Del diritto e della politica nella storia costituzionale italiana

di Danilo Capitanio

con la collaborazione del Prof. Antonio Punzi

 

Diritto e politica

Carl Schmitt  sosteneva che la politica costituisce al tempo stesso  la   fortuna  e   la  sfortuna  del  costituzionalista, specie nell’evoluzione contemporanea della scienza giuridica. Ora come allora. Se volessimo tracciare un profilo esegetico si nota immediatamente che il diritto contemporaneo nasce dalla politica con decisioni proprie delle assemblee legislative, seppur nei limiti delle forme e nel rispetto dei valori fissati nelle Costituzioni, differentemente da ciò che avveniva negli ordinamenti ottocenteschi, dove  il  politico  non  doveva  “dar  forma  al  diritto”,  ma  si   limitava  a  registrarlo. Ciò non significa, al contempo, che diritto e politica siano miscelati e privi di autonomia, e non fu così nemmeno ai tempi dei totalitarismi del XX secolo. Si ricorda che  i codici, civile e penale, formulati e promulgati in epoca fascista, sopravvissero a questa e vivono ancora oggi, anche se con sostanziali modifiche.  Dopo  il  dramma   dei   totalitarismi del secolo passato,  la  Costituzione venne a rappresentare il  nucleo di  valori  della società, ma anche l’indipendenza  della  giurisdizione dalla politica. Per arrivare a questo, il cammino, specie dei pubblicisti dell’epoca, fu lungo e spinoso. La scuola giuspubblicistica orlandiana non aveva ancora ben autonomizzato il diritto dalla politica. Arrigo Solmi, finissimo giuspubblicista del ‘900,  riteneva che il compito della scienza politica fosse quello di derivare «dalla storia e dai fatti sociali sicuramente attestati, i materiali, le esperienze, le regole, per penetrare le leggi della società  e quindi, nel diritto». Maranini, suo allievo, raffinando il pensiero del maestro,  prospettò  nella seconda metà  degli anni trenta una sostanziale dipendenza del giuridico dal politico e quindi l’abbandono del canone base su cui si fondava la scuola giuspubblicistica dell’epoca.  Ben inteso però che al centro della ricerca   per  il  Maranini doveva porsi comunque la classe politica, la quale non doveva essere monopolio «dei soli studiosi della politica pura, ma anche, e ancor più, l’opera di altre categorie di studiosi», poiché  «una approfondita cognizione delle condizioni della classe politica» costituiva «il segreto tessuto degli avvenimenti e delle istituzioni». In questo quadro metodologico Costantino Mortati, uno dei padri del Costituzionalismo italiano, elaborò il concetto di regime ovvero  l’ideologia del gruppo di  forze  o  della forza dominante, strettamente ed inscindibilmente connessa alla «Costituzione in senso materiale», in un determinato ordinamento.

 

Costituzione materiale e formale

Mortati vi scrisse un libro nel 1940, illustrando come ogni documento costituzionale viva nella prassi dei rapporti politici e civili, identificandosi nelle forze politiche organizzate, che in un determinato momento storico interpretano l’interesse generale della comunità, anziché nel testo formulato, scritto e conservato. Il concetto ebbe un impatto molto forte poiché diede un notevole impulso alla scienza giuridica nel liberarsi da un eccesso d’astrattezza, specie negli anni dell’imperio della stessa, indicando il mutevole atteggiarsi della storia rispetto alle possibilità interpretative cui si prestano le parole vergate dai costituenti. Lo studio del Mortati si concentrò sullo Statuto Albertino, che il Regime aveva fatto diventare carta straccia. Giuridicamente lo Statuto Albertino non era stato modificato nel corso dei suoi cento anni di vita, era la politica che lo aveva svuotato. Sotto la sua vigenza si erano avvicendati governi liberali, autoritari e totalitari, senza che ne venisse cambiata una virgola. Mortati aveva ben ragione di sostenere come una Costituzione possa subire un certo dinamismo, una mutevolezza, pur rimanendo inalterato il testo. “La Costituzione non deve essere intesa come atto, ma come processo, perché la costituzione materiale si crea e si ricrea continuamente per effetto delle leggi, della giurisprudenza costituzionale e comune”.  A molti equivoci, però, si prestava la sua teoria. La mutevolezza e il dinamismo sono ammissibili fino a quando i valori ivi contenuti si adattano alla realtà. Quando, nel frattempo, la realtà svuota il contenuto si cade nell’eccesso: la politica svuota il diritto, diventando arbitrio. Non prevale la costituzione in senso materiale, ma prevale la signoria della politica sul diritto . Temistocle Martines, uno dei grandi del costituzionalismo italiano, scrisse un articolo, dato alle stampe nel 1957, in cui l’allora giovane studioso contesta un’affermazione di Mortati ossia che in caso di contrasto fra Costituzione formale e materiale sia quest’ultima a prevalere sulla prima. “No, è vero casomai il contrario – dice Martines – perché la forma scritta assicura stabilità e certezza delle regole”. Da qui la conclusione: «Nel caso in cui, pertanto, si produca una frattura fra una norma formalmente costituzionale e la sottostante Costituzione materiale, la prevalenza spetterà alla prima, come alla sola formalmente giuridica, che (sia pure svuotata di ogni contenuto) continuerà ad essere valida in quanto appartenente all’ordinamento sino a quando dall’ordinamento stesso non verrà eliminata». In questo piccolo ma monumentale passo, Martines compie, nei termini più netti, la distinzione tra il fatto e il diritto, tra l’essere e il dover essere. Questa distinzione è il codice genetico del costituzionalismo. Come possiamo trovare un punto fermo alla luce delle teorie dei due illustri costituzionalisti?   Con l’istituzione della Corte Costituzionale. Organo che ha il compito di vigilare sulla costituzione materiale senza che prenda il sopravvento su quella formale e ne svuoti il contenuto, adeguando i valori alla storia, salvando la storia dei valori.

