Le politiche migratorie dell’Unione Europea e la reazione del gruppo di Visegrad.

di Chiara Verdone-

Nella Storia l’uomo migra da sempre. Approdare sulle rive dell’Europa è un obiettivo che le persone perseguono per motivi diversi e secondo strade diverse, alcune legali, altre meno, mettendo a rischio la propria vita. Generalmente, si migra per necessità, per fuggire da uno Stato che impone una certa pressione politica o da guerre, dalla povertà, per ricongiungersi con i propri cari e per tanti altri motivi. “Gli stereotipi tendenziosi preferiscono spesso porre attenzione solo ai flussi di un determinato tipo, tralasciando la complessità intrinseca di un fenomeno che esercita molti e differenti effetti sulla società e che richiede molteplici risposte”. Tra i compiti più importanti dell’Unione vi è il dovere di proteggere le persone in stato di necessità e di risolvere, una volta per tutte, la grande tragedia di migranti che perdono la vita alla ricerca della libertà. Alcune cause sono radicate in profondità, altre meno. Tra le tante si può parlare della globalizzazione e della rivoluzione nelle comunicazioni che hanno, da un lato, aperto nuove possibilità di veduta e, dall’altro, aumentato le aspettative. Altre cause devono essere ricercate nelle ripercussioni delle guerre e delle crisi subite dall’Ucraina al Medio Oriente, dall’Asia all’Africa settentrionale. L’Europa è sempre stata un rifugio per chi teme persecuzioni e deve continuare ad essere una meta attraente per il talento e l’intraprendenza di lavoratori, studenti e ricercatori. Si tratta di tener fede ad impegni internazionali e rispettare i valori dell’Unione, proteggendo comunque le frontiere e, allo stesso tempo, adottando condizioni che possano portare alla prosperità economica e alla coesione sociale in Europa ed alla ricerca di un equilibrio, seppur difficile e precario. L’equilibrio sembra raggiungibile soltanto coordinando le attività a livello europeo e adottando una serie di norme essenziali e di misure chiare e precise riguardanti la politica comune. Si avverte la necessità di stringersi nel rispetto dei principi di solidarietà e di responsabilità condivisa. Nessuno Stato membro può, da solo, gestire il fenomeno della migrazione, ecco perché ha bisogno dell’Unione Europea.

Con il termine “immigrazione” si fa riferimento ad un trasferimento permanente o temporaneo di singoli soggetti o di gruppi di soggetti dal loro paese d’origine ad un altro Stato. Conosciamo due tipologie di immigrazione: quella irregolare e quella regolare. Quest’ultima è data dall’ipotesi in cui un cittadino straniero possa valicare la frontiera in possesso di un passaporto o altro documento ad esso equivalente ed un visto. Viene richiesto, poi, un ulteriore requisito economico. Il cittadino straniero deve essere, infatti, in grado di potersi sostentare sia durante la durata del soggiorno sia per tornare nel proprio paese d’origine. L’immigrazione irregolare concerne, invece, l’ipotesi nella quale un cittadino straniero decida di entrare in uno Stato membro dell’Unione Europea senza rispettare tali procedure o che protrae la propria permanenza oltre il limite previsto. In questi casi la conseguenza risulta essere quella dell’espulsione senza possibilità di rientrare nello Stato membro se non alla scadenza del divieto di ingresso o con un’autorizzazione speciale. Le politiche migratorie dell’Unione Europea affrontano entrambe le tipologie di immigrazione. La crisi dei migranti in Europa, dovuta ad un notevole aumento degli stessi nel 2015, ha messo in evidenza i limiti del sistema europeo sulla migrazione. Il Parlamento europeo e le altre istituzioni dell’Unione, in risposta a tali problematiche, hanno modificato le norme sul diritto d’asilo in Europa e creato un più equo sistema di ridistribuzione di richiedenti asilo tra i vari Stati membri, potenziando i controlli alle frontiere e cercando di contrastare l’immigrazione irregolare.

 

Non tutti gli Stati membri hanno reagito in modo positivo alle modifiche apportate, ragione per la quale, attualmente, la situazione politica europea in tale tema è piuttosto tesa e delicata: l’Ungheria ha introdotto pene più severe e tasse più elevate per chi assiste i migranti, ed è supportata in questa linea politica da Slovacchia, Polonia e Repubblica Ceca. Tali Paesi, infatti, hanno formato un’alleanza che prende il nome di gruppo di Visegrad.  Nello specifico l’Ungheria è in prima linea in tale lotta e riveste il ruolo di principale antagonista alle istituzioni europee.

 

Secondo i dati Eurostat relativi all’anno 2017, i numeri più bassi di accoglienza si manifestano soprattutto nei Paesi dell’Est Europa. Importante è anche la “performance” della Polonia. A registrare numeri rilevanti sono Austria, Germania e Svezia. Una situazione di eccezionale emergenza si verifica in Italia ed in Grecia. Si tratta solo di numeri e relativi all’anno precedente quindi è importante sottolineare che sicuramente saranno cambiati.

“Quando si avvicina uno straniero e noi lo confondiamo con un nostro fratello, poniamo fine a ogni conflitto. Ecco, questo è il momento in cui finisce la notte e comincia il giorno”.

 

Nell’Agenda europea sulla migrazione del 2015 erano stati previsti diversi strumenti per gestire gli improvvisi flussi migratori. Tra questi, il meccanismo di ricollocazione. Con tale termine si fa riferimento al trasferimento di cittadini di Paesi terzi e apolidi, con il loro consenso, al fine di porre l’onere dell’esame delle domande di protezione o accoglienza dei beneficiari in capo allo Stato membro di destinazione. La relocation si propone come misura tipicamente solidaristica e coerente con l’articolo 80 TFUE.

