 co.1 c.c., laddove stabilisce il principio generale secondo il quale “chi vuol far valere un diritto in giudizio deve provare i fatti che ne costituiscono il fondamento”, salvo poi ramificarsi in dettaglio rispettivamente negli artt. 1218 c.c. e 2043 c.c..

La configurazione della natura della responsabilità in un determinato rapporto giuridico non è priva di importanti conseguenze dal punto di vista sostanziale delle situazioni soggettive in causa.

In primo luogo, occorre fare riferimento ai criteri per la valutazione dell’illecito. Se nella responsabilità extracontrattuale rileva l’art. 2056 c.c., con rinvio alle disposizioni relative alle regole per la determinazione della quantificazione del danno, al giudizio per equità del giudice in caso di impossibilità di operarla e le disposizioni in materia di concorso colposo del danneggiato (artt. 1223, 1226, 1227 c.c.), alla responsabilità di natura contrattuale si applica anche l’art. 1225, non richiamato dall’art. 2056 c.c.; il quale stabilisce che l’ammontare del risarcimento deve essere calcolato in base al criterio della prevedibilità del danno nel momento in cui è sorta l’obbligazione, sancendo così la rilevanza del momento in cui si è perfezionato il contratto – salva la ricorrenza dell’elemento soggettivo del dolo o della colpa nella mens del debitore-, in luogo  del tempo in cui si è verificato l’eventus damni, elemento primario della responsabilità aquiliana. In secundis, per quanto concerne la mora, questa decorre automaticamente dal momento in cui si costituisce il ritardo nella responsabilità extracontrattuale; circostanza questa che non necessariamente si verifica in relazione alla responsabilità contrattuale. In terzo luogo, rileva una importante differenza tra le due discipline rispetto all’istituto della prescrizione. Posto che per la responsabilità contrattuale il termine di operatività di questa è quello generale avente una durata di dieci anni (art. 2946 c.c), il diritto al risarcimento per “danno ingiusto” si prescrive nel termine breve di 5 anni; ridotti a loro volta a due in materia di danno provocato dalla circolazione dei veicoli (art. 2947 c.c.).

È tuttavia, da ultimo, sul quanto mai centrale tema dell’onere probatorio che occorre indugiare in una più attenta riflessione, ferma restando ancora la differenza tra i presupposti soggettivi per l’insorgere di una o dell’altra responsabilità (rispettivamente la capacità giuridica ex art. 1 c.c. e la capacità di agire ex art. 2 c.c.). Nella responsabilità ex contractu infatti, dal momento che essa è di regola generata dall’inadempimento nel negozio giuridico – salvo il caso della responsabilità da “contatto sociale qualificato”, insorgente in presenza di certi diritti tutelati a livello costituzionale -, il legislatore ha voluto accingersi ad un determinato tipo di approccio. L’inadempimento infatti, si presenta come “circostanza oggettivizzata” dal punto di vista fenomenologico, sussistendo questo indipendentemente dall’elemento soggettivo ascrivibile alla sfera psicologica del debitore e rinvenibile nelle tradizionali figure di dolo e colpa. Queste, al contrario, caratterizzano il tratto distintivo della responsabilità aquiliana, giacché prodotta da un eventus damni contra ius, ovvero cagionamento del “danno ingiusto” ex art. 2043, nella non sussistenza o a prescindere di un qualunque rapporto giuridico preesistente tra le parti della controversia. Si badi bene, tuttavia, che il dolo e la colpa, in tal caso, a differenza di quel che concerne l’istituto del reato in materia penale, non fungono da presupposti essenziali per l’insorgere della responsabilità, bensì come meri criteri di imputazione della stessa, alla luce del fatto che, come si è detto, nella responsabilità extracontrattuale di cui all’art. 2043 non esisterebbe, in linea di principio, un relativo assetto obbligatorio preimpostato dalle parti nel dettaglio.

Da tali considerazioni discende una fondamentale conseguenza sul piano processuale. In dottrina si è troppo spesso trascurata la centralità che riveste il nesso causale tra la condotta e il danno nei rapporti di cui all’art. 2043 c.c.. Nulla lascia intendere, e anzi la giurisprudenza lo afferma implicitamente, che il nesso causale, pur avendo una rilevanza assai differente a seconda che si parli di responsabilità civile o penale, debba essere inteso differentemente rispetto al reato e al danno aquiliano. Occorre dunque sottolinearne la costituzione unitaria che si trova alla base della sua natura giuridica. Pertanto, se il creditore contrattuale deve provare l’inadempimento del debitore nei termini stabiliti dal rapporto che intercorre tra i due a prescindere da qualsiasi relazione comportamentale, il danneggiato ex art. 2043 c.c. dovrà, di contro, provare il nesso causale tra la condotta dell’agente e l’eventus damni. Per questo, in conclusione, occorre sottolineare che il riferimento di parte della dottrina alla “inversione dell’onere della prova” nella responsabilità contrattuale rispetto a quella extracontrattuale e viceversa, costituisce un’espressione errata sia dal punto di vista formale che sostanziale. Invero, la differente configurazione quale incombenza aquiliana o ex contractu, non darebbe luogo ad una inversione bensì ad una mera ridistribuzione tra le parti degli oneri della prova, rimanendo il danneggiato sempre obbligato, in maniera coerente col citato disposto dell’art. 2697 c.c., a provare il nesso causale tra la condotta e il danno sofferto e il creditore l’inadempimento. In definitiva su questo tema dunque, si può osservare che le questioni relative alle prove nelle diverse configurazioni della responsabilità civile non verterebbero tanto sulla determinazione del soggetto onerato, bensì sui fatti che devono essere provati dalle parti dal punto di vista sostanziale.

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