Alitalia e il trasferimento d’azienda in crisi

A cura di Feliciana Santoro con la collaborazione del Prof. Marco Marazza-

L’articolo 47 della L. 428/1990: tra interpretazione e questione di legittimità.

Il trasporto aereo nazionale è stato oggetto di diverse trattative nel corso degli ultimi anni. Il volo finale di Alitalia – Compagnia Aerea Italiana S.p.A., ha utilizzato come pista di atterraggio la nuova Alitalia – Società Aerea Italiana S.p.A. Si tratta di un trasferimento d’azienda, conseguente ad una grave crisi della Compagnia, che si è perfezionato un minuto dopo la mezzanotte tra il 31 dicembre 2014 ed il 1 gennaio 2015. Difatti, a partire da questa data tutti i beni mobili ed immobili quali marchio, aerei, dipendenti e rapporti commerciali in essere sono stati definitivamente ceduti. Nulla quaestio, se solo non fosse per il passaggio dei rapporti di lavoro e per le questioni di diritto che ne sono derivate. Occorre mettere a fuoco tanto la disciplina comunitaria, quanto quella interna per riuscire a comprendere a pieno gli interrogativi che ne derivano e le possibili soluzioni. Analizzando la disciplina del trasferimento d’azienda dettata a livello europeo, la direttiva 23/2001/CE prevede quale effetto tipico la prosecuzione del rapporto di lavoro senza alcuna soluzione di continuità, ossia senza interruzione. Tuttavia, il legislatore europeo inserisce nell’articolo 5 alcune ipotesi di deroga a tale effetto. In particolare i casi in cui è prevista una disapplicazione della tutela fondamentale dal trasferimento d’azienda sono legati alla presenza di procedure concorsuali, con finalità liquidatorie e non liquidatorie. In queste ipotesi possono essere modificate le condizioni di lavoro applicabili ai lavoratori coinvolti nella cessione e viene così sacrificato il principio della continuità: i lavoratori possono passare al cessionario costituendo rapporti ex novo. A livello nazionale, la disciplina è contenuta nell’articolo 47 della L. 428/1990, oggetto di non pochi dibattiti. La norma al comma 5 prevede che – nel caso in cui il trasferimento interessi aziende o rami di aziende rispetto alle quali sia intervenuta una procedura concorsuale di tipo liquidatorio, ossia una dichiarazione di fallimento, l’omologazione di concordato preventivo con cessione di beni, o nei cui confronti sia stato emanato un provvedimento di liquidazione coatta amministrativa o di sottoposizione ad amministrazione straordinaria, nel caso in cui la continuazione dell’attività non sia stata disposta o sia cessata, il raggiungimento di un accordo finalizzato al mantenimento, anche parziale, dell’occupazione consente la disapplicazione dell’articolo 2112 c.c., salvo condizioni di miglior favore previste dall’accordo stesso. Pertanto, la norma risulta conforme alla previsione dettata a livello sovranazionale. Il problema attiene al comma 4 bis dell’articolo 47 della L.428/1990, secondo cui qualora il trasferimento interessi aziende (o rami di aziende) delle quali sia stato accertato lo stato di crisi aziendale; per le quali sia stata disposta l’amministrazione straordinaria, ai sensi del d.lgs. n. 270/1999, in caso di continuazione o di mancata cessazione dell’attività; per le quali vi sia stata la dichiarazione di apertura della procedura di concordato preventivo; per le quali vi sia stata l’omologazione dell’accordo di ristrutturazione dei debiti, il raggiungimento di un accordo circa il mantenimento, anche parziale, dell’occupazione, fa sì che l’articolo 2112 c.c. trovi applicazione nei termini e con le limitazioni previste dall’accordo medesimo. Pertanto in questa fattispecie, l’accordo sindacale, pur non comportando l’automatica disapplicazione dell’articolo 2112 c.c., potrebbe significativamente ridurre la tutela dei diritti individuali dei lavoratori coinvolti. È possibile un’interpretazione dell’articolo 47, comma 4 bis della L. 428/1990 conforme alla direttiva, così come richiesto dal rapporto gerarchico intercorrente tra le due fonti, oppure sarebbe opportuna una rimessione della questione alla Corte di Giustizia? Il comma 4bis sembrerebbe affermare chiaramente che la derogabilità riguarda anche la continuità dei rapporti. In primis quando fa riferimento alla continuità “anche parziale dell’occupazione”, perché sembra così consentire che il passaggio riguardi solo una parte dei lavoratori di quel compendio aziendale. In secundis prevedendo che “l’art. 2112 c.c. trova applicazione nei termini e con le limitazioni previste dall’accordo”: sarà quindi possibile una deroga all’intero articolo 2112 c.c., compreso il primo comma. L’interpretazione non sembra lasciare spazio a incertezze. Il problema è estremamente attuale: il contenzioso in tale ambito non è di scarsa rilevanza. In concreto, il caso di trasferimento di azienda in crisi che ha riguardato la Compagnia Alitalia (CAI) S.p.A., ceduta alla Società Alitalia (SAI) S.p.A. è stato effettuato proprio con un accordo in deroga all’art. 2112 c.c., così come previsto dal comma 4 bis. La questione di legittimità dell’articolo 47 della L. 428/1990, dunque, non è superata.

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