Il peso imponderabile del caso

a cura di Claudio Buemi

Mi piace pensare alle coincidenze della vita. In fondo il mondo non è nient’altro che un enorme puzzle. Proprio così, un
puzzle che conta circa 7 miliardi di pezzi, che si incastrano tra loro in maniera assolutamente arbitraria. Come i miei
genitori quando si sono conosciuti per la prima volta, può darsi che non è stato nemmeno amore a prima vista. Ma la
casualità, o la tyche come direbbero i Greci, volle che loro due si incontrassero e, che un giorno, si amassero. Ribadisco,
forse non è stato amore a prima vista, ma se quel tizio di cui non ricordo il nome non li avesse presentati l’un l’altra
quella sera, probabilmente non mi troverei qui a scrivere di loro. Io però ho sempre odiato i puzzle, non ne ho mai finito
uno, erano così noiosi che da piccolo anziché unire i pezzi preferivo mangiarli. Anzi, a dirla tutta, detesto la metafora
del puzzle. A tal proposito Woody Allen, secondo il mio punto di vista, ha utilizzato, in uno dei suoi film, una metafora
molto più suggestiva. A volte, in una partita di tennis, la palla rimane sospesa sopra il nastro. Non siamo noi a decidere
dove essa andrà a cadere: con un po’ di fortuna la palla andrà oltre, e allora si vince, oppure no, e allora si perde.
Talvolta la vita ci sfugge di mano, il tempo corre più veloce di quanto la fisica stessa prevede. Credo che se Caspar
David Friedrich avesse avuto l’opportunità di dipingere adesso, nel periodo storico in cui viviamo, il famoso “viandante
sul mare di nebbia”, avrebbe dipinto non un uomo su uno scoglio che si confronta con la natura che lo circonda , bensì
un uomo che annega, un uomo che soffre e implora aiuto, sopraffatto dalle onde di un mare in tempesta. La nostra è
l’epoca del paradossale. La scienza continua a fare passi da gigante, ci sono più iPhone che persone, i social network
hanno creato un filo quasi indissolubile che collega praticamente tutto il mondo. Dovremmo sentirci meno soli, ma non
è affatto così. Il paradosso di cui parlo è proprio questo: più ottimizziamo le nostre capacità, e proviamo a dare un volto
sempre nuovo al mondo che ci circonda, più ci sentiamo isolati ( due secoli fa Feuerbach parlava di “alienazione” ), e lo
stesso destino, che proviamo a controllare con i mezzi sempre più all’avanguardia di cui disponiamo, finisce col
prendere il sopravvento, e diventa incontrollabile. La fortuna, la tyche, il destino, chiamatelo come volete, conta più di
quanto noi stessi possiamo immaginare. Talvolta prepariamo un esame con la convinzione di superarlo con successo,
ma poi la fortuna fa il suo sporco, ed inesorabile, gioco, e le nostre aspettative si rilevano del tutto fallimentari. Altre
volte, incontriamo la ragazza della nostra vita in metro, oppure per pura casualità giochiamo una scommessa e la
vinciamo. La forza di volontà conta, l’uomo è un essere che pensa ed agisce di conseguenza, e ciò lo distingue dagli
altri esseri viventi. E’ vero che le nostre azioni influenzano lo svolgersi degli eventi, ma di fronte al caso non possiamo
negarlo: certe cose accadono perchè devono accadere. E’ probabile che un giorno non molto lontano capiremo la
ragione di tale disegno, anche se forse sarà troppo tardi per scriverci un articolo

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