Roma, come la guerra sociale risorge dall’antichità.

a cura di Antonio Di Ciommo –

2 ottobre 2014, nel treno regionale per Frosinone presto attenzione ad un gruppetto di persone che discute animatamente di un argomento molto delicato: l’immigrazione clandestina eccessiva. Un ometto dall’aspetto pulito, normale – nulla di inquietante, insomma – con ferocia e rabbia, racconta dell’arresto che ha subìto per violenza aggravata contro una persona di colore perché, a suo dire, questo mendicante, nella stazione di Termini, presentatosi con dei vestiti “nuovi e puliti, mejo d’i’ miei!”, aveva chiesto qualche spicciolo; per tutta risposta, l’ometto gli risponde che è un cassintegrato, quindi può permettersi a malapena di mantenere la famiglia. Fin qui, tutto normale, se non fosse che, dopo questo civile dialogo, il mendicante di colore segue l’ometto del treno e insiste per avere qualcosa, allora l’ometto si altera e gli urla di andarsene, ma il mendicante tenta di rapinarlo e l’ometto risponde con l’unica risposta possibile: la violenza. Allora le forze dell’ordine, stanziate per la sicurezza nella stazione, intervengono e denunciano l’ometto cassintegrato per violenza aggravata. A tutto quest’aneddoto, che fa salire i brividi lungo la schiena, segue una sentenza: “A questi je metterei foco tutti”, seguita da un coro di “E c’hai ragione”.

Questa esperienza è riportata per un semplice motivo: il degrado urbano di Roma e, più in generale, delle metropoli italiane ha raggiunto livelli indicibili, sta per toccare il punto di non ritorno, quello che toccò Parigi il 14 luglio 1789, quello che toccò Napoli nel 1648 con la Rivolta del Pane guidata da Masaniello, un punto che ha un nome ed una definizione che tutti ben conosciamo: rivoluzione.

La caratteristica di una rivoluzione causata dall’esasperazione e dalla fame è che, al primo periodo entusiastico e confusionario, segue un secondo e lungo periodo dittatoriale, pericoloso, sanguinario, schizofrenico, necessario. Quando la povertà domina nella società, quando il processo del declassamento, che ben ci descrive Italo Svevo, è così radicale ed improvviso, l’unico sbocco possibile è il regno assoluto dell’ignoranza, della paura, della bestia umana e non del suo essere razionale.

A Roma, tutto ciò lo si può toccare con mano, si può avvertire facilmente che il degrado sociale ha raggiunto un livello esasperato. Certamente non aiuta l’Amministrazione Comunale, la quale, con i suoi tagli troppo radicali e lineari e, inoltre, con gli ancora più gravi aumenti delle tariffe e dei servizi, contribuisce a questo esasperarsi degli animi, incide maggiormente sul possibile scoppio di una guerra sociale di antica e romana memoria, guerra che presto o tardi si ridurrà ad essere una guerra fra poveri, se lo Stato non si deciderà a compiere interventi seri, netti, decisi!

L’aneddoto sopra riportato serve anche a far comprendere che anche l’immigrazione clandestina indiscriminata sta contribuendo non poco allo sviluppo del mostro razzista nella mente della popolazione. I cittadini italiani si sentono discriminati dalle istituzioni, in favore degli immigrati clandestini, si sentono non avere alcuna sicurezza. Questo è avvenuto perché si è perso il rispetto dalle istituzioni stesse verso i cittadini, per tutelare una particolare minoranza abbiamo perso il rispetto per quella che è la maggioranza dei legittimi cittadini. Credendo solo i clandestini degni della solidarietà, abbiamo lasciato che gli italiani potessero, giustamente, delegittimare delle istituzioni che, ormai, rappresentano ben poco del popolo e ancor meno tutelano i loro legittimi interessi!

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