La ricollocazione dei richiedenti protezione internazionale, come già anticipato, era stata prevista dall’Agenda europea sulla migrazione del 2015, nella quale la Commissione proponeva di attivare l’articolo 78 par.3 TFUE per dar vita ad una misura “di distribuzione delle persone con evidente bisogno di protezione internazionale, in modo da garantire la partecipazione equa ed equilibrata di tutti gli Stati membri allo sforzo comune”. Tale meccanismo doveva avvenire sulla base di una “chiave di distribuzione” allegata all’Agenda, nella quale si prevedeva anche un sistema permanente di ricollocazione obbligatoria ad attivazione automatica. La Commissione europea, nel maggio del 2015, presentò un piano di ricollocazione di 40.000 richiedenti dall’Italia e Grecia verso altri Stati sulla base dei criteri elencati dall’Agenda. La proposta determinò l’opposizione, fin da subito, di molti Stati: alcuni iniziarono a volersi tirar fuori dal meccanismo vista la loro posizione differenziata, come Regno Unito, Irlanda e Danimarca; altri, esprimevano semplicemente la loro contrarietà ed altri ancora chiedevano una revisione dei criteri di distribuzione. A seguito del compromesso raggiunto nel Consiglio europeo del 25 e 26 giugno 2015, il 14 settembre venne adottata la Decisione 2015/1523 che stabiliva una deroga temporanea ed obbligatoria ai meccanismi e criteri del Regolamento Dublino III sulla base giuridica dell’articolo 78, par.3, TFUE. In particolare, si predisponeva la ricollocazione in altri Stati membri dei richiedenti che godevano di una delle nazionalità individuate alla luce di un apposito criterio e che erano giunti in Italia e in Grecia nel 2015 avanzando domanda di protezione internazionale. La procedura di ricollocazione prevedeva che, ogni trimestre, gli Stati membri dovessero indicare il numero di richiedenti protezione che intendevano ricollocare rapidamente sul loro territorio. Sulla base di quanto detto, Italia e Grecia, in collaborazione con l’EASO, dovevano identificare i richiedenti ammissibili alla procedura, dando precedenza agli individui vulnerabili e presentando tutte le informazioni necessarie ai punti di contatto, infatti, la relocation si basa essenzialmente sullo scambio di informazioni tra gli Stati di partenza e quelli di destinazione. Gli Stati membri nominano un ufficiale di collegamento che collabora con l’EASO. Ogni Stato membro riceve una somma di 6.000 euro per ogni richiedente accolto mentre ad Italia, Grecia ed Ungheria spettano altri fondi per coprire il costo di eventuali trasferimenti e trasporti. Sono tali ufficiali a dover individuare il Paese di destinazione sulla base della capacità di integrazione del candidato dando precedenza ai soggetti particolarmente vulnerabili. Sono gli Stati di partenza a decidere quando e a chi inoltrare la domanda del richiedente, mentre il trasferimento verso lo Stato di destinazione ricade sotto la responsabilità dell’Organizzazione internazionale per le migrazioni (OIM). Dopo aver accettato la domanda di ricollocazione, lo Stato destinatario diviene competente per l’esame della domanda di asilo. Tutta la procedura si doveva svolgere entro due mesi da quando gli Stati di ricollocazione comunicavano la disponibilità dei posti. Solo così gli Stati di destinazione potevano procedere all’approvazione dei richiedenti ammissibili e l’Italia e la Grecia adottare rapidamente decisioni sul trasferimento. Nel caso di mancato adempimento agli impegni stabiliti nella tabella di marcia, il meccanismo di ricollocazione poteva essere sospeso per tre mesi, prorogabili una volta sola.

Italia e Grecia erano tenute a realizzare una tabella di marcia da presentare alla Commissione contenente tutte le misure in materia di asilo, prima accoglienza e di rimpatrio, volte a migliorare la capacità ed efficacia dei loro sistemi, oltre ad indicare possibili misure da adottare per favorire la ricollocazione di emergenza. Inoltre, i due Stati beneficiari, dovevano accettare il supporto di Frontex, EASO ed altre agenzie europee competenti e disporre la ricollocazione dei familiari ammissibili nello stesso Stato, informare i richiedenti della procedura di ricollocazione e della decisione di trasferirli, indicando lo Stato destinatario, ultimando ogni procedura entro due mesi dalla comunicazione, da parte degli Stati, della loro disponibilità numerica. In caso contrario, la competenza si individuava nuovamente sulla base del criterio sancito dal sistema Dublino. Prima che la decisione 2015/1523 fosse adottata, la crisi migratoria aveva condotto la Commissione ad adottare la decisione 1601/2015. Quest’ultima prevedeva, così come la decisione 1523, una delega temporanea ai meccanismi stabiliti dal Regolamento Dublino III al fine, però, di ricollocare, non più 40.000, come nella decisione 1523 del 2015, ma 120.000 richiedenti protezione in Italia ed in Grecia a partire dal 16 settembre 2016. Questo numero doveva essere ripartito così: 15.600 per l’Italia, 50.400 per la Grecia e 54.000 per l’Ungheria. Tuttavia, il meccanismo di ricollocazione trovò una forte opposizione da parte degli Stati Membri, nello specifico da parte degli Stati del gruppo di Visegrad. Il contesto ungherese versava già in situazioni preoccupanti per quanto riguarda il deterioramento dello stato di diritto e della democrazia, dovuti ai cambiamenti del testo costituzionale nel 2011. Alla fine, un’ulteriore procedura di infrazione venne avviata nei confronti dell’Ungheria.

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