L’assordante rumore del silenzio

Undici settembre. Aula Bunker di Rebibbia, Roma. Si svolge oggi l’udienza preliminare di quello che è stato definito come il più grande maxiprocesso della storia giudiziaria italiana dopo quello di Palermo. Viene inflitto un duro colpo alle ‘ndrine vibonesi. Il pubblico ministero catanzarese Nicola Gratteri ne è l’artefice. L’operazione Rinascita-Scott sembra non suscitare l’attenzione di buona parte dei grandi giornali italiani. Il perché rimane un’incognita.

I cancelli dell’istituto penitenziario di Rebibbia hanno lo stesso color grigiastro del cielo su Roma. Sembra quasi che stia per piovere. C’è silenzio, dentro e fuori dall’aula. Un silenzio significativo. Si percepisce la tensione e l’abnegazione degli uomini grazie ai quali è stato raggiunto tale risultato. Trema un sistema criminoso che si regge in piedi, con ben poca difficoltà, da ormai troppi anni. L’operazione è coordinata dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Catanzaro, condotta dal procuratore Nicola Gratteri con l’ausilio dei militari del ROS. Presenzia in aula anche il pool antimafia: Antonio Di Bernardo, Andrea Mancuso ed Annamaria Frustaci. 452 è il numero degli imputati. 4 di essi hanno richiesto il giudizio immediato. 224 sono le parti lese che potrebbero costituirsi parte civile. Numeri elevati, come del resto anche i 428 capi di imputazione. L’inchiesta colpisce la stragrande maggioranza delle cosche del vibonese. Da nord a sud, dall’area di Pizzo a quella di Nicotera. Alla sbarra ci sono tutti: ‘ndranghetisti, capifamiglia e subalterni, pezzi di massoneria deviata, colletti bianchi, politici. E’ un mondo parallelo. Una zona grigia nella quale si mescolano il bianco ed il nero: la politica e la criminalità organizzata, l’imprenditoria e la massoneria deviata. Risuona spesso tra le carte il nome della ‘ndrina Mancuso, considerata dagli organi investigativi come la più influente della provincia vibonese. Esponente di spicco è Luigi Mancuso che, come si legge nell’ordinanza, “al tempo della mafia stragista fu interpellato da Cosa Nostra”. Tra gli imputati vi è anche Giancarlo Pittelli: avvocato calabrese, massone del GOI (ora sospeso), ex deputato ed ex senatore. Ha iniziato a fare politica con la DC, poi è passato in Forza Italia e ancora  tra le fila di Fratelli d’Italia nel 2017. E’ accusato di concorso esterno in associazione mafiosa. Pittelli consentiva al clan Mancuso “d’infiltrarsi e di avere decisiva voce in capitolo in importanti affari ed iniziative imprenditoriali”, comprese speculazioni immobiliari nel ramo turistico-alberghiero. L’affiliato Giovanni Giamborino, in una conversazione intercettata nel 2017 con lo stesso Pittelli, definisce così Luigi Mancuso: “È il tetto del mondo… non c’è nessuno a quel livello, in Italia, in tutto il mondo. Anche in Canada e a New York. Dove ci sono queste cose è sempre lui il numero uno, avete capito?”. Dalla relazione semestrale del 2008 della DIA si evince che: “I Mancuso operano nel florido settore del traffico di cocaina, dove sono riusciti ad acquisire un notevole peso, assicurandosi un canale privilegiato con i cartelli colombiani, con i narcotrafficanti spagnoli, spingendosi sino in territorio australiano”. Ben dodici sono le Regioni interessate dall’azione dei militari dell’Arma: Calabria, Lombardia, Veneto, Liguria, Emilia Romagna, Toscana, Lazio, Sicilia, Puglia, Campania e Basilicata. E’ una operazione “trasversale” che interessa per intero il Belpaese. Con lo stesso aggettivo si potrebbe descrivere la fisionomia della stessa ‘ndrangheta moderna: unica organizzazione criminale di stampo mafioso che è presente trasversalmente in tutti e cinque i continenti. 60 mila affiliati, 400 ‘ndrine operative in 30 paesi. Genera un fatturato di “circa 53 miliardi di euro l’anno”, più di Deutsche Bank e McDonald’s messi assieme. Un giro d’affari “pari al 3,5% del Pil italiano relativo al 2013”, come una multinazionale. E’ da definire pertanto come una contemporanea holding 2.0, legata tuttavia a riti arcaici e consolidati. E’ una organizzazione che si evolve. Cambia la forma ma non la sostanza. Osserva l’andamento dei mercati e domina le nuove tecnologie per eludere le meticolose ispezioni delle forze di polizia italiane e straniere. Utilizza linguaggi criptati e, soprattutto, si infiltra all’interno del mondo politico. Questo è il motivo per il quale una “mafia di pastori” è salita ai vertici della Cosa Pubblica e gestisce la stragrande maggioranza dei traffici illeciti internazionali di sostanze stupefacenti. Nicola Gratteri la definisce come “nuova frontiera del crimine di matrice calabrese che si serve di colletti bianchi per gestire il potere”. Ciò che emerge dalle carte è difatti la