Vicissitudini: la difficile infanzia costituzionale

Temistocle   Martines,  risultava,   in  sostanza,   oramai  segnato  dal  garantismo costituzionale e  in  questo  quadro  affermava  che  alla  Corte  costituzionale  “compete[sse] in  sede  definitiva   la  tutela  giuridica  della volontà espressa  dal   costituente”.

La Costituzione ancora bagnata di inchiostro di stampa si trova ad essere ,dopo le elezioni del 1948 orfana dei propri genitori. Uno scontro frontale, quello delle elezioni del 1948 i cui effetti si protrassero per buona parte degli anni ’50. La Partitocrazia, termine coniato dal Maranini, aveva finito per prendere il sopravvento, nella prima fase della Repubblica, sulle assemblee legislative. Buona parte delle istituzioni volute in Costituente e previste in Costituzione, furono attuate con un ritardo clamoroso: il sistema regionale, il CNEL, la Corte Costituzionale, organo costituzionale, non di rilievo costituzionale. Si sottolinea, inoltre, che le Regioni furono istituite solo nel 1970, ben ventidue anni dopo l’entrata in vigore della Costituzione. Questi ritardi portarono al congelamento di buona parte dei contrappesi previsti nella Carta Costituzionale. Scelba, Ministro dell’Interno nei primi anni ‘50, arrivò a dire che nell’insanabile dicotomia legge-Costituzione dovesse prevalere la prima. Fu un costituente. L’ostilità delle Magistrature superiori: la Cassazione, distingueva norme programmatiche e precettive, relegando la Carta in un limbo e proiettandola verso un futuro remoto. Ohibò! Si adducono altri esempi, non concernenti il profilo istituzionale, ma sociale. All’inizio degli anni ’50 il reddito di un meridionale, a parità di lavoro, era la metà di quello percepito da un settentrionale. Eppure c’è un articolo del dettato costituzionale che parla di eguaglianza sostanziale. Alla luce di questi fatti si nota come la Costituzione non era diuturnamente violata, ma era completamente svuotata, da fattori politici e sociali. “Mortati allora aveva visto lungo” ebbe a dire qualcuno . Eppur v’è un limite a questo pensiero. La mancata attuazione della Corte Costituzionale, di cui si è parlato, garante e custode della Costituzione, fu lunga ma momentanea. La Corte Costituzionale entrò in funzione 1956, e cominciò la sua attività osteggiata tanto dai politici quanto dai giuristi: De Nicola ( il presidente della Costituente), poi diventato primo Presidente della Corte si dimise in polemica proprio con la Cassazione. Superata qualche crisi di gioventù, la Corte entrò nel pieno delle sue funzioni, decretando, con la prima sentenza ( n.1/1956), l’inutilità della distinzione tra norme precettive e programmatiche della Costituzione. Altri avvenimenti politici e sociali accompagnarono il disgelo e finalmente l’attuazione della Carta: la crisi  del  centrismo  organico,   l’elezione  di  Gronchi  alla  Presidenza  della  Repubblica, il boom economico degli anni ’60. La Costituzione diveniva uno  strumento  che  non  soltanto  poteva   essere  applicato,  costituiva anche e soprattutto   uno  mezzo   di  integrazione, progresso e aspirazione della società italiana.

