a cura di Giuseppe Venneri –
Lo studio n. 545/2014 segna una svolta decisiva in merito alla possibilità di ammettere la trasformazione di una società unipersonale (di persone o di capitali) in un’impresa individuale, nonostante il parere negativo della giurisprudenza.
La riforma del diritto societario del 2003 ha introdotto – con specifico riferimento all’art. 2500septies del codice civile – una novità assoluta nella disciplina della trasformazione delle società, in quanto regolamenta per la prima volta la trasformazione eterogenea da società di capitali in consorzi, società consortili, cooperative, comunioni di azienda, associazioni non riconosciute e fondazioni.
Tuttavia, a tale riforma sono susseguiti pareri contrastanti tra dottrina e giurisprudenza circa l’ammissibilità della trasformazione di una società unipersonale (di persone o di capitali) in una impresa individuale. La questione ha un indubbio interesse pratico: la qualificazione di tale operazione in termini di “trasformazione” consentirebbe, infatti, al socio unico che intenda proseguire l’attività come imprenditore individuale, di continuare a gestire la medesima impresa senza essere costretto a liquidare preventivamente i rapporti giuridici a essa afferenti, per poi procedere alla loro ricostituzione, probabilmente in termini identici, procedimento che risulterebbe altrimenti necessario al fine di riprendere la medesima attività in precedenza esercitata in forma societaria. Una simile soluzione consentirebbe, inoltre, di beneficiare del principio della continuità dei rapporti giuridici ai fini, ad esempio, della conservazione di licenze amministrative relative all’impresa svolta e, eventualmente, anche ai fini del trattamento fiscale.
La questione è, allo stato attuale, estremamente controversa. Prima della riforma del 2003, la disciplina della trasformazione e l’interpretazione prevalente non lasciavano spazio alla possibilità di riconoscere natura trasformativa al passaggio da società ad impresa individuale, occorrendo procedere allo scioglimento della società e all’assegnazione dell’azienda ai soci.
Dopo il d.lgs. 17 gennaio 2003, n.6, la qualificazione normativa, come trasformazione societaria, del passaggio da società di capitali a comunione di azienda e viceversa, ha indotto la dottrina prevalente ad ammettere (come derivazione di quanto previsto dall’art. 2500septies) che una società unipersonale si possa anche evolvere in una impresa individuale (e viceversa).
La giurisprudenza, d’altro canto, si è più volte pronunciata in senso contrario (Tribunale di Mantova 28 marzo 2006; Appello Torino, 14 luglio 2010; Tribunale di Piacenza, 22 dicembre 2011) , escludendo, dunque, la possibilità della trasformazione da società di capitali o di persone in impresa individuale e viceversa, in quanto le norme in tema di trasformazione, presuppongono sempre che essa interessi enti plurisoggettivi e dotati di patrimonio separato, elementi che mancano, invece, nell’impresa individuale. Pertanto, è bene rammentare che la disciplina della trasformazione è caratterizzata dal principio della continuità dei rapporti giuridici (ai sensi dell’art. 2498 c.c.: “Con la trasformazione l’ente trasformato conserva i diritti e gli obblighi e prosegue in tutti i rapporti anche processuali dell’ente che ha effettuato la trasformazione”) e avrebbe, inoltre, carattere eccezionale: non sarebbe, quindi, consentita se non nei casi previsti dalla legge. Al di fuori di queste ipotesi, si potrebbe passare da una società ad una impresa individuale solo mediante lo scioglimento che consegue alla procedura – inderogabile nelle società di capitali – della liquidazione.
Una vera e propria svolta relativa all’ammissibilità di questa particolare “operazione straordinaria” si è avuta con lo studio n. 545-2014 del Consiglio nazionale del notariato, di recente diffusione (ma il principio era stato affermato un mese fa dai notai del Triveneto nella loro massima n. K.A.37). Secondo tale studio, infatti, il legislatore non definisce la trasformazione e, quindi, si può far luogo a trasformazione tutte le volte che si abbia un caso (non disciplinato dalla legge) che presenti le medesime caratteristiche di un caso invece espressamente disciplinato. In particolare, la legge consente di passare da una società a una comunione d’azienda e viceversa (secondo il più volte richiamato art.2500septies) e quindi, trattandosi di un fenomeno identico, non può sussistere alcun impedimento. Non solo: l’articolo 2500-septies, comma 2, del Codice civile, in tema di trasformazione eterogenea delle società di capitali, dispone anche l’applicabilità dell’articolo 2500-sexies, secondo il quale i soci che con la trasformazione assumono responsabilità illimitata, rispondono illimitatamente anche per le obbligazioni sociali sorte anteriormente alla trasformazione. Conseguentemente, l’ex socio che sia oggi diventato imprenditore individuale in forza della trasformazione eterogenea, verrebbe comunque a rispondere illimitatamente per le pregresse obbligazioni della società trasformata.
In conclusione, il principio enunciato dal Consiglio nazionale del notariato consente di superare le obiezioni sollevate dalla giurisprudenza post-riforma del 2003, ammettendo la realizzabilità della trasformazione di una società unipersonale in impresa individuale e, soprattutto, mettendo in risalto come la procedura di tale operazione, sebbene non espressamente disciplinata dalla legge, possa ugualmente garantire la tutela degli interessi dei soci e dei creditori della società coinvolta nella trasformazione.