L’erede di Santo Stefano

Cos’è la sovranità? 

Rifuggo, almeno per una volta, dalle nozioni accademiche e mi rendo conto che è forse la più pura e cruda incarnazione del concetto di potere. Astrazione pura, connubio ideale tra forza e diritto. Eppure, esiste un luogo dove la sovranità si incarna in tutto il suo splendore. In ventimila fiorini d’oro puro, per l’esattezza.

Da mille anni, sulle terre d’Ungheria la sovranità risiede nella sacra Corona di Re Stefano il Santo. Non v’è stato sovrano delle terre magiare che sia stato considerato legittimo senza averla vestita. Carlo I dovette essere investito tre volte del titolo prima di indossarla e potersi considerare Re. Non è forse un caso che dopo peripezie che l’hanno condotta addirittura oltreoceano la Corona il primo gennaio 2000 sia stata finalmente collocata nella sua sede elettiva, in una democrazia: il Parlamento di Budapest. 

Fino ad oggi.

Con 137 voti a favore e 53 contrari Viktor Orbán è stato investito per legge dei pieni poteri. Sul presupposto che fosse necessario per dare «priorità assoluta alla salute pubblica» e per «fermare la diffusione del coronavirus», al leader di Fidesz sono state attribuite prerogative inaudite per le democrazie occidentali. Può governare per decreto. Può sospendere e modificare le leggi vigenti. Può impedire le elezioni. Può chiudere il parlamento.

Senza limiti di tempo. Senza dover rendere conto ad alcuno.

Questi i fatti.

Potremmo discorrere lungamente su quanto crisi eccezionali legittimino deroghe ai principi fondanti della democrazia – ben poco, a mio parere-, si potrebbero scrivere pagine e pagine sullo stato d’eccezione schmittiano e sulla fondatezza delle teorie securitariste – carta straccia, a mio avviso-.

Ma non è il caso. Non oggi almeno. Orbán oggi ha sospeso lo stato di diritto. Ha accentrato nelle proprie mani, e solo in esse, il governo della cosa pubblica. Ha avvinghiato il potere legislativo all’esecutivo nel nesso inscindibile della propria persona.  Non me ne vogliano Salvini e Meloni, che gioiscono della vittoria dell’alleato carpatico (che in pieno stile italiano, c’è da dirlo, non ha mai fornito alcun soccorso tangibile), ma oggi è stata scritta la pagina più tragica della storia d’Europa da lungo tempo a questa parte. 

Ciò che è peggio, è che l’orizzonte è forse ancor più cupo. La pandemia ha del resto portato con sé il vero virus cinese: il modello autoritario della reclusione domiciliare e della tessera annonaria, della delazione segreta e della costrizione della volontà popolare. Dall’app per monitorare gli spostamenti al sito per segnalare gli assembramenti, la spada di Damocle che pende sul capo della democrazia si fa sempre più pesante, gravando su un filo sempre più sottile. Il tutto non solo con la tolleranza, ma addirittura con il giubilo di una massa inebetita dalle rassicurazioni del potere. Potere che prende diritti per regalare sicurezze, al costo, tragico, della libertà. 

Cosa rimarrà da guadagnare, quando tutto sarà perduto?

Oggi, a Budapest, è il giorno più buio dalla fine della Rivoluzione, soffocata col sangue dalle legioni comuniste. La democrazia trema con una lama di gelido acciaio che le accarezza la gola.

Il sovrano è caduto, spogliato della sua Corona.

Oggi la cinge Viktor Mihály Orbán.

Lunga vita al Re.

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