 

La Costituzione tra politica e diritto oggi

Proprio la Corte Costituzionale da poliziotto delle leggi divenne il critico più sapiente: si adeguavano le leggi ai principi costituzionali a loro volta adattati alla realtà. Caddero leggi ingiuste e la spinta propulsiva ha sopperito alle lacune della politica, specie nell’immobilismo degli ultimi decenni. La Corte ha salvato i valori, l’essenza della Carta, è stata la bilancia della politica e del diritto, senza mai far prevalere una Costituzione formale svuotata o una Costituzione materiale distante anni luce da quella formale.

La stipula del Trattato di Maastricht e il progressivo cambiamento della Comunità economica europea in Unione politica ha fissato nuovi limiti per il legislatore e ai più sembrava essersi accentuata una preminenza del diritto sulla politica. La  crisi  politico istituzionale del 1992, con  la  scomparsa  di  tutti   i  soggetti  che  si  erano  posti  alla  base   del  testo   della   Costituzione,  ha obbiettivamente indebolito la spinta propulsiva della Costituzione. Nel quadro frammentato dei primi anni’90,  non   è  un  caso  che   Leopoldo  Elia, Presidente emerito della Corte e finissimo costituzionalista,  sulla  base   delle   suggestioni  di   Giuseppe   Dossetti  a  Monteveglio,  abbia  incominciato a esternalizzare   i  valori   del  patto  costituzionale   nel  quadro   occidentale  ed  europeo. Si tratta  di  un significativo  sintomo della  debolezza  del  patto  costituzionale che , al  di  là della  retorica  e  delle  opzioni  politiche  differenti, impone   di  analizzare  la  storia  della  Costituzione repubblicana   nella   prospettiva  della  storia   costituzionale   italiana soprattutto alla luce del processo di integrazione europea. Non si parla più di Costituzione materiale e formale, si comincia a parlare di difesa della Costituzione. Taluni che parlano di un necessario e vigoroso rinnovamento, talatri che vedono la Costituzione come un’ancora di salvezza per l’Italia, sfiduciata verso le istituzioni e la politica. Nella seconda fase della repubblica si è assistito a legislature definitesi costituenti, ma che di costituente hanno avuto (nei limiti dell’oggetto attuato) ben poco. La riforma del titolo V ha finito per sommergere la Corte di giudizi in via principale, poiché non è stata contemplata una modifica istituzionale dello Stato, in vista di un maggior potere devoluto alle Regioni, finendo per litigare collo Stato anche per gli orari d’apertura dei negozi (sentenza 299/2012). La c.d. “Devolution” del 2005 voluta da pochi nuovi costituenti è stata sottoposta a referendum e poi bocciata. Le promesse di una nuova Costituzione, utilizzate come arma verso le minoranze,  si susseguono a ritmo incessante e aumentano soprattutto in campagna elettorale. La politica sembra voler stravolgere una Costituzione che pare antiquata ai più, svuotandola proprio come avvenne per lo Statuto Albertino, e voler prendere ancora una volta sopravvento sul diritto.         Concludendo, si riporta parte di un intervento di Don Luigi Sturzo tutt’altro che attuale: “La Costituzione è il fondamento della Repubblica. Se cade dal cuore del popolo, se non è rispettata dalle autorità politiche, se non è difesa dal governo e dal Parlamento, se è manomessa dai partiti verrà a mancare il terreno sodo sul quale sono fabbricate le nostre istituzioni e ancorate le nostre libertà.”  L’interrogativo di congedo di questa relazione è: Può e fino a che punto la sola Corte Costituzionale mantenere l’equilibrio tra politica e diritto, tra valori e storia, tra costituzione materiale e formale, in questo quadro frammentato odierno, soprattutto se v’è una frammentazione della politica e del diritto medesimi?

 

Bibliografia

Michele Ainis, Vita e morte di una Costituzione, Laterza Editore, Roma-Bari 2006

Fulco Lanchester, Studi in onore di Silvano Tosi, Rivista Aic, 2009

Temistocle Martines, Diritto Costituzionale, Giuffrè, Milano 2010

Costantino Mortati, La costituzione in senso materiale, Giuffrè, Milano , 1998,

 

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