a cura di Giuseppe Venneri –
L’eccessiva imposizione fiscale, la mancanza di liquidità e il difficoltoso accesso ai mutui, hanno costituito un forte disincentivo alla ripresa del mercato immobiliare, rivelatosi una delle maggiori vittime della crisi economica.
Al fine di incentivare i cittadini ad investire nel settore edilizio, Il D.L. n. 133/14 (c.d. Decreto Sblocca-Italia) ha introdotto una nuova categoria di contratti di godimento in funzione della successiva alienazione di immobili: il “rent to buy”. Il decreto in esame ha traslato sul piano del diritto positivo questa nuova figura contrattuale, di elaborazione dottrinale, proposta dal Consiglio Nazionale del Notariato. Si tratta di un’operazione unitaria attraverso la quale viene assicurato a chi ha intenzione di acquistare un immobile la possibilità di conseguire da subito il godimento dell’immobile individuato, con pagamento di un canone periodico e di rinviare a un momento successivo l’acquisto vero e proprio dell’immobile e il pagamento del relativo prezzo, dal quale vengono scomputati, in tutto o in parte, i canoni pagati in precedenza.
E’ doveroso precisare che il “rent to buy” non è uno “strumento finanziario”(non prevede, dunque, l’intervento di un terzo soggetto rispetto al venditore e all’acquirente), ma una figura negoziale creata ex novo che fa da “ponte” tra locazione e compravendita e che produce, di fatto, notevoli vantaggi, in quanto consente all’acquirente che non ha sufficiente disponibilità liquida di ottenere il godimento immediato dell’immobile senza far ricorso al credito e, inoltre, consente al venditore di smaltire l’invenduto percependone, allo stesso tempo, i frutti.
Si consideri la vendita di un appartamento per il prezzo di 100.000 euro. Il canone mensile è convenuto in 1.000 euro mensili. Una parte di questo prezzo, ad esempio 500 euro, viene dato per il godimento del bene, come se fosse un normale affitto. E questa parte si “perde”, proprio come in una normale locazione. Il residuo, cioè i 500 euro mancanti, si imputano al prezzo (cioè sono come un acconto sul prezzo di vendita), per cui hanno come effetto quello di ridurre il prezzo finale di vendita. Se dopo 5 anni il conduttore deciderà di acquistare il bene non dovrà pagare 100.000 euro, ma 70.000 euro, perché 30.000 sono già stati pagati con parte dei canoni.
Come si può notare, la nuova tipologia contrattuale presenta elementi tipici riconducibili, da un alto, ai contratti di locazione, e dall’altro, ai contratti di compravendita di immobili (con conseguente applicazione della disciplina della trascrizione, che rende opponibile il contratto anche nei confronti dell’eventuale terzo acquirente). Il canone, che costituisce il corrispettivo per il godimento dell’immobile, infatti, funge anche da anticipazione del prezzo della compravendita, che dovrà perfezionarsi entro un termine prestabilito. Il trasferimento della proprietà, pertanto, si verifica solo in un momento successivo rispetto alla stipulazione del contratto, in modo automatico oppure a seguito di esercizio di un diritto di opzione.
La configurazione di un “diritto di opzione” implica che in capo al conduttore non sorga un obbligo di acquisto del bene, ma, appunto, un diritto. Anche nel caso in cui non si dovesse giungere all’acquisto dell’immobile, il venditore non perderebbe la propria posizione vantaggiosa in quanto titolare del diritto di trattenere quanto percepito in forma di canone e di riacquistare la piena disponibilità del bene (con la possibilità di promuovere un’azione di rilascio del bene, in caso di resistenza opposta dal locatario inadempiente). In ogni caso, è rimessa all’autonomia contrattuale la possibilità di introdurre diritti di recesso, clausole penali o meccanismi condizionali, nonché di modulare il contratto in funzione delle specifiche esigenze dei contraenti.
In conclusione, non può che accogliersi con favore la scelta del legislatore di recepire nell’ordinamento giuridico questo contratto promosso dal Notariato, dando un’efficace risposta alle difficoltà di ottenere finanziamenti all’acquisto attraverso il mutuo da parte di cittadini con lavori precari, nonché alle difficoltà degli imprenditori edili di smaltire quanto non ancora venduto, ottenendo liquidità, come ossigeno per proseguire l’attività di impresa.
La strada tracciata, all’insegna della flessibilità e dell’incentivo allo sviluppo, è certamente quella giusta: non resta che percorrerla evitando di cadere nel grave (ma, in Italia, fin troppo usuale) errore di renderla tortuosa e insidiosa mediante l’applicazione di inique misure fiscali.