presenza radicata di una “nuova ‘ndrangheta”, potente non solo sul piano economico, ma anche su quello politico. Il procuratore catanzarese afferma ancora che “negli ultimi 20 anni il rapporto si è capovolto, venti anni fa erano gli ‘ndranghetisti che cercavano i politici, oggi sono i politici che cercano gli ‘ndranghetisti per avere pacchetti di voti in cambio di appalti”. La maxi-operazione, sebbene sia stata considerata “storica” dal pool di Catanzaro (“il più importante maxi-processo dopo quello di Palermo”), non ha riscosso una grande attenzione dei giornali italiani. Si potrebbe quasi parlare di silenzio mediatico. Se ne parla troppo poco. Troppo poche sono le notizie al riguardo. Troppo pochi sono gli interventi provenienti dal mondo politico, come del resto anche i giovani che ne parlano. Si dà poca rilevanza all’operato del procuratore Gratteri, quindi all’importante presa di posizione delle Istituzioni. Almeno non tanto quanto si dovrebbe. Tutto ciò avviene perchè, probabilmente, è stata colpita una discreta quantità di soggetti che trae beneficio da rapporti con il predetto sistema criminale. Dare notizia significa dunque porre la lente d’ingrandimento su figure che non devono e non possono essere coinvolte. Contrariamente al silenzio mediatico non mancano i paragoni tra Nicola Gratteri e i due magistrati dell’ex pool antimafia di Palermo, Falcone e Borsellino. Paragonare diviene quasi un obbligo inderogabile. Sembra che si debba decidere chi sia stato il migliore o, ancora peggio, chi abbia saputo meglio sopportare il peso della pressione. Guardando all’attività di Gratteri non è dunque così tanto difficile ripensare ai due magistrati palermitani, che altresì subirono qualche attacco, mediatico e non, per il loro operato volto a sensibilizzare le masse ed a puntare i riflettori sul fenomeno mafioso. Lo stesso Falcone disse: “viviamo nel paese felice in cui se ti piazzano una bomba sotto casa e questa non esplode, la colpa è tua perché non l’hai fatta esplodere”, riferendosi agli attacchi mediatici ricevuti in seguito al fallito attentato dell’Addaura. Il ricordo di quest’ultimi magistrati viene, oggi più di ieri, messo a rischio da una nuova generazione di giovani che sente “lontano” quel periodo antimafia. Gli anni ottanta e novanta sono considerati troppo distanti. Si ha un ricordo sbiadito. C’è chi ricorda poco e chi non vuole ricordare. Il rumore delle bombe di ieri si computa con quello ancor più assordante del silenzio di oggi. Pertanto si rischia di educare una generazione “sconnessa” che, sebbene ricordi l’azione dei due magistrati palermitani, non riesca a comprenderne l’insito significato, né tantomeno i veri nemici contro i quali essi hanno lottato. Li hanno descritti come uomini lasciati soli perché scomodi, controcorrente, non legati a niente e nessuno. Uomini che preferivano “il fresco profumo della libertà al puzzo del compromesso morale”. Uomini capaci dunque di opporre resistenza ad un sistema fin troppo complesso, fondato sulla violenza fisica e morale. E’ oggi doveroso tentare di ristabilire una ferrea connessione tra le due stagioni antimafia, quella passata e quella odierna. Quella di Falcone e Borsellino e quella di Nicola Gratteri. Il fine rimane non già solamente quello di onorare definitivamente coloro i quali hanno dato la vita nella lotta alla mafia, quanto più anche quello di educare le coscienze ad una nitida comprensione della fenomenologia mafiosa. L’operazione Rinascita-Scott deve essere considerata, per importanza, come l’ultimo atto da collocare all’interno di un filone antimafia che vedeva, fino a poco tempo fa, i magistrati palermitani ultimi grandi protagonisti. E sebbene tale opera giudiziaria possa risultare ai più, almeno in termini di numeri, insignificante dinanzi alla forza trasversale ‘ndranghetista, ai pochi deve voler dire “reazione delle Istituzioni e costante fiducia nelle stesse”. L’assordante rumore del silenzio che viene a crearsi attorno a questi eventi non deve impedire alle persone, e specialmente ai giovani, di capire tali fenomeni e parlarne. “Parlatene alla radio, in televisione, sui giornali. Però parlatene”, ripeteva in più occasioni Paolo Borsellino prima di quel tragico 19 Luglio 1992. E’ dunque doveroso ricordare il passato, tenere a mente ci  che è stato fatto, per rimanere “connessi” con il presente e costruire, un giorno, chissà, un avvenire migliore, fondato sulla legalità e la giustizia.

Fonti: ansa.it; affariitaliani.it; catanzaroinforma.it; wikipedia.org; dagospia.com; ilfattoquotidiano.it; palermotoday.it; primapaginatrapani.it relazione semestrale della DIA anno 2008, frasi esplicite dello stesso Nicola Gratteri;

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