Nascere in rete

L’uso delle nuove tecnologie contagia ogni giorno una parte sempre più estesa di popolazione. Il possesso di un account in una delle piattaforme digitali si considera come un potente strumento in grado di integrare e coinvolgere l’individuo con l’ambiente circostante, formato da utenti conosciuti e non che abitano la rete.

 Il fenomeno della condivisione in tempo reale di foto e video ha travolto come un’onda grandi e piccini, tanto da normalizzare la divulgazione da parte di mamme e papà di momenti intimi e personali della vita dei propri figli minorenni. È così che i bambini del XXI secolo sono totalmente immersi nei social media, tanto da nascere digitalmente prima ancora di essere nati. Il costante aggiornamento e monitoraggio dal momento dell’ecografia, compleanno dopo compleanno, dimostra come in media vengono pubblicati circa 300 scatti l’anno per ogni individuo, inoltre, uno studio, che ha coinvolto genitori provenienti da Paesi differenti ha mostrato che circa l’81% dei partecipanti aveva esposto online i propri figli prima del secondo anno di vita. Questo fenomeno, sempre più allarmante, prende il nome di “Sherenting”: il neologismo è stato coniato  negli Stati Uniti  e descrive letteralmente quello che razionalmente appare, cioè un comportamento negligente e superficiale dei tutori, con la crasi del verbo “to share”, condividere, e del termine “parenting”, che significa fare i genitori. I dati hanno attirato l’attenzione di studiosi e giuristi che hanno immediatamente comunicato i rischi che tale azione, apparentemente innocua e gioiosa,  comporta, realizzando un’ identità digitale dei bambini esposti. Infatti la diffusione, totalmente priva del consenso del minore, comporta, come principale pericolo, la creazione di tracce digitali,  idonee a formare un sorta di personalità online del minore,  sulla quale  il diretto interessato non può esercitare alcun controllo. Attraverso tali pubblicazioni avviene la costruzione di un identikit dettagliato, accessibile a tutti, che può facilmente può essere manipolato e sfruttato sottoponendo il minore a pericoli come molestie online, furto di identità e cyberbullismo. Un’indagine condotta dall’e-Safety Commission australiana ha rivelato che il 50% del contenuto presente sui siti pedopornografici ha origine dai social media e viene condiviso dagli utenti in modo non consapevole.  È stato inoltre dimostrato come le  Informazioni personali, come hobby , scuole frequentate o attività sportive ed extrascolastiche  pubblicate online sono dati sensibili poiché forniscono materiale utile a chi vuole avviare dei processi di adescamento online. L’adescamento, a sua volta,  non è una singola azione ma un processo graduale di avvicinamento basato su tecniche manipolatorie per carpire la fiducia del bambino o della bambina. A tal riguardo la Convenzione internazionale sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza, ratificata in Italia nel 1991 prevede che “nessun bambino può essere sottoposto ad interferenze arbitrarie o illegali che ledano la sua vita privata, la sua famiglia, la sua casa, il suo onore o la sua reputazione”, ciò significa che il minore ha diritto ad essere tutelato contro queste interferenze pregiudizievoli.

Un ulteriore problema, che sorge dalla sovraesposizione dei minori da parte dei propri genitori, è l’assoluta assenza di consenso dei bambini. La normativa nazionale all’articolo 10 del Codice civile, statuisce che in caso di abuso dell’immagine altrui, si può chiedere al giudice la cessazione della condotta lesiva e anche il risarcimento degli eventuali danni. Ed infatti i casi in cui i figli hanno intentato cause legali  nei confronti dei propri genitori obbligandoli alla cancellazione del materiale che li vede protagonisti  e al risarcimento sono ormai numerose. Degna menzione, a tal proposito, è la pronuncia del tribunale di Roma (sentenza emanata il 23 dicembre 2017, nel contesto del procedimento 39913/2015) la quale ha decretato che il giudice è investito del potere di ordinare la cancellazione delle immagini al genitore, e a stabilire il versamento di una somma pecuniaria a vantaggio dei discendenti. Il fatto verte su un giovane di sedici anni che ha richiesto provvedimenti contro una madre eccessivamente “propensa” a pubblicazioni e interventi online che lo riguardavano. Da questo momento in avanti, non potrà più intraprendere tali azioni, a meno di incorrere in una multa pari a 10mila euro. 

Diventa quindi necessario operare una sensibilizzazione in modo da tutelare minori da pericoli e ripercussioni che segnano con un’impronta permanente la loro vita. Ridare la, ormai perduta, possibilità che questi crescano in un’ambiente sano lontano dai palcoscenici creati sul web, in modo che ritorni ad essere  più importante scattare una fotografia ed esporla sulla parete di casa mostrandola così ad amici e parenti piuttosto che regalare a milioni di utenti sconosciuti uno dei diritti più importanti dei propri figli e cioè la sua privacy.

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