di Danilo Capitanio
Direttore Iuris Prudentes
Cicerone, Gaio, Ulpiano, Irnerio, Accursio, Bartolo, Baldo degli Ubaldi, Arangio-Ruiz, Guarino, Crisafulli… i comuni denominatori di questi nomi sono due: giuristi e (più o meno) italiani. L’Italia, almeno geografica, è una terra dove il Diritto è nato, con l’antica Roma, si è affermato, con il Corpus Iuris di Giustiniano e si è riscoperto, con Bologna e le Università medievali.
Ciò che accomuna i verbi dei periodi utilizzati sino ad ora, è il passato.
Non che ora non ci siano ottimi giuristi in Italia, siamo chiari. Le generalizzazioni sono approssimative, ma talvolta necessarie, per categorizzare e organizzare. Il punto è che da qualche anno, si stanno formando prepotentemente due categorie di italici giuristi.
Il primo tipo assomiglia all’azzeccagarbugli di manzoniana memoria: il medio giurista che lavora per guadagnare. Il secondo tipo è il luminare, lo studioso, che somiglia a Don Ferrante (sempre di manzoniana memoria) che studia senza fini, ovvero studia il diritto fine a se stesso.
Lascio al lettore la preferenza per una delle due categorie.
Il problema, italico, non è (solo) l’inefficienza della “macchina amministrativa”, ma è molto più profondo: ci siamo talmente tanto dedicati al diritto (mezzo) che abbiamo dimenticato la giustizia (fine).
“L’Italia è la culla del diritto e la morte della giustizia” (Indro Montanelli)